Sorriso

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-dottore...-

I suoi occhi mi fissavano stanchi e leggermente arrossati, quasi come un pianto lo avesse sopraffatto improvvisamente. Si passò una mano sulla faccia, strizzando le palpebre, e lesse pensai per la millesima volta le carte che teneva in mano.

I suoi movimenti mi mettevano ansia e paura, tanto che temetti il peggio.

"Non può- ... vero?..."

Rimasi lì, fisso, accovacciato su una scomoda sedia di plastica dell'ospedale con addosso una coperta di flanella blu scuro con sopra degli orsacchiotti, un braccio forte a sostenermi da dietro e lo sguardo dei miei compagni puntato addosso, tutti con un velo di ansia imparagonabile a quella che stavo provando io.

A mia volta fissai il medico. Il suo occhio si muoveva veloce sul foglio, a leggere chissà cosa di importante mentre la mia pazienza stava raggiungendo il limite ultimo della sopportazione.
Poi improvvisamente mi fissò. I suoi occhi grigi assomigliavano così tanto a quelli del coach della Shiratorizawa che mi pietrificarono sul posto. Non mi ero resoconto della grandissima somiglianza tra i due.

Si avvicinò a passo lento, ma lo sguardo sicuro. Non mi staccò gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, fissi nei miei marroni mentre la distanza si accorciava sempre di più.
Appena fu abbastanza vicino mi mise una mano sulla spalla, con forza, e mi scosse un poco come per risvegliarmi da una trance.

-dottore... lei... lei come-

Mi morirono le parole in gola.
I suoi gesti, il suo sguardo fisso sulla cartella clinica, gli occhi arrossati mi portarono alle peggiori conclusioni a cui potessi arrivare.
Lenta, una lacrima solcò nuovamente la mia guancia, dopo ore che avevo finito tutta la riserva di gocce salate.

La sua mano, dalla mia spalla, si spostò sulla mia guancia per asciugarmela.

-lei è...-

Il suo sorriso mi bloccò di colpo.
Sorride?
Perché dovrebbe sorridere... allora...

-è viva. Non so per quale miracolo, ma è viva.-

Il cuore mi si strinse in una morsa, come se la cosa più brutta che gli si potesse presentare fosse arrivata. Calde lacrime ripresero a scendere, alimentate da non so più quale parte del mio corpo, tante ne avevo versate.
Mi rinchiusi dentro di me e piansi, piansi e piansi.

Fosse stato per la mia volontà avrei smesso volentieri, il mio corpo non ce la faceva più a sopportare la situazione, eppure continuava da solo imperterrito. Neanche se mi ci mettevo d'impegno mi dava la possibilità di controllare le mie azioni.

"Ma perché sto ancora piangendo?"

Infatti, perché stavo piangendo?
È viva, LEI È VIVA, e non avrei potuto essere più felice. Eppure le lacrime scendono.

Ma dopo questa presa di coscienza improvvisa, quelle gocce cambiarono di significato: erano lacrime di gioia, di sfogo di un'ansia durata ore nell'attesa di qualche notizia, gocce che affluiscono da un piccolo serbatoio separato, riservato unicamente alla felicità. Un sorriso disperato si allungò sul mio viso bagnato e contorto da alcune smorfie. In modo scomposto cercai di alzarmi, buttando a terra la soffice coperta che mi era stata avvolta intorno.

-voglio vederla... ora... adesso-

Le mie mani si protrassero in avanti andando a cingere le esili spalle del dottore, anche lui un po' scosso dalla mia reazione. Con fermezza gelida mi prese per un polso. La stretta non era forte, anzi sembrava anche molto leggera, ma non dava la possibilità di fare il minimo movimento, bloccandomi la mano lì dove si era poggiata momentaneamente.

A Piccoli Passi / Nishinoya YuuWhere stories live. Discover now