Chapter four.

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<Levami le mani di dosso! Cristo santo! Lasciami, ti ho detto!> erano ormai abbastanza lontani da scuola, Elaja era stato troppo occupato a strepitare per rendersi conto di quanta strada avessero percorso, ma si sere conto di essere in un stradina residenziale poco trafficata.
<Allora? Maledetto pazzo, che vuoi da me?> chiese, quando Axl aveva ormai lasciato la presa dal suo braccio. <Perché? Perché mi tratti così? Che cazzo ti ho fatto?> fu però Axl a parlare, davanti all'espressione inorridita del corvino, <Tu lo chiedi? Dovrei dirlo io! Cristo... ti rendi conto che mi hai letteralmente trascinato via con forza? Non è una cosa normale da fare, ad uno sconosciuto per di più! > strepitò Elaja, gesticolando davanti al viso di Axl. <Ma perché capitano tutti a me? Perché? Io faccio l'artista, mica lo strizza-cervelli!> mormorò a denti stretti, guardando verso il cielo, improvvisamente plumbeo.
<Sei scostante! Ieri non mi hai trattato così, anzi, mi sembrava di starti simpatico> Axl approfittò del momentaneo silenzio tra un sermone e l'altro dell'artista, che però non parve apprezzare quelle parole. <"Starti simpatico" Gesù... adesso si chiama così? Tu ieri ci hai provato spudoratamente con me, questo hai fatto! Cos'altro avrei dovuto fare? Mica potevo mandarti a quel paese, anche se la tentazione era molto forte, e adesso lo è anche di più> Axl lo guardò con rabbia, <Tu mi reggevi il gioco e non osare negarlo! Non me lo sono immaginato> il corvino scosse la testa, sempre più innervosito, <Mi sa proprio di sì, tesoro. Io ho un figlio e non sono frocio> fece un sorrisetto sbieco, incrociando le braccia con soddisfazione.
<Sai chi è peggio degli omofobi? I gay repressi!> girò i tacchi e se ne andò, sotto lo sguardo collerico di Elaja.

<Sai a cosa stavo pensando?> chiese Susan, con il telefono tra l'orecchio e la spalla, intenta a rimettere a posto i cuscini del divano, <Credo che sia abbastanza improbabile, se non impossibile> rispose il corvino dall'altro capo del telefono, <Pensavo che forse hai ragione tu su quella storia della libertà, dovrei lasciare a Josh un po' di spazio in più> ammise con una certa fatica, se avesse potuto, avrebbe tenuto Josh sempre con sé. <Susan Collins che mi da ragione su qualcosa? Sto forse sognando? È questo il paradiso? Ah, vero, io non andrò in paradiso> disse con un sospiro, <Ho semplicemente ragione, come sempre> continuò, con lei che sbuffava sonoramente in sottofondo, <Il tempo passa, ma tu resti sempre il solito presuntuoso eh?> lui sghignazzò <Zuccherino, io sono come il vino, posso solo migliorare> ammiccò lui, pur sapendo Susan non avrebbe potuto vederlo, <Tu più che vino sei aceto!> con estrema maturità Elaja le fece il verso.
<Comunque, ti stavo dicendo una cosa importante... ah si! Per rendere la cosa praticabile per il momento avrò bisogno del tuo aiuto. Max non tornerà prima di dopodomani e io sono troppo occupata con il lavoro, quindi, nullafacente che non sei altro, dovrai pensarci tu a scarrozzare Josh dappertutto in questi giorni. Una volta tornati alla normalità, ti darò un calcio in quel tuo sederino da cocainomane e tanti saluti. Ci stai?> non le si poteva di certo dire che si facesse problemi nel dire la verità nuda e cruda, questo è certo.
<Mettendola così chi non accetterebbe?> chiese con sarcasmo Elaja, <Mai sentita l'espressione "indorare la pillola"?> chiese ancora, mentre si accendeva l'ennesima sigaretta della giornata, <Allora, brutto idiota, accetti? Si o no, voglio una risposta> disse Susan, metre si dirigeva in camera sua per mettersi il suo tailleur.
<E va bene! Lo farò! Quel bambino mi dovrebbe fare una statua in oro zecchino... ma credi che mi farò bastare un bacetto su entrambe le guance> disse a mezza voce tra sé e sé, <Ad essere precisi, sarò pure un'idiota, ma brutto no, quello mai!> si mise addirittura una mano sul cuore, con una certa solennità sul volto.
<Come dici tu...> Susan gli diede corda, troppo occupata a indossare le sue décolleté nere di vernice e a pensare a quali gioielli abbinare con il completo che indossava. <Ti mando subito l'elenco dei suoi impegni in questi giorni, così non sono costretta a sentire le tue chiacchiere ogni volta. Le regole sono sempre le stesse, le sai, quindi applicale tutte. Fa fare a me e a Josh bella figura, mi raccomando> lui annuì sempre più annoiato <Certo, führer>.
<Bene allora, disturbami il meno possibile, addio!> detto questo gli attaccò il telefono il faccia.
<Parla tanto di educazione e poi mia attacca il telefono in faccia... che roba!> borbottò il corvino, <Allora hai finito? Ho ancora voglia...> sussurrò Layla, che già da un po' di tempo si stava strusciando si di lui con chiare intenzioni, lui la guardò un po' distratto, <Solo un secondo e sono da te, gattaccia> la vide sorridere e le accarezzò la guancia, sentendo il calore dell'altra premere sui muscoli non troppo marcati del suo addome.
Aveva la sensazione di star dimenticando qualcosa, sentì il telefono vibrare, era un messaggio di Susan.
"Oggi pomeriggio porterò io Josh a casa dei Wallace, ma tu dovrai andare a riprenderlo. Alle 21:00, sii puntuale!" il messaggio continuava, elencandogli tutti i vari impegni del suo forse-figlio, ma lui si fermò a quella prima riga con in cuore in gola.
<Porca puttana, quel maledetto stronzetto!> disse come se avesse avuto un'illuminazione dell'alto. <Mi dispiace gattina, devo proprio andare. Ti chiamo io!> le diede un bacio a fior di labbra e si rivestì il più in fretta possibile, fuggendo da quella casa come se fosse stato inseguito dal demonio.

La casa degli specchi Where stories live. Discover now