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Daniel

I genitori di Andrea non tardarono a raggiungere il figlio. Avevo, per un istante, sperato che la loro presenza non comparisse dinanzi ai miei occhi.
Non appena li vidi percorrere la rampa di scale che li avrebbe portati al terzo piano, non potei che avvertire un senso di malessere invadere il mio corpo. Ogni volta, il turbamento che ne scaturiva risultava possedere la medesima intensità.

I passi della donna, affrettati e numerosi per compensare la scarsa ampiezza degli ultimi, cercavano di raggiungere quelli del marito, meno numerosi ma più ampi.Parevano essere entrambi impazienti di vedere Andrea e di sicuro non si sarebbero mai aspettati un suo risveglio.
Non perché dovessero rimanere stupiti come avevo fatto io. Ma perché, da quanto avevo avuto modo di comprendere, per loro, la vita del figlio, non era poi così aggravata o addirittura importante.
Mi era parso di capire che per loro si trattasse solo di un gioco, di una cosa così surreale da non riuscire a rendersi ancora conto che fosse la cruda realtá.

In un lasso temporale fulmineo, mi passarono davanti senza rivolgermi nemmeno un saluto. Mi superarono, guardando dritto davanti alle proprie persone, poi vidi la signora arrestare i suoi passi repentinamente, domandando al marito dove si trovasse la sala. Un dubbio aveva contrastato la persuasione con la quale si era avvicendata per il piano fino a un istante prima.

"Mi pareva avesse detto la settima" pronunciò lui, osservandosi attorno e appoggiando una mano sotto al mento.
Osservai, con la coda dell'occhio, il marito fare spallucce, riprendendo a camminare, quella volta senza fretta alcuna.
Speravo non venissero a cercarmi per chiedere dove si trovasse la sala dopo avermi negato il saluto.
Giurai a me stesso che se lo avessero fatto avrei suggerito la sala sbagliata.

Evidentemente pregai male.
La signora, tacchi e borsa in stile animalier, si avvicinò a me e, con fare dalla pacatezza fuori dal comune, mi pose la fatidica domanda.
Poi guarnì il tutto con un sorriso mieloso.
"Non lo so" ebbi giusto il tempo di rispondere prima che, una voce proveniente dal fondo del corridoio, non molto distante da noi, si fece udire interrompendo il mio breve discorso, poco volentieri pronunciato.

"Buonasera, signori" esordì la voce di Marco, a pochi metri da loro.
I genitori di Andrea si voltarono verso di lui, alle loro spalle, ovviamente senza rivolgermi un saluto per la seconda volta.
S'incamminarono rapidamente verso il medico, bofonchiando fra loro parole incomprensibili sussurrate con tono tutt'altro che elevato.

Non seppi se aggregarmi anche io, rimasto solo a distanza di pochi metri che avrei potuto percorrere con un leggero ritardo rispetto ai miei due interlocutori.Magari avrebbero terminato di esaminare Andrea ancor prima di iniziare effettivamente.
Ma rimasi lì, al centro del corridoio, braccia incrociate e sguardo imperturbabile, a guardare a terra incrociando i passi davanti a me, fingendo di mantenermi in equilibrio su un sottile filo: la calce fra le piastrelle.

Era mai possibile che nessuno comprendesse come stessi io?
Nè Marco, nè i genitori di Andrea si erano curati del fatto che toccasse a me, stare con Andrea. La mia ora non era ancora giunta al termine e nemmeno la mia forza di volontà era arrivata all'esaurimento.
Io avevo bisogno di rimanere con lui, perché il mio benessere trovava sfogo soltanto stando accanto al mio ragazzo.
Avevo creduto fosse lapalissiano, ma non avuto potuto fare altro che ricredermi.

Sbottando nonostante l'assenza di qualsiasi forma di vita attorno a me, mi voltai verso la sala, poco più a destra rispetto a dove mi trovassi io. Lanciai un'occhiata veloce, sporgendomi verso di essa. Deglutendo, decisi che non sarei rimasto lì ancora per molto.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora