33. Ringraziamento

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Al contrario delle mie aspettative il pranzo è andato meglio del previsto. Di imbarazzo ce n'è stato molto, ma non per me. Il moro è stato protagonista delle chiacchere e dei pettegolezzi, conteso fra i miei parenti. Tutti, chi più compostamente, chi meno, aspettavano il proprio turno per porre domande al ragazzo.

Il diretto interessato, seduto di fianco a me, rispondeva pacatamente non risparmiandomi occhiate disperate. Ad un certo punto mi ha persino guardata malissimo, probabilmente ormai consapevole del fatto che io non l'avrei aiutato, ma sarei stata zitta zitta a ridacchiare.

«Kathryn ci ha detto che fai parte della squadra di football, in che ruolo giochi?», chiede mio padre prendendo un abbondante boccata di patate bollenti. Il suo viso diventa rosso per alcuni secondi a causa della temperatura elevata.

Allen al mio fianco mi lancia un'occhiata, si abbassa verso di me e si lecca le labbra ancora sporche di salsa prima di avvicinarsi al mio orecchio. «Quindi parli di me?», ghigna prima di rispondere a mio padre.

Che sfacciato, non perde occasione per ricambiare il favore e mettermi alle strette. Gli tiro un calcio da sotto il tavolo e lui ride.

«Sono l'halfback. L'anno scorso giocavo come capitano della difesa, in seconda linea difensiva, ma il coach aveva altri piani per questa stagione».

«Un bel cambio, come mai?», s'intromette nella conversazione Winne. Entrambi gli uomini della mia famiglia, da bravi americani, sono grandi tifosi del football.

«Sono molto veloce, ed a parte l'altezza non sono molto adatto al ruolo del difensore. Comunque il coach sembra convinto della sua scelta, abbiamo vinto le prime due partite della stagione e speriamo di vincerne altre». C'è stata un'altra partita dopo quella a cui io ho assistito, purtroppo non sono andata a far il tifo. Io ed Allen non avevamo ancora risolto, e un po' per orgoglio ho preferito non andarci.

Ad ogni modo Naomi mi ha riferito che i ragazzi hanno giocato magnificamente, probabilmente ha guardato per tutto il tempo Landon. I due si frequentano, credo. É una relazione strana la loro.

Solo quando dopo diverso tempo in silenzio, tra una portata e l'altra, mio zio mi ha colta totalmente alla sprovvista. «Allora, da quanto state insieme?». La domanda sembra riferita ad entrambi, molto intima ma pronunciata di getto. La facilità con cui mio zio è giunto alla conclusione che noi due stessimo insieme mi ha bloccata per alcuni secondi, secondi preziosi. Ormai ben quattro paia di occhi sono puntate su di noi, tutti curiosi di sentir la risposta.

Al mio fianco Allen si agita sulla sedia. Sento le guance bruciare, animate dal fuoco dell'imbarazzo. Com'è arrivato a questa conclusione? Si nota tanto che mi piace ed ha semplicemente supposto?

«Noi non, non stiamo insieme...», sussurro al limite dell'imbarazzo. Ormai sento persino le orecchie rosse. Quando lo sguardo blu del moro si posa su di me, perdo totalmente il contatto con la realtà.

Mi viene spontaneo abbassare il capo per nascondere il rossore. Vorrei distrarmi facendo finta di sistemar i capelli, ma la verità è che sono perfetti così. Allen non ha fatto un lavoro magnifico, ha giocato per un po' con le mie ciocche, poi con calma ha intrecciato i capelli. Numerose ciocche gli sono sfuggite dall'operato, ma il risultato complessivo per qualche motivo mi ha quasi emozionata.

Non voglio rovinarlo, e non voglio nemmeno scordare il dolce sorriso che ha fatto ad opera compiuta. Da quando siamo scesi fino a poco fa', sul mio viso alleggiava uno spensierato sorriso.

Purtroppo, o per fortuna non c'è stato tempo per altro imbarazzo; la voce preoccupata di mio padre ci ha scossi tutti. Chiamava mia madre mentre quest'ultima si contorceva. Mormorava frasi sconnesse, e com'è frequentemente successo nell'ultimo tempo, cade preda alla malattia. Per lei è un enorme imbarazzo mostrarsi così davanti a noi, specialmente con uno "sconosciuto" alla tavola. Sa di star turbando me, il piccolo, e Allen.

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