03. Pura poesia

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Urlo spontaneamente mentre corro per camera mia. Sono in ritradissimo e la mattina non trovo mai nulla.

Afferro un paio di jeans neri dall'armadio e li infilo a fatica, passano a mala pena le cosce. Salto per tutta la camera finché non salgono fino alla vita. Sono stretti e soffocanti, ma come mia mamma spesso ripete: per bellezza si deve anche soffrire.

Guardo l'orologio che porto al polso e soffoco un imprecazione, ci ho messo solo due minuti ad infilare un dannato paio di pantaloni, e si, sono ironica.

Afferro la larga camicia blu che ho da qualche giorno buttato sulla sedia della scrivania, e la infilo. Mi affretto ad abbottonare tutti i bottoni, cercando per la camera i pochi libri che mi porto ancora dietro.

Infilo nello zaino le poche cose che ho recuperato e lo butto di fronte alla porta, chi ha inventato il lunedì? Stupidi romani.

Non riesco ad allacciare tutti i bottoni della camicia e per frustrazione quasi ringhio.

«Kath smettila di fare l'animale. Scendi a mangiare!». Mia madre e il suo udito sonico mi ammoniscono.

Sbuffo, correndo nel bagno per afferrare il mascara.

«Mamma dove sono i miei occhiali da sole?». Stringo ai piedi le vans e corro giù per le scale, tenendo saldo lo zaino sulle spalle.

«Kath, potresti cortesemente smetterla di urlare? Sono quasi le otto di mattina». Al tavolo, mio padre da perfetto americano sta leggendo il giornale con metà brownie nel piatto.

I suoi capelli castani sono lunghi quasi fino alle spalle, mamma dietro di lui, sta provando a legarli in uno chignon.

«Sono già le otto? Cazzo, sono in ritardo». Da fuori, suona insistente il clacson dell'auto di Naomi.

«Tesoro, le parolacce», Grace si lamenta, lanciandomi una delle sue occhiatacce ereditate dalla nonna.

Mormoro una scusa afferrando un brownie dal piatto ricolmo, e mi fiondo fuori dalla porta di casa. «Kath gli occhiali!». Mia madre mi aspetta sul vialetto di casa mentre ritorno indietro, in mano ha i miei occhiali da sole.

«Grazie». Mi allontano non guardando oltre nei suoi occhi nocciola.

A grandi passi raggiungo l'auto di Naomi, entrando nel posto del passeggero e sbattendo con forza la portiera dell'auto.


«Siamo tremendamente in ritardo, schiaccia quell'acceleratore». La ragazza esegue, ormai abituata ai miei di ritardi.

Prendo il brownie e lo spezzo a metà, Naomi mi porge la mano e io ci poso sopra il suo pezzetto. «Non hai idea di quante cose siano successe l'altro ieri», parlo con la bocca piena.

Con la coda dell'occhio osservo la mia amica che alza un sopracciglio.

«Non potevi chiamarmi, come fai di solito?».

«È troppo importante, dovevo dirtelo di persona ed osservare la tua faccia».

«Sei spregevole, come quei piccoli cobra velenosi», per infastidirla mi metto due dita davanti alle labbra e mimo due zanne.

La osservo mentre alza gli occhi al cielo e mi tira una manta. Fra le due è lei quella antipatica.

Ripensando alla conversazione dell'altro ieri con Cross, mi chiedo quale dei suoi amici si sia infatuato della bella Naomi.

Dopo pochi minuti, la sopracitata svolta a destra ed entra nel parcheggio della scuola.

Sbatto con poca delicatezza la portiera dell'auto e coi piedi di piombo mi trascino dentro scuola. «La prossima volta ci vieni a piedi a scuola Kath», mormora Naomi, passando per il largo cancello della scuola.

Come il cielo a mezzanotte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora