Despite Me (Volume 1.)

1. Becca

"Ti prego, possiamo sistemare le cose. Ripensaci"

Spengo il telefono perché so che se lo lasciassi acceso, Douglas comincerebbe a riempirmi di telefonate e messaggi e non ho intenzione di rispondere a nessuno di essi.

Ci ho messo del tempo a capire che lui non era il ragazzo adatto a me, ho cercato in tutti i modi di far funzionare la nostra relazione, ma è ora di voltare pagina. Non posso rimanere legata a una persona con cui non ho nulla in comune, che mi fa soffrire e che non è capace di amarmi.

Non mi ascolta, non mi capisce ed è da tempo che non sento più le farfalle nello stomaco. E dopo il nostro incontro di ieri, non sono più disposta a sacrificarmi per lui.

Chi ha detto che bisogna fare sacrifici quando si ama qualcuno? Non si deve cambiare o sforzarsi di essere ciò che non si è per amore. Ci si può adattare l'uno all'altro ma non arrivare a non riconoscersi più. Questo è successo con Douglas: ero così concentrata su di lui da perdere me stessa.
Partire per Boston mi aiuterà a staccare la spina da lui, dalla monotonia della mia vita e ricominciare da capo.

Ricominciare. È una parola che mi fa così paura e allo stesso tempo mi affascina: so cosa sto lasciando ma non cosa troverò. La mia unica certezza è Gwen.

«Siamo arrivati» annuncia mio padre sistemando l'auto nel parcheggio dell'aeroporto e interrompendo i miei pensieri.
Scendo dalla macchina, afferro la mia valigia e, tallonata dai miei genitori, entro dentro il grande aeroporto di Brighton. Non ci sono mai stata, non ho mai preso un aereo, e anche questo mi spaventa. C'è moltissima gente, chi piange per una partenza o per un arrivo, chi se ne sta da solo con un telefono o un libro in mano e chi sembra sperduto e spaesato quanto me.

Ho passato tutta la notte ad immaginare come sarebbe stato lasciare i miei genitori, volare, arrivare in una città che non conosco e trasferirmi in casa di una donna che ho visto solo in fotografia. Nessuna delle mie esperienze passate si avvicina minimamente a quello che sto per affrontare e nemmeno la mia fervida immaginazione riesce a costruirlo.

Non ho dormito perché pensare a un piano mi sembrava un programma migliore che passare otto ore con gli occhi chiusi a non fare niente. Invece ora, capisco che è stato tutto inutile e che se avessi provato a riposare, la testa non mi scoppierebbe come in questo momento.

«Devi proprio andartene?» chiede mia madre con le lacrime agli occhi. Ha un brutto rapporto con gli addii, fatica a metabolizzare la partenza di qualcuno e la mia soprattutto, che non mi sono mai allontanata da casa per più di dieci giorni. Era l'unica mamma che si commuoveva quando andavo in gita con la mia classe, sembrava stessi partendo per il fronte e ogni volta che tornavo a casa, celebrava il mio rientro con una torta alle carote, la mia preferita.

Le sue lacrime però oggi sono più comprensibili: mi sto trasferendo in un altro continente e sarò di ritorno solo a Natale per qualche settimana.

Annuisco appena e tendo le mani nella sua direzione; mi abbraccia stringendomi in una morsa fortissima, a cui si unisce poi mio padre racchiudendoci entrambe con le sue grandi braccia.

Mi sfuggono un paio di lacrime che cerco di ricacciare dentro per non dare a vedere anche la mia di tristezza. Devo essere forte almeno io, altrimenti rischio di non partire più sul serio.

Mi mancheranno. Mi mancherà la mia casa, la mia camera, la mia famiglia, il mare e probabilmente anche Douglas. Ma cercherò di pensare a lui il meno possibile. Non riuscirò mai a costruirmi un futuro se continuo a rimanere con entrambe le gambe nel passato. Devo cominciare a muovere i primi passi da sola.

I miei genitori sono molto affezionati a Douglas, veniva spesso da noi a cena e lo hanno sempre trattato come un figlio. Sono rimasti molto stupiti e dispiaciuti quando ho detto loro che tra noi era finita. Ho omesso però il vero motivo per cui l'ho piantato, l'ho fatto per lui, perché non volevo che perdesse ogni tipo di credibilità davanti ai loro occhi. E per non sembrare un'idiota io stessa.