10 - Károly Kaszala

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24 Ottobre 1917

Sera, base aerea di Sesana, sede della Fliegerkompanie 41J, nei pressi di Trieste, Impero Austro-ungarico



I piloti della Flik 41J erano stati radunati in uno degli hangar, dove una ventina di seggiole erano state allineate di fronte a una parete. Con alcune puntine da disegno, sulla parete era stata appesa un'enorme mappa del fronte isontino. C'erano frecce, numeri, bandiere dell'Impero Austro-ungarico e della Germania, oltre a qualcuna più piccola, italiana.

Godwin Brumowski camminava nervosamente di fronte alla mappa, agitando un frustino da cavallerizzo, ora indicando un punto della mappa, ora frustando l'aria e producendo un acuto sibilo.

— Le cose, — disse per concludere la sua esposizione della situazione, — stanno andando bene. Secondo i piani, direbbero al Comando, ma io preferisco dire: molto meglio delle più rosee aspettative. Stiamo entrando in Italia a una velocità ben superiore a qualsiasi movimento di truppe dall'inizio della guerra a oggi, da una o dall'altra parte. I cannoni avversari, stranamente, sono rimasti muti e questo ci ha permesso di correre senza quasi incontrare ostacoli.

I piloti esultarono e si lasciarono andare a brevi applausi o manifestazioni di gioia.

— E noi? — chiese Linke-Crawford.

— Noi, — rispose Brumowski. — Domani il tempo è bello. Il Comando dice che è cosa certa, quindi si vola. Faremo missioni di interdizione, dobbiamo creare scompiglio ed evitare che gli italiani organizzino un contrattacco. È una gara. Le altre Flik bombarderanno questi punti. — La punta del frustino si muoveva rapida sulla mappa. — E noi della 41J faremo da scorta agli amici. Tenetevi pronti, perché all'alba voglio tutti gli aerei efficienti pronti sulla linea di volo. Liberi, — disse infine per segnalare la fine della riunione.

Rudolf Szepessy-Sokoll si alzò dalla sua sedia senza riuscire a trattenere un sorriso. Forse il suo periodo punitivo era terminato.

— Szepessy-Sokoll, — lo chiamò Brumowski. — Una parola, per favore.

Il barone ungherese lasciò che il sorriso gli si spegnesse sulle labbra, lanciò uno sguardo al cielo e si avvicinò al suo comandante. — Capitano, — disse semplicemente.

Brumowski si sfilò il monocolo e lo lucidò in un fazzoletto. — Domani, lei coordinerà l'armeria. Voglio che ogni aereo che rientra per fare rifornimento sia riequipaggiato di munizioni nel tempo più breve possibile.

— Capitano, io sono un pilota da caccia, non un magazziniere, — sibilò Szepessy-Sokoll, dall'alto dei suoi due metri. Stava sull'attenti, con le mani lungo i fianchi. Le sue dita, che per regolamento avrebbero dovuto restare immobili, continuavano a grattare la stoffa dei pantaloni. Era nervoso e arrabbiato, ma doveva cercare di non darlo troppo a vedere.

Il comandante si riportò il monocolo all'occhio e diresse il suo sguardo deformato dalla spessa lente verso mento del barone. — Un pilota da caccia, — disse piano, scandendo bene le parole, — obbedisce agli ordini del suo comandante. Un pilota da caccia non profana un volo di commemorazione a un collega aviatore caduto per lanciare i propri personali messaggi di sfida. Un pilota da caccia mette il bene della propria squadriglia davanti ai suoi interessi e alle sue ambizioni. Mi dica, Szepessy-Sokoll, lei è davvero un pilota da caccia?

L'ufficiale ungherese deglutì. Stava giocandosi il futuro, ne era consapevole. Quello smidollato di Brumowski non aveva apprezzato la sfida a Baracca ed era ormai una settimana che non perdeva occasione per redarguirlo od ostacolarlo. — Signor capitano, — cominciò. — Io sono il migliore pilota da caccia che lei ha a disposizione. Attendo solo l'occasione per poterglielo dimostrare. Ma questo non accadrà mai se continua ad affidarmi incarichi a terra.

Il CavaliereWhere stories live. Discover now