23. Urgano

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Quando mio padre mi ha chiamato poche ore dopo il quasi ricovero di mia madre in ospedale, ho subito pensato al peggio, e come biasimarmi? Io e Naomi siamo partite subito da scuola, abbandonando le ultime due classi per dirigerci in ospedale.

Sono appena scesa dalla macchina e nonostante il pensiero di perdere un genitore mi uccida, al momento vorrei solo risalirci e chiudermici dentro per sempre. Lontano dalla realtà: dalla malattia di mia madre, dal ricordo della nonna, dalla tristezza di Allen e papà.

Se ben per motivi diversi il mio miglior amico e mio padre stanno passando un momento... complicato, insolito forse. Vorrei dividermi in due ed esserci per entrambi e per mia madre. Vorrei che Allen mi fosse vicino se non per farsi consolare per consolare me. Ma la verità è che non ne ho le forze.

Ritornare a scuola normalmente, anche solo per poche ore mi ha fatto pensare, riflettere su tutto ciò che in pochi attimi è diventato il mio tutto, la mia priorità. Anch'io avrei riso e scherzato come Julie del terzo anno se mia madre non fosse in ospedale, anch'io come Joseph di prima sarei stata entusiasta di fare nuove amicizie se mi fidassi di me stessa e non pendessi sul filo di un rasoio.

Fino a ieri tutto ciò che contava per me era non dileguare mai il ricordo di mia nonna, domani potrà aggiungervisi quello di mia madre. Non voglio pensarci, non succederà nulla.

Ad ogni passo sul pavimento lucido un greve peso affonda sempre di più in me. É una sensazione diversa da qualsiasi cosa io abbia mai provato. Un misto fra presentimento e soggezione. La mia mente mi sta giocando brutti scherzi, mi sento travolta, come nell'occhio di un ciclone.

Il cielo è grigio e riesco a percepire solo piccoli squarci di esso, tutt'attorno il vento sibila, le fronde degli alberi frusciano e io ululo il mio panico. Non voglio mai più sentirmi così ma lo trovo inevitabile.

Svoltiamo l'ultima scala e davanti a noi, nella sala d'attesa, non c'è nessuno. É passato poco tempo dalla chiamata con mio padre, perché non è qui? Non ha specificato nulla, avvertendomi solo di venire il prima possibile.

Inevitabilmente il panico ha la meglio, il ciclone muta in un uragano. Stringo i denti e mi spingo verso la camera di mia madre. La mano che non mi ero accorta esser riscaldata, perde il calore di quella di Naomi, rimane indietro e si siede su una delle sedie con la testa fra le mani.

Tutto questo sembra assurdo. Per un adolescente non dovrebbero esistere problemi, se non ci godiamo noi la bella vita, chi può farlo? É spaventosa la fragilità di un istante, il lieve fruscio che basta per spezzare la tranquillità.

Prendo un respiro profondo e busso leggermente alla porta. Nessun infermiere in vista, posso entrare in tranquillità anche se non mi è permesso. Lentamente apro la porta. Col fiato sospeso per la preoccupazione mi muovo in silenzio, aprendo e richiudendo la porta alle mie spalle.

Vicino ad un lettino vuoto c'è una tenda tirata, la luce mi permette di riconoscere le sagome dietro ad essa. Mio padre e mia madre. Lei è seduta sul letto e sembra star appoggiando una mano sulla sua spalla.

Sorvolo sul senso di inadeguatezza per aver interrotto un momento intimo, e a passi felpati li raggiungo. La prima a notarmi è lei. In realtà ha la mano destra posata sul petto di lui, i capelli scompigliati e la pelle marmorea. Il solito look stanco.

Sorride debolmente e protrae la mano libera nella mia direzione, a quel gesto anche Robert di gira. Afferro con decisione le sue lunghe dita e mi stringo accanto al letto.

«Stai bene?», l'unica cosa che sono riuscita a chiederli. E mi sembra piuttosto ovvia la risposta.

«Ora che siete entrambi qui si, è giunto il momento di raccontarti la verità». Stringe la presa sulla mia mano e si scambia un'occhiata con il marito. La fede di entrambi sembra brillare di luce propria, come testimone indiscussa del loro amore, ancora vivo e forte.

Come il cielo a mezzanotte Where stories live. Discover now