Decimo Capitolo

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Human grocery store


Your power hungry sellin' soldiers
In a human grocery store
Ain't that fresh






Liam ha ogni singolo muscolo del proprio corpo sotto controllo, mentre superano i controlli all'entrata del Parlamento e si dirigono a passo di marcia verso il suo ufficio. Il borsone verde che si sta trascinando dietro pesa un po' di più a ciascun metro che macinano, fino a farlo sentire come se il braccio destro potesse staccarglisi da un momento all'altro e far crollare a terra tutte le apparecchiature di Niall, lì nel bel mezzo di uno dei corridori principali; l'ultima speranza di una civiltà intera finita in pezzi sulle piastrelle più costose d'Inghilterra.
Cerca di non pensarci, Liam, cerca di non pensare a qualunque cosa che non sia il dolore martellante allo sterno che gli ha lasciato Zayn all'alba quando l'ha premuto contro la parete della cucina e ha scaricato tutto il proprio peso sulla sua gabbia toracica, sulle sue labbra, sulla sua lingua. Se ti succede qualcosa ti ammazzo con le mie mani, gli ha sussurrato poi, voltandosi con un'espressione omicida stampata in faccia.
Liam si concede un sospiro lievissimo, quasi impercettibile, e apre la porta della stanza così maledettamente familiare. Appoggia con noncuranza il borsone sul tavolo di vetro e si gira a fronteggiare i quattro ragazzi immobili, allineati accanto all'entrata e apparentemente in attesa di ordini.
«Rimanete qui finché non è finita la riunione» comanda perentorio, estremamente conscio della telecamera che li sta inquadrando, li sta registrando, li sta documentando.
«Sissignore» rispondono all'unisono, senza far trasparire minimamente l'insicurezza che li sta logorando.
Liam si ferma per un paio di secondi a guardare Zayn, a guardarlo e basta, consapevole del fatto che non appena uscirà da quella porta Louis premerà il tasto del Trasmettitore che sta stringendo fra le dita e quella telecamera non riprenderà più nulla, solo un fermo schermata che rimarrà nel sistema di sicurezza ad accertare che loro quattro non si stanno muovendo, non stanno disobbedendo. Liam vorrebbe poterci vivere per un po', in quella ripresa congelata che rifileranno agli addetti alla sicurezza, vorrebbe poterci sostare per qualche ora, per rimandare quello che sta per fare, per pensare a un'altra soluzione, per guardare Zayn. Ma non può, naturalmente, quindi esce dal proprio ufficio senza dire niente.


~

Le dodici Guardie personali del Capo di Stato s'irrigidiscono sul posto, quando Liam fa scorrere i propri polpastrelli sullo schermo per il riconoscimento delle impronte digitali e preme il pulsante di accensione.
«Li voglio tutti per strada, tranne le mie Guardie» ordina il Capo di Stato. «E mandami Anderson fuori dalle mura, voglio assicurarmi che le radiazioni reggano.»
Liam ubbidisce, digitando velocemente i comandi. Dall'altra parte delle grandi porte-finestre che occupano le pareti dell'ufficio, decine, centinaia di civili, soldati, bambini scendono dalle auto, escono di casa, s'immobilizzano in riva al Tamigi. Rimangono fermi a fissare il vuoto, tutti quanti, con gli occhi vacui e le mascelle rilassate e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Sopra di loro, la pioggia sbatte contro la Cupola e scivola giù dai suoi fianchi di vetro, lasciandoli sospesi nel loro inferno a prova di maltempo.
«Sei stato prezioso per questo progetto, Payne» afferma il Capo di Stato. «L'hai ideato, l'hai reso realtà, sei stato indispensabile, perfino. Ecco, vedi, è stato questo il mio errore. E il tuo.»
Liam si paralizza sul posto, le mani gelide bloccate a mezz'aria a qualche centimetro dallo schermo.
«Quando sei stato rapito abbiamo scannerizzato ogni luogo, ogni centimetro della Capitale in cui quei Ribelli avessero potuto operare, e non abbiamo trovato assolutamente niente. Finché non è arrivato il momento di togliere un cartellone pubblicitario manomesso. Sai cos'era rimasto nel suo codice di programmazione, Payne?»
Liam deglutisce, una sola goccia di sudore che gli cola giù per la schiena, seguendo la sua colonna vertebrale, facendogli venire la pelle d'oca.
«No, Signore.»
Il Capo di Stato sguinzaglia un ghigno soddisfatto, una smorfia sudicia di pieno appagamento, è palese che stia godendo come un matto. «Oh, sì che lo sai. C'era un messaggio d'emergenza riguardante i tuoi valori vitali. E poi c'erano le riprese del rapimento. Come mai i Ribelli che ti hanno rapito sono fermi ad aspettarti nel tuo ufficio, Payne?»
Liam rimane immobile, congelato, inchiodato al pavimento, le parole gli si accavallano in bocca, lottano fra i denti, muoiono sulla sua lingua e scivolano giù, in gola, nell'esofago, finiscono a marcire nel suo stomaco.
A un cenno della testa del Capo di Stato, le Guardie si sbloccano e marciano verso Liam fino ad accerchiarlo, a stringerlo in una gabbia di nervosismo e disillusione e terrore.
«Nessuno è indispensabile, a parte me» continua il Capo di Stato, afferrando lo schermo e studiandolo con finta curiosità. «E sai una cosa? Chiunque non sia indispensabile ha quel chip nel collo, Payne.»
Liam si concede un unico ansito strozzato, sorpreso, rassegnato, prima che l'uomo batta l'indice sull'apparecchio elettronico solo una volta, leggermente, un minuscolo tap che quasi non si percepisce. Poi si avvicina a Liam fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso, le iridi che gli bruciano di compiacimento, le pupille che si allargano crogiolandosi nella vittoria. «Manda Styles fuori insieme agli altri e poi raggiungilo, mentre noi ci occupiamo dei tuoi amichetti che ti stanno aspettando nel tuo ufficio.»
Liam tradisce un solo leggerissimo tremolio al labbro inferiore, poi s'irrigidisce completamente e risponde Sissignore.

Twenty-eight past ten. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora