At a distance

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La pausa pranzo era giunta al termine e tutti gli studenti, tra ultime chiacchiere e risate, s'affrettarono a raggiungere la propria classe.
Tutti, eccetto Rose.
Il solo pensiero di dover lasciare la vista di quel cielo azzurro e la sensazione di pace che le trasmetteva, le faceva rivoltare lo stomaco.
Le capitava spesso di immaginarsi come un uccello migratore, capace di volare libero e senza pensieri trasportato dal vento, cambiando rotta con il cambiare delle stagioni.
Mentre osservava le nuvole sovrapporsi, riuscì quasi a entrare nella parte, a sentirsi parte di quello spazio, di quell'universo dal quale si era sempre sentita esclusa e messa da parte.

Sorrise tra sé, a volte era proprio brava a fare la vittima e a piangersi addosso; non le piaceva considerarsi in questo modo perché non le piaceva sentirsi debole e indifesa.
Nessuno a quanto sembrava aveva mai pensato a lei come tale, nessuno era mai corso in sua difesa, era però più che ovvio che la considerassero tutti una debole da manipolare a piacimento.
Così si erano comportati anche loro, quei cinque fantastici ragazzi che per lei non avevano nulla di poi così fantastico.
Era la prima volta che la vedevano, eppure si erano sentiti in diritto di "giocare" con lei, quasi di sfidarla con i loro sguardi e i loro sorrisi da sogno.
Si sentì a disagio al solo pensiero di ritornare a sedersi di fianco al nuovo arrivato, concedendosi così a quegli occhi tanto strani quanto magnetici.
L'ennesimo suono della campana la distolse definitivamente dai suoi sogni a occhi aperti; doveva affrettarsi se non voleva fare un'entrata d'effetto e attrarre ancora maggiore attenzione su di sé.

Non era stata però la sola a indugiare in quella piacevole giornata primaverile: i cinque ragazzi, incuranti del suono della campana, continuarono a godersi la fresca brezza sotto la vecchia quercia.
Decise di rientrare al secondo squillo di campana: l'edificio era abbastanza grande e non erano ancora così disinvolti nei corridoi.

«Sei sicuro che sia per di qua?» chiese David, dubbioso.

«Lo sapevo che seguendo Chris ci saremmo persi!» esclamò Erik.

«Se già lo sapevi, avresti potuto avvertirci. Avremmo evitato di seguirlo fin da subito» s'inserì Bryan, sghignazzando.

Christopher si volse verso Erik e lo fulminò con lo sguardo. «Ragazzi di poca fede. Visto che non ci siamo persi?» disse, compiaciuto, puntando il dito di fronte a sé.

«Quella non è la ragazza di questa mattina?» chiese Erik.

«Sembra proprio Rose» confermò Bryan.

David batté le mani rivolto verso l'amico.
«E bravo Chris! Vedo che il tuo senso dell'orientamento sta finalmente migliorando.»

Christopher si avvicinò a Erik e appoggiò il gomito sulla sua spalla.
«Dovresti imparare a fidarti un po' di più del sottoscritto.»

«Uh, e adesso chi lo sopporta più» brontolò Erik, scambiando un sorriso con gli altri.
«Piuttosto... Bryan, vedo che ci hai messo davvero poco ad imparare il suo nome» continuò, sarcastico.

Gli amici si volsero verso l'amico accennando un sorriso malizioso.

«È inutile che mi guardate in quel modo, non è come pensate. La mia memoria è semplicemente migliore della vostra» rispose il biondino, con indifferenza.

«Capito ragazzi, fatela finita. È per via della sua memoria» lo canzonò Ryan.

Bryan lì lasciò proseguire quel gioco di occhiatine e battute a doppio senso, per niente infastidito da quell'atmosfera goliardica che si era venuta a creare.
Erano un gruppo molto unito; si erano ripromessi che nessuna sciocchezza avrebbe mai messo a rischio quel loro legame.
Erano molto diversi e spesso e volentieri nascevano discussioni o piccole diatribe, ma nulla di tutto ciò era mai riuscito a scalfire il loro rapporto.
Si stimavano e proteggevano a vicenda come fratelli.

Le risate alle sue spalle attirarono l'attenzione di Rose che si volse più che mai sorpresa.
Incrociò di nuovo lo sguardo di quel ragazzo e si ritrovò a ricercare il suo nome tra il miscuglio di pensieri.
Si chiese perché il suo sguardo si posasse sempre su di lui; erano in cinque, eppure i suoi occhi si erano diretti sicuri solo sulla sua figura.
Quando lo vide sorridere e alzare la mano per salutarla, si rese conto di aver indugiato troppo a lungo.
Si volse senza ricambiare, sempre più convinta che fosse meglio mantenere le distanze.
Non riusciva a spiegarsi perché quel ragazzo continuasse a cercare un contatto con lei, ma sapeva che ricercare una risposta ai suoi dubbi sarebbe stato solo controproducente.
Aveva deciso di non dargli confidenza o perlomeno di provarci, per tentare di tutelarsi.

Entrò in classe e vide solo dei banchi vuoti; si ricordò della lezione di ginnastica e istintivamente si portò una mano sulla fronte.
Come avrebbe fatto ora a liberarsi di loro?
Sarebbero rientrati in classe di lì a poco e come lei avrebbero trovato il nulla, si sarebbero chiesti dove, quando e perché e si sarebbero rivolti alla soluzione più immediata.

«Vedo che continui a essere scortese.
Prima o poi dovrai pur parlarmi» le sussurrò Ryan all'orecchio.

Sussultò a causa di quel respiro a pochi centimetri dal suo viso, i suoi pensieri si fermarono e il suo cuore prese a battere più rapidamente.
Quando alla fine si volse nella sua direzione ritrovò sul suo volto l'ennesima espressione di sfida.
Nonostante sapesse quanto fosse stata scortese a ignorarlo per tutto il tempo, Rose si persuase che fosse ancora la soluzione migliore.
Tuttavia, mentre si preparava a mantenere la stessa coerenza, l'arrivo degli amici del ragazzo mandò in fumo quei suoi propositi.

«Dove sono finiti tutti?» chiese Christopher ispezionando con gli occhi la stanza.

Erik appoggiò una mano sulla spalla di Ryan incitandolo così a dare spiegazioni.

«Non lo so, ma forse Rose ne sa qualcosa.»
Il ragazzo non smise un secondo di guardarla e indugiò sul suo nome come per sfidarla a parlare.

Dal canto suo lo trovò decisamente odioso: lo disturbava così tanto che non volesse parlargli, oppure si divertiva soltanto a metterla in difficoltà?
Circondata dagli sguardi di quei cinque ragazzi si sentì nuovamente così impotente e indifesa.
Abbassò il capo e incrociò le braccia al petto per rassicurarsi, a disagio in quella situazione che le riportava alla mente episodi e sensazioni spiacevoli del passato.

«Ryan, non insistere. Non vedi che non vuole parlarci» lo rimproverò Bryan.

L'amico alzò le mani in segno di resa, allontanandosi.

«Ragazzi, mi hanno detto che sono tutti in palestra» segnalò David.

Era sbucato fuori da non si sa dove, ma nella sua mente Rose lo ringraziò per essere saltato fuori al momento più opportuno.

«E dove sarebbe la palestra?» domandò Christopher aggrottando la fronte.

Ryan fece un sorriso in direzione di Rose.
«Direi che abbiamo bisogno del tuo aiuto» le disse, compiaciuto.

Non rimase sorpresa, dal momento in cui li aveva visti si era convinta che le cose non avrebbero fatto altro che degenerare.
E più cercava di non essere coinvolta e più loro, o meglio lui, sembravano volerla coinvolgere.

Change of PLANWhere stories live. Discover now