3 - Rudolf Szepessy-Sokoll

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10 Ottobre 1917

Serata, un treno nella campagna dell'Impero Austro-ungarico, sul confine tra le regioni della Carniola e del Litorale Austriaco


Il tenente Rudolf Szepessy-Sokoll, Barone von Negyes et Reno, osservava con aria annoiata il suo giovanissimo attendente che si stava appisolando. La guancia del ragazzo era appoggiata al freddo finestrino. Fuori, una distesa di goccioline riflettevano la fioca luce elettrica che tingeva di giallo l'interno dello scompartimento. Il vagone di prima classe, su cui viaggiava il giovane barone ungherese, era proprio in coda al treno, dove l'aria era meno inquinata dal fumo e dal vapore della locomotiva.

L'andamento ondeggiante della carrozza conciliava il sonno.

— Attila! — sibilò, e subito gli occhi del giovane si spalancarono.

— Signore?

— Sei stanco?

— No, signor Barone.

— Meglio così. E... Attila, quanto volte ti ho già detto che mi devi chiamare signor tenente e non signor Barone? Siamo sotto le armi, ora, per la miseria!

— Scusi, signor tenente.

Il ragazzo proveniva dai ranghi della servitù dei von Negyes et Reno. Pochi giorni dopo il diciottesimo compleanno, era stato arruolato e destinato alla fanteria. Ma il barone József, padre di Rudolf, aveva mobilitato tutte le sue conoscenze affinché Attila non finisse in trincea ma venisse invece assegnato come attendente al figlio, pilota dell'aviazione Imperial-Regia Austro-Ungarica. Rudolf non nutriva particolare stima per il suo ex-cameriere ma si era sentito obbligato ad assecondare i desideri del padre. Comunque, stava già cercando un modo per sbarazzarsi del giovane lavativo.

— Finalmente ce ne andiamo da quel mortorio russo, — mormorò Szepessy-Sokoll, sbadigliando. — Non mi sono mai annoiato così tanto in vita mia.

— Ma non eravamo in guerra con la Russia, signor Tenente? — chiese Attila. Utilizzando entrambe le mani, si grattava sia il mento sia la nuca.

Il tenente lo guardò con aria schifata. — Attila, a volte mi chiedo dove tu viva. Certo che siamo in guerra con la Russia. Ma il nostro avversario sta sfaldandosi. Non è più una minaccia, tempo poche settimane non esiteranno più, credi a me. E smettila di grattarti; cosa c'è: ti sei preso la pulci?

— No, signore. E quindi li invadiamo?

— No, razza di imbecille. Tempo poche settimane ci saranno persone nuove alla guida della Russia. E ci chiederanno la pace.

Attila sorrise. — Allora si torna a casa. La guerra sta per finire. Lo dicevano che non sarebbe durata molto.

— Alle volte, Attila, non riesco a capire come tu possa non essere ancora stato messo alla porta da mio padre.

Attila abbassò lo sguardo. Si passò le mani sul panno grezzo dei pantaloni della sua divisa. La stoffa della sua livrea, a casa, era di qualità superiore. Non disse più nulla: non voleva far innervosire il barone che, ogni volta che si arrabbiava, cominciava a insultarlo e non smetteva più.

Ma Szepessy-Sokoll si era già innervosito. Fissava il suo attendente con occhi che luccicavano di rabbia. — Dove credi che stiamo andando, cretino?

Il ragazzo non rispose, continuando a fissare la punta dei suoi scarponcini tirati perfettamente a lucido.

— Ebbene? E guardami mentre ti parlo!

— Non lo so signor barone. Cioè tenente. Volevo dire: signor tenente, signore. — Aveva alzato a malapena gli occhi, mentre il viso non si era spostato di un millimetro. Respirava appena.

Il CavaliereWhere stories live. Discover now