2 - Fulco Ruffo di Calabria

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8 Ottobre 1917

Tardo pomeriggio, base aerea di Santa Caterina, sede della 91a Squadriglia Caccia, nei pressi di Campoformido, Udine



Il principe Fulco Ruffo di Calabria si sporse dall'abitacolo del suo SPAD VII, sfilandosi gli occhialoni imbrattati di goccioline di olio bruciato. Guardò oltre l'ala anteriore, alla ricerca della manica del vento. Il tubo di stoffa a strisce bianche e rosse era gonfio e teso come la pelle di uno zampone il giorno di Natale, e puntava verso sud-ovest.

Il pilota piegò la cloche verso il suo ginocchio sinistro e, con un movimento fluido, il biplano giallo virò dalla stessa parte, alzando al cielo il teschio con tibie incrociate che aveva fatto dipingere sulla fiancata del suo velivolo.

I commilitoni l'avevano preso in giro: — Ma come? Un principe, un rampollo di una delle più nobili famiglie d'Italia, e capitano di Cavalleria, per giunta! E dipingi il tuo aereo come il più ignobile dei pirati? — Ma Ruffo di Calabria non aveva ceduto: per i piloti, questi simboli erano la firma, la livrea, ma soprattutto il portafortuna. E con la fortuna non si scherza. Non quando se il tuo lavoro è volare a migliaia di metri di altezza contro a nemici il cui unico obiettivo è quello di abbatterti.

Quando si trovò controvento, raddrizzò il velivolo e mise il motore al minimo regime. Lo SPAD rallentò, abbassandosi.

Un'occhiata a destra e sinistra, per accertarsi che il campo fosse libero da ostacoli... Ma, era il capo quello che stava entrando in uno degli hangar? Il comandante della squadriglia non era atteso fino all'indomani...

Ruffo di Calabria atterrò e, sobbalzando sul prato, guidò il proprio caccia fino agli hangar. Poi spense il motore, slacciò le cinture, fece un cenno di saluto al sottufficiale che si sarebbe preso cura del suo aereo e balzò giù.

— Cecco? — chiamò, entrando nell'hangar.

Solo gli amici più intimi e i suoi famigliari lo chiamavano Cecco, o Cecchino. Per tutti gli altri era il maggiore Francesco Baracca. Voltava le spalle all'ingresso della grande costruzione di lamiera e legno. Era in piedi di fronte al suo caccia e, con lenta dolcezza, stava facendo scorrere le dita sulla tela che rivestiva le ali.

— Vorrei tanto prendere e andare in volo, Fulco. Ci credi?

— È tardi, ora. Mancheranno cinque minuti al tramonto, se va bene. — Il Principe si sfilò l'elmetto da aviatore e si aprì la giubba di pelle e pelliccia. — Non ti aspettavamo già oggi.

— Ho anticipato. Tanto a Lugo, da mamma, non sarei riuscito a ripassare comunque. E di stare in mezzo a quei tromboni a Milano non ne potevo proprio più.

— Com'è l'aereo nuovo? Come si chiama, "SVA"?

Baracca si voltò verso l'amico e compagno, distogliendo l'attenzione dal suo velivolo. — La verità? Non è male: è veloce. Ma non è manovrabile come dovrebbe essere un caccia. Ho dato parere negativo.

— Chissà i tromboni come se la saranno presa!

— Già. Natalino, ti ricordi Natale Palli?

— Certo.

— Natalino ha fatto delle dimostrazioni superlative. In una simulazione è riuscito perfino a combattere quasi ad armi pari con uno SPAD. Ma Natalino è Natalino, piloti come lui si contano sulle dita delle mani. Quello SVA è un buon aereo, ma messo nelle mani di un pilota da caccia inesperto non potrebbe mai sostenere un combattimento con il nemico. La velocità non è tutto!

Ruffo di Calabria prese una seggiola da un angolo dell'hangar e si sedette. — Quindi niente Lugo, nemmeno 'sta volta? Ma quant'è che non vai a casa davvero?

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