13. Insignificanti

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Abbasso la maniglia dell'aula e mi intrufolo al suo interno come un gatto. Chiudo velocemente la porta alle mie spalle e alzò lo sguardo su ciò che mi circonda.

Ormai è tutta la mattinata che scatto foto agli atleti della scuola, sia cheerleader che giocatori sono nei loro spogliatoi pronti per una meritata pausa.

Non avendo nessuna intenzione di restare un secondo di più fra le grinfie delle giornaliste e del coach me ne sono andata entrando in una delle aule vuote della scuola.

Le persiane sono abbassate, vi è un buio totale fatta eccezione per la leggera luce che proviene da sotto la porta. Mi aggrappo con entrambe le mani alla cattedra e mi tirò su sedendomi a gambe incrociate.

Dovrei chiamare mio zio per verificare le sue condizioni di salute, l'anno scorso per poco non ci è rimasto secco per un arresto cardiaco. Per fortuna si trovava già in ospedale con il figlio Josh. Ormai mi aspetto di tutto. Se mamma è papà sono andati a trovarlo spesso questa settimana qualcosa è successo di sicuro.

Ormai lo zio Winne ha sui cinquant'anni, ha la pressione sempre piuttosto alta e i nervi a fior di pelle per colpa del figlio. Una peste di dodici anni che gli regala una decolorazione permanente ai capelli.

Probabilmente farebbe scambio con sua sorella di figli, ed è tutto dire considerando il mio comportamento.

È un uomo piuttosto gentile e posato, sempre agitato ma ne è giustificato in fondo. La moglie è morta dieci anni fa', da allora ha cresciuto da solo Josh. Il bambino si è visto mancare una figura materna, l'unica severa con lui, ed è uscito dai gangheri. Winne si è rimboccato le maniche ed ha lasciato da parte il ruolo da genitore permissivo.

Sospiro e avvio la chiamata portando il telefono a un orecchio. Si, deve trattarsi sicuramente di Josh.

Dopo tre squilli dall'altro capo del telefono la voce dello zio, più alta di alcune ottava del normale, mi saluta. «Kitty! Come stai, perché hai chiamato?»

«Zio non mi chiami così da anni ormai.. volevo solo sapere come stavate, ci sono problemi lì?» Insolitamente nervosa mi torturo la pellicina del pollice destro attendendo una risposta.

«Assolutamente no! Cioè si!... hm dipende?» Ormai il suo tono di voce è completamente andato, sempre più acuto. Faccio quasi fatica a sopportarlo.

«Non capisco.. pensavo che i miei genitori fossero passati più volte da te per dei problemi..»

«Oh, sì certo. Ora ricordo, si, stavo proprio male!» Risponde tentennando un po' sul finale. Il tono di voce tornato normale mi aiuta ad immaginare le sue, sicuramente appena spuntate, fossette.

«Sembri più sulle nuvole del solito» affermo incuriosita dal suo comportamento, è sempre stato un uomo distratto e balbettante ma quando è nervoso lo diventa ancor di più. «Cos'è successo, perché stavi male?»

«Nulla di che, solo una slogatura al polso. Stavo correndo dietro a Josh quando.. crack! Sono caduto sul polso» Annuisco con la testa comprensiva, consapevole che lui non possa vedermi mi affretto a rispondergli.

Fuori dalla porta alcuni passi iniziano a sentirsi. «Tu piuttosto.. come stai? Cosa fai in questi giorni, non ci sentiamo da tanto»

«Pensavo che il solito resoconto dei miei genitori ti fosse bastato» Ridacchio alzando gli occhi al cielo. Dondolo le gambe a penzoloni e con la mano libera tamburello sulla gamba.

Un senso di fretta mi sta' attorcigliando lo stomaco, insieme a l'incertezza mi sta stritolando come un serpente. Qualcosa mi puzza.

«I tuoi genitori? Oh.. sì, certo, volevo solo sentirlo da te» sembra quasi in difficoltà.

Come il cielo a mezzanotte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora