22. Non abbandono nessuno

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La base delle mie certezze, o della mia scala se la immaginiamo fisicamente, è formata da tante piccole cose della mia quotidianità: la mia casa, la scuola, i miei amici e la famiglia. Come la scala di tutti non sempre è solida ma a volte risulta fragile e prossima a spezzarsi.

Se le mie certezze s'infrango lo faccio anch'io. Sono terrorizzata dalla sola ipotesi, dal cadere. Non ho mi imparato a rialzarmi, non ci riesco. Il primo passo verso il baratro è l'abbandono, quello di mia nonna, seppur involontario, ha tolto le fondamenta più solide della mia scala.

Fin da piccola non mi è mai piaciuto non aver sicurezze, buttarmi nel vuoto senza paracadute o fidarmi di una persona senza conoscerla. Posso esser impulsiva e arrabbiata, si, ma non sprovveduta. Forse sono iperprotettiva nei miei stessi confronti.

Spesso ho letto, ho sentito parlare di muri. Muri, che persone ereggono intorno a loro per non esser ferite, il mio muro è sotto i miei piedi ed ha l'aspetto di una scala. Una scala che traballa sempre di più, una scala che percorro avanti e indietro.

E così, cercando di mantenermi stabile su una scala pericolante, mi aggrappo alle certezze, alle persone. Resto nella mia zona sicura, privandomi di molto e limitandomi. Oltre a ciò dedico tutta me stessa a ciò che rientra nella cerchia di sicurezza.

Forse sono di parte ma mi reputo una buona amica, un'ottima famigliare. Forse non sono la figlia perfetta ma i miei genitori ce ne mettono del loro. Come ogni adolescente però, sono convinta che in questo momento senza di loro impazzirei.

L'ho capito ora che sono in ospedale, seduta su una scomoda sedia d'attesa con mio padre di fianco e mia madre in una delle camere a far chissà quali controlli con la dottoressa. Mia madre... un altro mattone che potrebbe venirmi strappato con la forza. Troppo presto e senza preavviso. Anzi, forse c'è persino stato il preavviso ma non me ne sono mai accorta, erano troppo bravi a nasconderlo.

Dalla sera in cui per la prima volta l'ho vista star male sono passati un paio di giorni. Ora dovrebbero esser le sette di mattina e fra poco dovrei andare a scuola, invece sono qui, da ben tre ore.

Mio padre non ha aperto bocca, si è rifiutato di spiegarmi la situazione giustificandosi con un banale "Dev'essere tua madre a farlo" che scusa stupida, ad ogni modo non mi sembra proprio il caso d'iniziare una litigata in un posto così affollato, quindi ho lasciato perdere.

«Dovresti andare a scuola Kath»

«Non se ne parla, aspetterò qui con te e appena mamma avrà finito mi spiegherete tutto», lo osservo non ammettendo repliche. Abbassa la testa e sospira.

«Ho chiamato la famiglia di Naomi e ho detto loro tutto, starà arrivando ormai». Conosco mio padre, è un uomo abbastanza orgoglioso della sua apparenza. Non si abbasserebbe mai a rivelare alla nostra piccola cittadina di pettegoli che la nostra famiglia non è perfetta. Mia madre non ci ha mai fatto caso ma la corona da figlia perfetta che gli altri mi assegnano ha sempre pesato.

Forse è proprio per questo che non posso far a meno d'esser sorpresa. Non mi aspettavo lo dicesse a qualcuno, insomma è arrivato persino a nasconderlo alla sua stessa figlia! Sempre se questo, va avanti da molto ed è questo il loro segreto...

«Grazie»

«Hai bisogno che qualcuno ti stia vicino, qualcuno di cui ti fidi. E in questo momento hai bisogno di staccare un po', è per questo che andrai a scuola». Appoggia la mano sulla mia e la accarezza leggermente. Un gesto semplice, ma l'ha sempre fatto nei momenti difficili, soprattutto durante la malattia della nonna. «Intesi?».

Tutta questa situazione non sta turbando solo me, ma anche lui e per quanto si sforzi di nasconderlo è abbastanza ovvio. Sta crollando come me, ma nonostante tutto si mostra forte davanti ai miei occhi per non far crollare anche me. Gli sorrido riconoscente dopo moltissimo tempo. «Intesi»

Come il cielo a mezzanotte Where stories live. Discover now