Milano sotto le bombe

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24 ottobre 1942.
Mi trovavo nella mia camera da letto, tra le mani stringevo un grosso volume di anatomia umana, il mio sogno più grande era di poter diventare un luminare della medicina, un medico rispettato e ammirato da tutti. Un sogno che però era sempre stato messo in discussione da mia madre Isabella. Lei pensava che la medicina e la scienza fossero pratiche diaboliche; molte volte le avevo spiegato che quelle "pratiche diaboliche", come le chiamava,  potevano migliorare e salvare delle vite. Ma come al solito non ne voleva sapere di darmi retta. Troppo convinta dalle sue idee poco liberali.
Isabella era molto apprensiva verso di me e forse non era da biasimare. Da quando mio fratello Fabio era partito per il fronte due anni prima, era cambiata, assumendo atteggiamenti quasi maniacali; come andare in chiesa a confessarsi ogni giorno, seguire la messa del mattino, del pomeriggio e della sera. Passava più tempo in chiesa che a casa. Tralasciando ogni cosa che non fosse rilevante.
-Lorenzo!- era Isabella. Mi stava chiamando dall'androne. -Lorenzo!-
-Eccomi...- scesi dal letto e le andai incontro. Rimasi sulle scale a sufficienza per ammirare i suoi tratti. Era poco più bassa di me, lunghi capelli scuri raccolti tra monili fioriti e con il viso quasi da bambina. -Sono qui madre.-
-Lorenzo vieni. Tuo padre vuole parlare con te.- mi accompagnò nel soggiorno.
Appena entrai, trovai mio padre intento a leggere il giornale. -Padre!- dissi entrando.
Lui mi guardò con i suoi occhi da cucciolo smarrito. Pietro Borghetti era un uomo tarchiato, stempiato e con gli occhiali a mezzaluna che ogni tanto gli scivolavano sulla punta del naso. -Ah. Sei qui. Avvicinati!- Il suo tono di voce era stranamente pacato e calmo.
Mi sedetti davanti a lui sulla poltrona di velluto.
Si schiarì la voce e dopo aver posato gli occhiali sul tavolino accanto a se mi disse, -Volevo parlare del tuo rendimento scolastico... questa mattina il preside mi ha detto che hai avuto una lite con un tuo compagno e che vi siete picchiati...-
-Mi dispiace padre...- Tenni lo sguardo basso.
-Posso sapere per quale motivo ai litigato con quel giovane?-
-Nulla... è stata una zuffa tra ragazzi.- fu l'unica risposta che mi venne in mente di dire. Non potevo rivelare che il vero motivo stava nel fatto che il ragazzo in questione mi avesse chiamato "invertito"; così com'erano chiamati i ragazzi omosessuali. Però non sbagliava, lo ero. E non potevo farci nulla. Ma in una nazione con persecuzioni razziali imposte dal governo, non potevo permettere che saltasse fuori la verità. La mia famiglia ne avrebbe risentito parecchio.
Pietro rimase a guardarmi per poco, poi mi congedò e riprese a leggere il giornale.
-Tesoro mio...- disse Isabella. -Lo sai che non sta bene che un ragazzo di buona famiglia faccia a botte con il prossimo.-
-Lo so madre. Perdonate.-
Me ne tornai in camera e ripresi a leggere, ma poi, guardando per qualche instante fuori dalla finestra, qualcosa attirò la mia attenzione.
Sfrecciavano nel cielo a gran velocità, all'inizio pensai che fosse uno stormo di uccelli. Sgranai gli occhi e... non erano uccelli, ma bombardieri e venivano verso di noi.
In quel momento le sirene suonarono l'allarme. -Madre! Padre!- uscii dalla camera urlando.
-Che succede?- Pietro venne verso di me seguito da mia madre.
In quel momento si susseguirono una serie di esplosioni e di boati che invasero tutta la città, facendo tremare i muri della casa.
Isabella si mise a gridare in preda al terrore.
-Nel rifugio!- Pietro ci prese per un braccio e a forza ci fece uscire nel cortile sul retro della casa. Aprì uno sportello di metallo che conduceva sotto terra. In quel momento una decina di bombardieri passarono sopra le nostre teste, mentre le urla della gente si mescolavano alle esplosioni.
-Cosa fai. Entra!- Pietro mi spinse dentro il rifugio. E lo chiuse.

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