14. Rivelazioni

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Il mio letto, il mio piumoncino fuxia, uno dei miei pigiami più comodi, ma anche uno dei più brutti. Quando aprii gli occhi realizzai di essere a casa mia, nella mia stanza. Mi alzai dal cuscino mettendomi seduta sul letto. Sentivo un dolore lancinante all'occhio destro e alla guancia, e la testa chiedeva disperatamente di tornare sul cuscino. Acconsentii alla sua richiesta e ritornai distesa. «Ok... sì... glielo dirò» la voce di Peppe mi entrava sfumata nelle orecchie dal piano di sotto. «Ho già parlato con i miei, signora Connery. Resto qui con lei... va bene, a presto». Signora Connery? Ma che cazzo? Perché stava parlando con mia madre? Saltai fuori dal letto e, nonostante il forte giramento di testa, trovai la porta e feci per avviarmi verso le scale, quando sentii la porta d'ingresso sbattere. «Peppe, ci sei?» gridai, cercando di capire se fosse uscito lui, o se avesse fatto entrare qualcuno. Nessuno mi rispose. Meno male che doveva restare con me! Infastidita, andai nel bagno della mia camera e l'immagine riflessa sullo specchio mi frizzò «Oh mio Dio. E questo cos'è?» la mia faccia era stata invasa da un grosso, violaceo, impressionante livido. Questo spiegava il dolore al mio risveglio. Ma da dove veniva? Cercai di ricordare la serata di ieri sera, ma avevo soltanto l'immagine di Sam e Peppe che mi trascinavano per la Vucciria tenendomi per mano, ricordavo di aver bevuto tanto, ma nient'altro. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel dannato livido sul mio viso, non riuscivo a capacitarmi come me lo fossi procurato, chi me lo avesse fatto, non ricordavo niente e questo scatenò il mio solito tremolio all'occhio sinistro e una serie di lacrime bollenti invadermi le gote. Peppe sarebbe tornato, ne ero sicura. Probabilmente era andato a comprare qualcosa da mangiare, che potevo saperne io? Non sapevo un cazzo. Ero solo una deficiente in preda al post-sbornia e ai vuoti di memoria. Notai i vestiti che indossavo ieri sera ammucchiati in un angolino, uno stivaletto vicino la vasca e l'altro vicino il lavandino. Feci una smorfia dimenticandomi per un secondo del livido sul viso e imprecando per il dolore che mi aveva provocato la dimenticanza. Rassegnata, lavai i denti e feci una doccia nella vasca. L'acqua calda scorreva fluida sul mio corpicino delicato, sui miei capelli ridotti in paglia, sul mio viso usurpato. Sentii ancora lacrime fondersi con il getto d'acqua e mi lasciai trasportare dalla mia vulnerabilità. La mia vita stava prendendo una piega decisamente insoddisfacente. Rispetto alla mia vita nel New Jersey, con Jake e Claire e James, cos'era cambiato? Niente. Le solite uscite, con lo stesso tipo di persone, nello stesso tipo di luoghi. A proposito di persone, ricordai di aver conosciuto tanti ragazzi e ragazze, ricordai che c'era Fedo con noi e che scherzava in modo particolare con me. Nient'altro. Erano solo flash. Uscii da quella doccia rigenerante e pensai subito di andare a mettere qualcosa su quel livido maledetto. Quando mi asciugai, presi una tuta attillata e una maglietta di cotone comodissima. Scesi in cucina, presi una Tachipirina effervescente per calmare il mal di testa, e sgranocchiai una carota accompagnata da un succo di frutta ACE. Quando presi il cellulare per la prima volta, quella mattina, spalancai gli occhi trovando dieci messaggi. Uno di Amanda, la mia compagna buffona, "Ohhh Haley come stai? Rispondimi