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"Era insieme terribile e stranamente umiliante rendersi conto della facilità con cui il disagio fisico poteva avere il sopravvento sulla mente, dilagando come gas velenoso fino a impossessarsi di ogni piccolo angolo dell'organismo."
— Stephen King.

"— Stephen King

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M a d d i e


Mi rilascio cadere sul letto con le lenzuola ancora disfatte da quando mi sono alzata, stanca per la giornata di lezioni appena conclusa. Lascio scivolare sul pavimento le scarpe di cui mi disfo prontamente non appena il mio corpo si distende sul materasso; nonostante siano solo le prime settimane di lezioni, comincio già a sentirmi stressata. Mi sembra di non riuscire a tenere un ritmo costante nello studio e questa cosa mi manda letteralmente in bestia.

Sono sempre stata piuttosto brava a scuola, mettendoci nonostante ciò sempre il minimo impegno necessario. Ho sempre raggiunto una buona media, mai sopra il discreto, e ai miei genitori non andava bene. Questa è un'altra cosa che, di loro, non mi mancherà affatto. Sognavano per "me" un futuro roseo e pieno di conquiste, anche se con il tempo, ragionandoci a fondo, sono arrivata alla conclusione che volessero solamente introdurmi nel loro stupido e malfamato giro d'affari.

Fin da quand'ero piccola mi hanno sempre insegnato a non mostrare alcuna mia emozione; dicevano che mi rendevano debole e vulnerabile agli occhi degli altri. Fortunatamente sono riuscita a crescere nell'esatto contrario, ovvero fin troppo emotiva; solo con loro mi comportavo da perfetta ragazza senza cuore, e di questo erano fieri. Quando cadevo e mi facevo male, dalla minima ferita a quella più dolorosa, non ho mai fatto vedere loro una singola lacrima. Quando stavo male interiormente, mi chiudevo in camera lontano dai loro occhi, e solo quando mi ritenevo al sicuro riuscivo a lasciarmi andare completamente alle emozioni.

Nonostante questo, per loro non sono mai andata bene. In alcune cose riuscivo a soddisfarli, come per il mio comportamento fin troppo educato e la mia più grande dote del non ribattere. Alle cene con i colleghi di mio padre — che una volta rispettavo, prima di scoprire di che cosa si occupassero — riuscivo anche ad intrattenere discorsi e ad argomentarli piuttosto bene per una ragazza della mia età. Quando riuscivo a conversare con loro, negli occhi di mio padre riuscivo ad intravedere un briciolo di soddisfazione, che però non ha mai realmente espresso nei miei confronti.

Io e mio padre abbiamo sempre avuto un rapporto piuttosto strano; in casa, non sembravamo una famiglia. Lui se ne stava sempre rinchiuso nel suo ufficio a compilare scartoffie o passava ore al telefono, sbraitando con qualcuno. Nei momenti in cui non era a casa, e tornava piuttosto tardi la sera, non mi chiamava neanche una volta per sapere come stavo, o se avevo bisogno di qualcosa. Ma a me andava bene così, pensavo solamente che fosse nel carattere di mio padre essere freddo e rigido con tutti. Persino con me.

Lui è come il nero Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora