14 - Biplano Nieuport Ni.11

14 2 0
                                    

7 Aprile 1916

Prime ore del mattino, cieli sopra Medeuzza (circa 20 km a sud-est di Udine)



E poi li vide.

Due minuscoli punti neri in quel cielo ancora color pastello che il sole aveva appena cominciato a illuminare.

Uno, alto. Sempre alto, irraggiungibile, come piaceva volare a loro. Ma l'altro, forse...

— Quello lo raggiungo,— si disse Francesco. — Quello, questa volta, lo raggiungo.

Con la mano sinistra prese il pomello del gas e tirò dolcemente verso di sé. Il motore rispose subito aumentando il regime di rotazione, rombando più forte, tirandosi dietro il caccia con maggior vigore. Il pilota percepì il cambio di velocità attraverso il basso schienale di legno del seggiolino del suo Nieuport 11, quella leggera pressione sui lombi che significava accelerazione. C'era un misuratore della velocità, fissato su uno dei montanti tra le due ali, ma per consultarne il quadrante occorreva voltare lo sguardo a sinistra, e Francesco non voleva perdere d'occhio i puntini nel cielo.

Quasi senza pensare, spostò la mano sul pomello che regolava l'aria della miscela e lo spinse un poco in avanti. Più giri del motore richiedevano una miscela più ricca: più benzina e meno aria. Era una regolazione delicata, da fare a orecchio, ma Francesco riusciva a farla in maniera istintiva. Molti piloti meno esperti preferivano tenere il motore regolato sempre sul massimo, spegnendolo quando dovevano scendere e riaccendendolo quando dovevano salire.

Solo pochi minuti prima si era goduto l'incredibile spettacolo dell'alba vista dal cielo, con il sole che spuntava dietro alle montagne a est e con le nuvole che si tingevano di un caleidoscopio di colori, ma ora i suoi occhi erano concentrati sugli aerei avversari. Erano Hansa-Brandenburg C.1. Nella notte avevano bombardato Udine.

L'allarme era arrivato alla base di Campoformido attorno alle quattro, prima ancora che sorgesse il sole. I piloti della Prima Squadriglia Caccia erano stati gettati fuori dai letti da un crepitare di batterie antiaeree e, mentre correvano verso i loro aeroplani – i motori già accesi dal personale di terra affinché si scaldassero a dovere – vedevano i fasci dei riflettori danzare nel cielo buio alla ricerca di quegli incursori di cui si sentiva il lontano ronzio dei motori ma che non si riuscivano a individuare nel nero della notte.

Francesco e alcuni suoi compagni avevano cercato di guadagnare quota il più in fretta possibile. Gli austriaci arrivavano sulla verticale dei loro obiettivi volando così in alto che il più delle volte la caccia italiana non poteva raggiungerli prima che essi fossero tornati alla sicurezza delle loro linee.

Ma questo Hansa- Brandenburg, le cui croci nere dipinte sulle ali cominciavano ormai a distinguersi, era più basso. Era davvero alla sua portata.

L'aereo di Francesco era un piccolo e agile caccia Nieuport, talmente piccolo che i piloti l'avevano ribattezzato Bebé. L'aereo austriaco, un biplano biposto, era molto più grosso e pesante. In compenso montava un motore che erogava il doppio dei cavalli. Il risultato dell'equazione era semplice: nonostante la mole l'Hansa-Brandenburg non era molto più lento del Bebè. Anzi, in molte situazioni poteva addirittura lasciarselo alle spalle.

Ma il pilota italiano aveva intuito la rotta che il nemico stava seguendo e aveva manovrato per tagliargli la strada. Se i suoi calcoli si fossero rivelati esatti, l'avrebbe incrociato non lontano dal fronte, sul fiume Torre.

Volse per un breve istante lo sguardo verso l'alto. Sopra l'ala superiore, in modo che i colpi non interferissero con l'elica, era montata la sua arma. Una mitragliatrice Lewis con caricatore a tamburo da 97 colpi. Novantasette cartucce controllate una a una, pulite, lucidate e inserite nel caricatore con la cura meticolosa di un frate certosino. Un granello di sabbia, un colpo che entrava appena sghembo nell'otturatore, un grumo di grasso rappreso: bastava un nulla perché l'arma si inceppasse. Quante volte gli era già accaduto? L'aereo avversario perfettamente inquadrato nel mirino, e la mitragliatrice che si rifiuta di sparare. Oppure che borbotta due o tre colpi, prima di ammutolirsi. E a lui non resta che imprecare e allontanarsi, prima di cambiare lui stesso ruolo da predatore a preda.

Il CavaliereWhere stories live. Discover now