11. " Sei meraviglioso ora, domani e per sempre "

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Stringo la presa sul mio vecchio cellulare. Un Iphone 7 dalla custodia azzurra, ormai di lui restano solo i vetri rotti. Funziona ancora, più o meno. Le chiamate partono, e le riceve anche a volte.

«Sicura funzioni ancora?». Mi chiede Alex, aspirando un tiro dalla sigaretta.

«Si... dovrebbe, stamattina funzionava». Arresto il mio passo rapido per afferrargli la sigaretta dalle dita, ne faccio un tiro e gliela ripasso.

Il ragazzo sbuffa e dopo l'ultimo sospiro butta la cicca a terra, la calpesta e riprende a camminare. «Non sapevo fumassi». Non sapete molte cose di me, voi dell'orfanotrofio.

«Solo quando sono nervosa», mi lecco le labbra secche, e sposto i capelli sulla schiena, beandomi della dolce sensazione che il sole regala a contatto con la mia pelle. «Tu invece?».

«Fatti miei». Evasivo, riposa il pacchetto di sigarette nella tasca dei jeans e scuote i capelli.

«Spero non diventi un vizio», ignoro di proposito la sua freddezza. Alex ha l'innata capacità di ritrarsi nel suo guscio sicuro appena lo si tocca in un punto sensibile. Che questo sia Emi, o qualche suo difetto non importa, l'effetto è lo stesso.

«Kathryn smettila di fare la madre premurosa, sono cazzi miei. E non morirò di certo per un paio di sigarette» mi dice, guardandomi negli occhi.

Scuoto la testa e riprendo il passo di prima. Altro che mamma, sono babysitter a tempo pieno con loro. Forse Alex è l'unico fra tutti che ogni tanto ha un contatto con il mondo esterno. Sono sempre chiusi nell'orfanotrofio, la scuola è frequentata solo da loro. In un certo senso la si può considerare privata, di certo non è un privilegio andarci.

«Le sigarette non uccidono le persone... il cancro uccide le persone».

«Chi l'ha detto?», lo scetticismo si insinua fra la sue parole. Alzo le spalle e sospiro.

Vizi o non vizi tutti abbiamo una sorta di ossessione, che essa sia repressa o meno sta a noi. Il fumo è uno sfogo, non una malattia, non un delirio. Forse una richiesta d'aiuto dettata dal incapacità di esprimersi in altro modo, forse semplicemente una scappatoia, un passatempo, una dipendenza.

Siamo tutti dipendenti da qualcosa, da qualcuno. Da una canzone, un ricordo, un amico. Io dipendo dalla fotografia, da mia nonna, dalla strana e costante condizione di soffocamento che il cielo mi fa' provare... ma, ne sono grata. Senza essa io non sarei io.

Siamo tanti pezzi distinti combinati in puzzle giganti a formare il nostro " io ", non sono bianca o nera, non solo gialla o rossa. Io sono arcobaleno, sono mare e montagna. Sono ciò che oggi ho deciso d'essere, ciò che domani non sarò mai.

Sono grata a chiunque ci abbia fatto nascere su questo pianeta, in questa meravigliosa gabbia a ricordarci giorno e notte la nostra natura da insetti. Insignificanti.

È questo senso di oppressione che assaporo in ogni mio scatto rivolto al cielo. Mi ricordo della mia natura da insetto, mi ricordo le mie origini, mi ricordo che nessuno in questo vastissimo pianeta gliene frega un cazzo di me.

Io sono io, quella di oggi, quella diversa da domani, quella che tu non sarai mai. E mi va bene così, per quanto limitante e infinitamente contorto questo sia.

«È questa?». Alzo lo sguardo sulla via di case, annuisco e riprendo il mio solito passo svelto. «Sicura che quel catorcio funzionerà?», riprende il discorso di prima, affiancandomi. Siamo praticamente alti uguali ma i due centimetri con cui mi tiene testa, in momenti come questi si notano.

Lo spingo esasperata e gli lancio un occhiata infastidita. «Alex, è la terza volta che lo chiedi. Si, funziona». Alza le mani in ari, in segno di risposta, e si lava dal viso l'espressione dubbiosa. «Sempre meglio di nulla». Almeno con questo Tommy potrà chiamare quando vorrà me e l'orfanotrofio. Con un po' di fortuna potrà anche vederci se la fotocamera collabora.

Come il cielo a mezzanotte Where stories live. Discover now