quando ti svegli!" Ah, quindi c'era anche lei ieri sera? E perché questo interesse? Cosa avevo combinato? C'era un messaggio di Sam "Piccola, domani ti vengo a trovare :-*". Un altro di Emy "Etnapolis è meravigliosa! Michelle e papà ti hanno pensato ;)" Mi spuntò un sorriso al pensiero che i miei si stavano divertendo e che erano all'oscuro di tutto. Ma all'oscuro di cosa? In fondo non sapevo nemmeno io cosa fosse successo e la cosa cominciava a spaventarmi. Scorrendo per i messaggi ne trovai uno di Fedo "Haley, scusami, spero potrai perdonarmi :(" Corrugai la fronte in cerca di un ricordo, qualcosa che mi potesse collegare al suo messaggio. Niente. Non ricordavo. Perché mi aveva chiesto scusa? Mi aveva provocato lui il livido? «Dannati vuoti di memoria!» Tirai il cellulare con furia verso il muro, ma qualcuno spuntò all'improvviso afferrandolo con tranquillità. «Capisco se vuoi prendermi a colpi di cellulare... Comunque ciao» Era lui. Lui. Fabrizio. Il fantasma moro stava lì in piedi nella mia cucina. La luce del giorno rese la visuale di quella creatura ancora più nitida e dettagliata rispetto a quelle volte in cui l'avevo visto. Indossava la sua solita maglietta rossa troppo larga e i suoi jeans strappati che mostravano delle ginocchia sensuali e mascoline. Aveva i capelli più neri che mai, come pece, e le sue labbra si sposavano con uno sguardo oscuro accerchiato dalla sua spaventosa cicatrice. Si mise a giocherellare col mio cellulare e mi sorrise, con un sorriso diverso, giovane, umano. Oh mio Dio. L'effetto che mi faceva restava sempre lo stesso. Sentii il cuore martellare nel petto supplicando di uscire. Il mio tic era tornato e la mia bocca dischiusa fece entrare aria fredda. A passi decisamente troppo lenti, si avvicinò a me, porgendomi il cellulare. Ricordai di avere quell'antiestetico livido e imbarazzata mi girai di scatto dandogli le spalle. «C-cosa ci fai qui?» «Sono venuto a chiederti scusa» avevo dimenticato il suono della sua profonda, raschiosa voce. Si vorrà scusare per la sua assenza. Cercai di nascondere un sorriso, mi sentivo eccitata, la schiena mi tremava, un brivido mi percosse la nuca. Il fantasma si avvicinò a me e mi apparve a qualche centimetro davanti. No! Il livido! Non potevo nascondermi «Sì, beh, hai scelto il giorno perfetto per venirmi a trovare!» dissi con una smorfia indicando l'enorme ematoma sul mio viso. Fabrizio aveva gli occhi neri dilatati e le labbra dischiuse, e dal suo sguardo penetrante potevo intuire che aveva qualcosa da dirmi. Scrutò il mio viso, non rispose, non reagì in nessun modo alla mia battuta sarcastica, fissava il livido con le sue profonde ossidiane. Si chinò su di me. Per la prima volta in tutta la mia vita, mi ritrovavo a pochi centimetri da un fantasma, e la mia soglia di sanità mentale stava decisamente calando. Mi persi nelle sue labbra, ero una zanzara attirata dal sangue dolce, ansiosa di pungere e succhiare. «Ahm... T-tutto ok?» sentivo i denti sbattere tra di loro, conscia dell'incapacità di controllare il mio corpo in preda a migliaia di formicolii. Fabrizio avvicinò la sua virile mano alla mia guancia, continuando a squadrare il mio livido, fino a quando non lo accarezzò con delicatezza. Fu in quel momento che, finalmente, tutti i miei dubbi, le mie insicurezze, i miei flash mentali, le mie domande, mi passarono davanti come decine di fulmini. Spalancai gli occhi impietrita, non potevo credere di poter sentire il tocco della sua mano fredda, ghiacciata