05. Sempre un mistero

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Sento solo un acuto ronzio rimbombare nelle mie orecchie. Gli occhi appena aperti vengono colpiti da una forte luce oltre la finestra.

Giro la testa di lato, e vi porto le mani sopra.

Rimbomba tutto, come onde che s'infrangono su uno scoglio. Tutto gira e la sensazione di secchezza che percepisco sulle labbra mi irrita, quasi più della sveglia.

Sono sul letto, avvolta in un sottile lenzuolo. Le ciocche fucsia sparse sul cuscino sono l'unica fonte di colore che percepisco, accanto a me il telefono sotto carica continua a squillare. Allungo un braccio e spengo la sveglia.

Mi guardo intorno e l'amarezza m'invade al ricordo di ieri sera.

Dopo un tempo indefinito che passai tra profondi respiri, mi ero alzata dal freddo pavimento ed ero sgusciata fuori dalla camera. Il corridoio era silenzioso.

Un morso d'ansia mi si era introdotto nel cuore con violenza, piccoli brividi mi scuotevano ancora le spalle. La pelle arrossata delle braccia si notava appena sotto la soffusa luce della luna. Erano le due di mattina.

Camminavo lentamente nel corridoio appoggiandomi al muro con entrambe le mani. Perché stavano litigando, perché non mi dicono niente?

I pensieri si liberarono leggeri quando notai una chiara luce provenire dalla porta che separava cucina e ingresso. Che fossero ancora svegli? Solo in quel momento sentii i loro sussurri oltre il legno scuro

Mi avvicinai decisa ad origliare. All'inizio le loro voci mi arrivarono indistinte, stavano sussurrando ma non litigando.

Appoggiai una mano sulla porta e chiusi gli occhi, come a voler sentir meglio. Il cuore batteva ancora tumultuoso sotto la leggera maglia in cotone, si sbatteva come una ferita nel petto, in quel momento l'udito sembrava aver assorbito ogni altro senso.

«Non posso, non voglio». La voce di mia madre suonò spezzata alle mie orecchie.

«Non manca molto, devi... dobbiamo».

«Non voglio distruggerla così... Robert non posso farle questo, è la nostra piccola bambina»

Sentii Robert sospirare, uno spostamento d'aria e i suoi passi risuonarono nel silenzio. Dev'essersi avvicinato alla moglie. «Deve crescere, diventare forte e affrontare la situazione. Meno aspettiamo meglio è, ha il diritto di sapere»

«La storia si ripete e noi non abbiamo ancora imparato dai nostri errori»

Mi scostai con irruenza dalla porta e ritornai in camera, non ne volevo più sapere nulla, mi ero infilata a letto e stretto le braccia attorno.

Mi sono vestita e sono uscita di casa ben mezz'ora prima del previsto, ho preso solo la macchina fotografica.

Ho bisogno di riflettere, di camminare ed osservare il cielo; l'unico modo per risanare un po' di calma nel mio animo.

I miei genitori hanno provato a salutarmi quando sono passata davanti alla cucina ma li ho ignorati, in questo momento non riesco a contenere l'enorme ondata di rabbia che mi confluisce addosso, rivolger loro la parola avrebbe portato solo ad un enorme litigata.

Stringo fra le mani quel piccolo oggetto che tanto mi ricorda mia nonna, un segno indelebile della sua mancanza.

Cammino, alternando il piede destro al sinistro, concentrandomi solo sul semplice movimento. Spesso, non ci rendiamo conto di molte delle azioni che quotidianamente facciamo, camminare, respirare, sognare; azioni che ora risultano meccaniche se ci pensiamo.

Il cielo sta imbrunendo, parecchie nuvole si accumulano sopra la mia testa. Prendo la macchina fotografica fra le mani e punto l'obbiettivo intorno a me. La fotografia mi calma, è la mia piccola terapia personale. Fotografare il cielo è goduria pura, una crema capace di lenire ogni mia preoccupazione.

Come il cielo a mezzanotte Where stories live. Discover now