12 - Giuliano Parvis

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26 Ottobre 1917

Primo pomeriggio. Cielo nei pressi del Matajur.



Una cosa era certa: i piloti tedeschi non si arrendevano facilmente.

Baracca, accompagnato ancora una volta da Giuliano Parvis, aveva già abbattuto un biposto poche ore prima, mandandolo a sfracellarsi in fiamme vicino a Santa Lucia di Tolmino. Ora era alle prese con un altro biposto, condotto da un pilota che conosceva alla perfezione il suo velivolo e che riusciva a spingerlo in ardite acrobazie. Il mitragliere, poi, aveva una mira eccellente.

Baracca e Parvis faticarono parecchio prima di ritrovarsi nella condizione di scaricare la loro raffica di proiettili. Ma il mitragliere nemico rispondeva tenacemente al fuoco. D'un tratto, una forte vibrazione e qualcosa colpi Francesco al volto. D'istinto, il pilota si passò la mano sulla guancia e si ritrovò, sul guanto, alcune schegge di legno, scure, lucide. Le riconobbe subito, frammenti dell'elica.

Pessima situazione. Confermata dalla vibrazione che aveva cominciato a diffondersi su tutto il velivolo.

Ma, ecco che finalmente, dopo uno scontro durato ben oltre il solito, l'aereo nemico si inclinò su un lato per poi picchiare decisamente verso il suolo della Masseria Galvonizza.

Parvis e Baracca si affiancarono e si scambiarono uno sguardo, un sorriso. Poi Parvis indicò l'aeroplano decorato con il Cavallino Rampante e fece, con la mano, il gesto convenuto che indicava "Problema." Baracca si guardò indietro. Una scia biancastra lo inseguiva. Un'occhiata all'indicatore della benzina del serbatoio principale, posto tra i suoi piedi sul fondo della carlinga: l'ago si spostava velocemente, troppo velocemente, verso lo zero. Senza pensarci due volte, portò la mano alla levetta montata proprio al centro del quadro strumenti e spostò il selettore da "RESERVOIR" e "NOURRICE" selezionando così il piccolo serbatoio supplementare montato sull'ala. Ma non avrebbe avuto abbastanza autonomia per rientrare a Santa Caterina.

In più, come se l'aereo volesse ribadire la situazione d'emergenza, il motore cominciò a tossire.

Baracca si voltò verso Parvis e ne attirò l'attenzione facendo oscillare le ali. "Scendo qui," gli indicò con le mani. Poi una scrollata di spalle e un saluto. Spense il motore, spostando di nuovo il medesimo selettore su "ARRÊT" e cominciò la planata. Aveva subito danni all'elica, al motore e aveva il serbatoio principale forato: tenere il motore acceso avrebbe significato soltanto cercare guai.

Individuò un campo sufficientemente piatto e libero e, manovrando con la pedaliera, vi diresse il suo SPAD menomato.

Atterrò, scese dal velivolo e si guardò intorno. Non c'era nessuno. Solo, in mezzo a un campo, quando non molto lontano infuriava la battaglia. Doveva trovare il modo di rientrare a Santa Caterina, e in fretta.

Prima, però, verificò lo stato dell'aeroplano. Una palla nemica aveva sbeccato l'elica, altre avevano perforato il radiatore ed erano penetrate sotto al cofano, nel vano motore. E poi c'era il foro del serbatoio: la palla era passata una spanna sotto alle sue gambe entrando dal fondo e uscendo sul lato sinistro della fusoliera.

— Riparabile, — disse a sé stesso, grattandosi il mento. In condizioni normali, la squadriglia avrebbe mandato un autocarro a recuperare il velivolo e, con poche ore di lavoro, sarebbe tornato come nuovo.

In condizioni normali...

Ma le condizioni erano tutt'altro che normali. Le notizie giunte dal fronte prima del suo decollo, poco più di un'ora prima, erano drammatiche. Non si sapeva dove fosse il nemico, ma poteva non essere molto lontano. Sarebbe stato quasi impossibile recuperare il velivolo. E non doveva cadere in mano nemica.

Il CavaliereWhere stories live. Discover now