Gemma e Beatrice

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Gemma guarda fuori dalla finestra, Firenze è coperta da una soffice coltre di neve.
La luce mattutina dona colori tenui ai fiocchi di neve che cadono leggeri; vi è un silenzio irreale. Osserva la strada ed è impaziente perché attende il servitore a cui ha ordinato di consegnare l'epistola per Beatrice.
Chiude gli occhi in un gesto di stizza con se stessa, sa benissimo che non ha nessun diritto di essere gelosa, lui non la ama e non ne ha fatto mai mistero.
Si pone spesso una domanda, cosa prova per Dante?
Lei è una Donati, la sua famiglia appartiene ai guelfi neri, dunque opposti al suo consorte che è un guelfo bianco e ciò provoca spesso delle tensioni; viene accusata di non dare la sua fedeltà a lui che ne è il marito.
Si allontana dalla finestra e si dirige con passo deciso verso lo scrittoio, guarda la piuma d'oca con cui ha scritto l'epistola e ripete mentalmente la missiva poiché l'ha scritta e riscritta più volte:

Egregia donzella Beatrice
Son Gemma, consorte di Dante,
L'epistola mia ambasciatrice
Vorrebbe stanarne l'amante.
Risponda com'acqua sincera,
Sia limpida, argentina, vera.

Stringe le mani in grembo torcendole leggermente, socchiude gli occhi e stira le labbra in un sorriso amaro; l'assale nuovamente il pensiero che la tormenta da tempo: quale amore ci può essere tra un uomo e una donna legati da un matrimonio attraverso instrumentum dotis?
Ricorda il giorno in cui fu convocata dal padre che le comunicò che sarebbe andata in sposa a Dante figlio di Alighiero degli Alighieri, non le era permesso opporsi.
Gli Alighieri avrebbero ricevuto una ricca dote e la sua famiglia avrebbe stretto un utile alleanza.

Beatrice è da poco tornata dalle Lodi mattutine, accompagnata dalla balia, si è ritirata nelle sue stanze quando discretamente suonano alla porta.
«Avanti».
Il servitore entra e le porge la missiva.
La prende incerta e l'uomo sembra attendere una risposta.
«Puoi andare».
La donna osserva l'epistola rigirandola tra le mani, non ne comprende la provenienza.
La apre e mentre ne legge il contenuto sul suo viso si dipinge lo stupore e un lieve rossore le tinge le guance. Stringe con due dita le tempie cercando di capire cosa fare, rispondere?
Ha intravisto Gemma Donati qualche volta nella messa domenicale, conosce Dante Alighieri per la sua fama di poeta. Aveva notato i suoi insistenti sguardi e qualche volta gli aveva risposto fugacemente, ma l'accusa di esserne l'amante è infondata e impossibile.
Rilegge la lettera ancora una volta per essere sicura di non essersi sbagliata e si rende conto che tale accusa è assolutamente inaudita, dunque le pare giusto rispondere a Gemma Donati.
Si siede allo scrittoio e le parole adatte alla risposta sono presto scritte.

Caro cristallo dei Donati,
Con umiltà mi pongo innanzi
Le voci che ci fan amanti:
Son solo ornamenti, perianzi.
Non sono amante, elevatrice,
Angelo, son solo Beatrice.

Bussano discretamente e lei sobbalza, sente l'inquietudine farsi strada, ma l'hanno educata a non dimostrare emozioni, si siede perché sa in cuor suo che il servitore ha portato la risposta di Beatrice. Prende fiato.
«Avanti».
L'uomo avanza silenzioso e le porge la missiva. Gemma la prende, la guarda, è un foglio ben piegato e non vi è nessun nome.
«Attendi fuori, grazie».
Lui fa un cenno con la testa e va via chiudendo la porta dietro di sé.
Gemma apre la lettera e ne legge il contenuto a voce bassa, come se pronunciare quello che vi è scritto lo rendesse più reale; poi lancia l'epistola sullo scrittoio stizzita.
«Angelo? Sono solo voci? Come osa codesta donna mentire così spudoratamente!».
Già da tempo ha notato Beatrice Portinari, si afferma che fosse una donna di grande rettitudine e che avesse un carattere particolarmente riservato.
Una domenica durante la celebrazione l'aveva osservata e l'aveva colpita il suo sguardo algido, ma aveva anche notato gli sguardi fugaci che il marito le rivolgeva. Non era sicura che lei ricambiasse, ma il sospetto era presto divenuto una mezza verità quando le avevano riferito che lui aveva composto un sonetto per celebrarne le virtù.
Aveva deciso di scrivere a Beatrice perché Dante, in sogno, aveva chiaramente pronunciato il suo nome.
Si siede allo scrittoio, decisa scrive.

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