sulla mia guancia infuocata e dolorante. Mi stava toccando. Era vero? Era un sogno? Cosa stava succedendo? Lo sapevo! Sentivo il suo respiro affannato sul mio viso. Chiusi gli occhi per godermi quel momento quasi onirico, quel momento inimmaginabile, ma anche così concreto. «Scusa se ti ho fatto questo» la sua voce suadente interruppe i miei sogni. Lui chiuse gli occhi e notai che la sua cicatrice era sita anche sulla palpebra del suo occhio sinistro. Che vuole dire? «Dimenticatene, Haley, ti prego» adesso mi accarezzava i capelli giocherellando con una ciocca con aria ansimante. Amavo la sensazione della sua mano su di me, ma ciò che mi stava dicendo quel fantasma mi preoccupava. Ghermii con calore la sua mano «Ti prego, Fabrizio, dimmi di cosa stai parlando». I nostri occhi si erano incontrati per la prima, vera volta. Mi persi di nuovo, le sue pupille non esistevano, erano scure come quelle iridi. Oh, sembrava che il tempo non passasse, come se si fosse fermato. In quel momento volevo soltanto stare con quell'uomo. Non m'importava del livido, dei vuoti di memoria, della serata scorsa. Non poteva essere un fantasma, non quando ciò che provavo era così reale e concreto. «Haley, io...» «Puttanellaaa! Sei sveglia? Abbiamo la colazione e una pomatina per te!» La voce squillante di Peppe sfondò le mura, assieme ai suoi invadenti colpi alla porta. Il fantasma si disgiunse dalla mia presa e si allontanò lentamente. Mi girai verso la porta d'ingresso frustrata, e quando tornai su Fabrizio, lui era sparito. Sbuffai, triste, infastidita, un fascio di nervi. «Ciao, piccola! Sei messa male eh?» Sam il gigante era entrato insieme a quell’invadente di Peppe. Sentivo ancora la mano ghiacciata di Fabrizio sul mio viso, avevo ancora l’immagine del suo viso sfregiato e sensuale davanti ai miei occhi, la cosa era troppo fresca e ci volle un bel po’ per riprendermi. Sì, ero stanca, irritata e ancora scioccata, ma quei cornetti mi salvarono la giornata e il caffè mi aiutò a caricarmi del tutto. I due “papà” mi legarono i capelli in una coda di cavallo e mi misero una pomata rinfrescante sull’ematoma. Erano così perfetti insieme. «Allora, piccioncini. Raccontatemi la serata di ieri nei minimi particolari. Spiegatemi perché mi sono svegliata con questa macchia nera in faccia!» comandai una volta accomodati sui divani del salone. Iniziarono a raccontarmi la serata: in pratica flirtavo con Fedo, bevevo senza fondo e mi stavo davvero divertendo, fino a qua non ci vedevo nulla di male. «Mi hai detto tu di divertirmi!» puntai il dito contro Peppe, che abbassò lo sguardo diventando rosso come i suoi capelli. «Quindi non ricordi come hai fatto a ridurti così?» mi aveva chiesto Sam, la sua grossa mano incontrò quella delicata di Peppe e incrociarono le loro dita. «Siete fottutamente carini. La smettete e arrivate al punto?» «Tesoro, è questo il problema. A fine serata siamo andati al villino e, ehm, quando è successo non eravamo con te» rispose Sam imbarazzato. Vergognatevi, pensai in preda a un mix tra gelosia e delusione. «Mi sono ritrovata decine di messaggi, tra cui uno di Fedo, che mi chiede scusa. Ne sapete qualcosa voi?» «Oh, anzi è stato giudizioso, dopo quello che gli hai combinato» «Cosa? Che gli avrei combinato io?» Mi misi dritta sul divano, ero in ansia. Di tanto in tanto, durante la conversazione, il viso di Fabrizio fluttuava per la stanza, facendomi girare la testa. «Oh, Haley, eravate tutti e due ubriachi da morire! Lui ci ha provato con te e tu l’hai preso a pugni in faccia. Gli hai rotto il naso!» disse Peppe impaziente. Spalancai gli occhi e la bocca «Che cazzo stai dicendo?» «Quello che ti sto dicendo. Non si è capito come ti sei fatta il livido in faccia, ma sicuramente tu e Fedo vi siete ritrovati in una situazione spiacevole». Aggrottai la fronte, abbassai lo sguardo e cercai di ricordare. Perché non mi ricordavo? «Non ditemi più di toccare un bicchiere!» dissi furiosa «E ditelo pure al vostro amichetto Fedo!». Mi alzai dal divano sbuffando e imprecando. C’era qualcosa che non quadrava, com’era possibile che io avessi preso a pugni in faccia Fedo? Le mie mani erano perfettamente intatte, sicuramente non ero stata io a rompergli il naso. Il pomeriggio si era avvicinato e Peppe e Sam non mi lasciarono sola nemmeno un momento. Parlammo quasi tutto il tempo della serata, cercarono di convincermi che Fedo è un bravissimo ragazzo e che l’alcol lo ha reso un’altra persona. Non m’interessava granché, per succedere ciò che era successo, probabilmente ci stava provando troppo insistentemente, probabilmente contro la mia volontà. Giocammo a svariati giochi da tavola fino a che non si fecero quasi le 8 di sera. «Ragazzi, potete andare, davvero. Anzi, vi prego, ho bisogno di restare un po’ sola, mi capite?». Quella sera chiamai mia madre, che avrebbe visto il livido domani. Che scusa avrei potuto inventarle? «Sono contenta che vi state divertendo, mamma» «Ti abbiamo comprato un pensierino, amore. La prossima settimana ci andiamo tutti insieme però, eh» la voce di Michelle mi faceva sentire a casa anche a chilometri di distanza. Sorrisi, e l’ansia mi assalì. Dovevo dirle del livido, qualcosa. «Grazie, mamma. Volevo dirti che se mi trovi un grosso livido in faccia è perché ieri mi hanno dato una pallonata a scuola» Sì! Scusa perfetta. «Cosa? Oh, tesoro mio, ci hai messo qualcosa sopra? Se vuoi veniamo» «Sto bene, mamma. Divertitevi e fatemi ancora regali, salutami tutti. A domani» «Buonanotte, piccola mia». Ordinai una pizza, finalmente finii il mio "Dominio della regina" e presto avrei iniziato il libro seguente, sicuramente mia madre me l'aveva comprato all'Etnapolis. Ripensai a tutto quello che mi era successo oggi. Fabrizio mi aveva toccata, era l'unica cosa di cui m'importava realmente. La sua mano gelida era sul mio viso, potevo sentirlo, cosa c'era di più eccitante al mondo? Una cosa che avevo sempre bramato in tutta la mia vita, adesso si era finalmente realizzata. Le sue dita affusolate s'intrecciavano con i miei capelli e il mio corpo stava quasi agendo da sé. Sospirai, torna da me, Fabrizio. Prima di andare a letto, sistemai il bagno della mia camera, i vestiti della scorsa sera erano ancora lì. Li presi e li scotolai. Quando vidi il mio corpetto con le finte graffette, ricordai mani sudicie cercare di staccarle, palpare violentemente il mio fondoschiena, baci maleodoranti sul mio collo. La faccia di Fedo piroettò trionfante per il bagno. Pezzo di merda! Ora ricordo. «Sei una porca stasera» mi aveva detto mentre cercavo di rifiutarlo. Presi i vestiti e li buttai giù per la scala, domattina li avrei messi in lavatrice. Mi misi davanti allo specchio, aprii il beccuccio della pomata per gli ematomi e con curanza la applicai sul livido. Sentii gli occhi lacrimare per il dolore. «Ahi». Un'ultima immagine mi apparve davanti, una maglietta rossa, una sagoma nera, una gomitata in faccia. Fabrizio.

Il DonoWhere stories live. Discover now