06. Profumo di Gardenia

228 14 1
                                    

Mi sento come affogare. Il respiro corto raschia la gola, bloccato da una serie di rapidi tentativi falliti fini a stabilizzare la tempesta: la mia tempesta personale. L'acqua che si agita convulsa dentro di me, e la tempesta che ci piove addosso, come grosse secchiate d'acqua, la tempesta che percepisco quasi attutita dall'ombrello nero.

Nulla di paragonabile alla sua tempesta.

Li chiamano specchio dell'anima: gli occhi, pozze di verità, spiragli di luce mirati a scoprire cocci d'anima. Cocci, perché l'anima di nessuno è intera, l'anima è fragile, dolorosamente malleabile.

Peggio del cuore, il cuore è un bastardo. Ti fanno credere che i sentimenti veri provengano da lì, ma no, è l'anima ad esser fottuta.

I suoi occhi sono un infinita tempesta di cocci, tanti spiragli di diverse dimensioni, diverse movenze. Non riesco a capire nulla di lui, nulla che non sia tempesta. Folle, impetuosa, solo.. tempesta.

Mi confondo tra la pioggia che ci cade addosso e il suo sguardo. Sono persa fra il blu, senza riuscire a distinguere la realtà da un semplice sguardo, il suo.

Non credo d'aver mai sperimentato tali sensazioni, sono destabilizzanti e poco rassicuranti, ma tentatrici sotto ogni livello.

Cross, l'angelo della nostra cittadina, è piegato di fronte a me, occupato a rifugiare entrami dalla pioggia.

Mi scruta con la bocca leggermente dischiusa, l'ansare affannoso esce da essa faticando. Mi sembra quasi di sentire le particelle d'aria spostarsi sotto il suo respiro. È un gioco perso in partenza riuscire a interpretare le sue emozioni.

Lo sento avvicinarsi di poco e stringermi a sé, in risposta la mia pelle si accappona. Poso le mani sul suo petto per spingerlo via ma la sua, prima posta sopra la mia, mi stringe un fianco. «Sei fradicia, non puoi bagnarti ancora. Ti ammalerai».

Non fa domande, osserva il cielo, osserva me e la mia macchinetta ancora stretta fra le mani. Sembra capire, non vuole spiegazioni, e per quanto strano gliene sono grata. «Vieni».

Osservo per un ultima volta il cielo in rivolta poi, riporto le pupille sulle sue, trovandovi un nuovo cielo da ammirare, una nuova tempesta di gran lunga più pericolosa.

Abbasso le braccia senza opporre resistenza e mi lascio condurre all'interno della scuola dal suo tocco leggero. L'ombrello tra di noi spicca come una ruvida macchia nera, sbagliata in questo quadro.

Sono io a surclassare, sento ancora l'acqua scorrere sulla mia pelle, ne ho bisogno ancora e lui me lo impedisce.

Non ero del tutto certa se essergli grata per l'ombrello, o infastidirmi poiché mi ha privato della fresca sensazione donatami dalla pioggia. In un finale, optai per la seconda opzione.

«O io, o l'ombrello», sussurro, afferrando il manico poco sotto la mano di Allen.

Lui si gira stranito verso di me, le sopracciglia incurvate e le labbra strette, spalanca gli occhi quando strattono l'oggetto portandolo di lato.

Ora la pioggia bagna entrambi, il suo respiro in precedenza calmato, ritorna frenetico mentre mi afferra la mano libera e corre verso l'ingresso della scuola. Ora ha i ricci bagnati e gli occhi cupi. «Ma che ti salta in testa?».

«Smettila di chiedermelo. Mi andava, se non fossi venuto a prendermi ora non saresti bagnato, ti serva da lezione». Afferro i capelli e li strizzo, l'acqua cade sul pavimento dell'ingresso come da un secchio.

Sento uno sbuffo provenire dal ragazzo ancora impalato. Riporto lo sguardo su di lui e lo fissò in attesa. «Non guardarmi in quel modo. Come hai fatto a vedermi?».

Come il cielo a mezzanotte حيث تعيش القصص. اكتشف الآن