13. Quel venerdì

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Quel venerdì presi tutto positivamente. Le lezioni sull'arte del territorio, quelle su come creare un sito web, la lezione di Matematica su quelle sfiancanti disequazioni, e persino i quattro giri di corsa per Educazione Fisica. Mi sentivo stanchissima, ma, allo stesso tempo, soddisfatta. Peppe ed io ci infilammo in una toilette per cambiarci. Aprii lo zainetto e presi pantaloni di tuta e magliettina pulita, e lui fece lo stesso. In quell'istante, Peppe mi fissava con un sorrisetto sconveniente. Ignorai il suo sguardo, ma dopo qualche secondo non potei fare a meno di domandarmi perché mi guardasse in quel modo. Prima di mettere la maglietta interruppi il movimento e abbassai le braccia con la maglietta infilata a metà, facendo ammirare la mia dolce terza di seno avvolta in un reggiseno in pizzo bordeaux. «Non dirmi che ti ho convertito!» sorrisi maliziosa. «Oh tesoro, tranquilla che quella cosa lì non mi soddisfa minimamente» disse indicando la mia intimità. «Ahah, bastardo! Allora perché mi fissi? Mi metti a disagio» «Perché sei perfetta, Haley. Non hai bisogno di pensare a qualcuno che non esiste. Odio vederti star male. Stasera ho bisogno che tu ti diverta con me e Samuele». Oh, che dolce. Era la cosa più dolce che un ragazzo mi avesse mai detto. La caratteristica migliore di Jake era quella di eccellere negli sport, ma a livello umano, sapeva farci ben poco, era un tipo molto lascivo e fisico. «Federico mi ha detto che gli piaciucchi un pò» concluse poi. Federico? Il playboy della classe? Impossibile. «Fedo? Il nostro compagno?» chiesi fingendo indifferenza. «Stasera vedrai tu stessa», mi sorrise ammiccante. Infilai del tutto la maglietta e posai i vestiti sudati nello zainetto. «Quello è un Don Giovanni, somiglia al mio ex, non ho intenzione di legarmi di nuovo a uno così» «Ma chi ti ha detto che ti ci devi legare?» un occhiolino fece capolino e da lì capii tutto. Era possibile che Peppe pensasse sempre al sesso? Nel frattempo anche lui si stava vestendo. Era dannatamente bello. Un ragazzo così curato, come una donna. I suoi capelli rossi erano sempre perfetti, il suo viso era sempre pulito e i suoi denti luccicavano. Potei notare i suoi muscoli delicati dell'addome contrarsi e chiamarmi. Sentii un dolore al labbro inferiore, me lo stavo mordendo. Da lì capii che avevo seriamente bisogno di uscire. In effetti, era da tanto tempo che non ero intima con un ragazzo. Non mi sarebbe dispiaciuto disinibirmi del tutto per una sera, mi serviva a distogliere i miei pensieri da qualcuno che non li meritava, anche se non poteva farci nulla. «Se io fossi stato etero, tu saresti stata la mia ragazza e saremmo stati felici», disse affacciando la faccia dalla sua felpa verde. «Lo so, peccato che non ti soddisfa minimamente questa cosa qui» indicai la mia amichetta e sbottammo in una risata. L’ultima ora era arrivata. Quando tornai in classe mi accasciai sul banco, distrutta. Il professore di Filosofia tardava, così mi permisi di chiudere gli occhi per un po’. «Allora, Connery» riconobbi quella voce e sgranai gli occhi. Fedo, il playboy, si era seduto accanto a me, appoggiando con vanità un gomito sulla mia sedia. Mi sistemai immediatamente turbata, in ansia. «Ehilà, Fedo…» somigliava tanto a Jake, da morire, sembrava la sua reincarnazione. I suoi occhi verde scuro si accompagnavano ai capelli castani semi-lunghi e le sue spalle larghe facevano da muro impedendomi di guardare dietro di lui. «Stasera andiamo in giro per Palermo e poi ci rintaniamo al villino da Sam. Peppe mi ha detto che sei dei nostri, confermi?» Masticava con furia un chewingum sorridendomi avvincente. «Sì, beh. Non sapevo venissi anche tu» la sua espressione cambiò, sembrava deluso, ma era difficile pensare con quella gomma da masticare che piroettava tra i suoi denti. «Ti dispiace?» non che stia danzando per la classe… «Ma dai!» gli detti un leggero pugno su quell’enorme braccio e accavallai le gambe appoggiandomi alla sedia. Lui mi fissava, con sguardo felino, pronto ad attaccare la sua preda. «Levati dalle palle, Fè!» Peppe sferrò un calcio alla sedia di Fedo e lui si alzò di scatto. Dio, la sua altezza avrebbe spaventato chiunque, era un armadio. Secondo me era proprio il tipo di Peppe, alto e muscoloso, come il suo Samuele. «A stasera, Connery» e si dileguò. Entrò in classe il Signor Quercia, il bidello del nostro piano, che ci confermò l’assenza della professoressa e che avremmo avuto un’ora di buca. Mentre giocavo a “Nomi, cose e città” con i miei compagni, mi squillò il cellulare. «Emy?» «Pronto? Haley, ti disturbo?» «No, dimmi, sorellina» sorrisi, la sua voce era così piccola. «Ahm, volevo dirti che io, Michelle e papà stiamo andando a Catania. Papà deve incontrare una persona importante e a che ci siamo andiamo all’Etnapolis per comprare qualcosina, credo che resteremo lì per tutta la notte o persino tutto il weekend» sentii il mio occhio tremare, «Di avvisarmi non se n’è parlato?» il mio sorriso era sparito e incombette una smorfia cagnesca. «Papà ce l’ha detto adesso. Figurati che io sono ancora a scuola come te, che dici, vuoi venire? Michelle dice che non fa niente se vuoi restare a casa». Mi addolcii. Effettivamente non mi andava di fare un road trip improvvisato. E poi ero andata al centro commerciale qualche giorno fa, anche se non avevo comprato nulla. Se per loro andava bene sarei rimasta a casa sola per tutto il weekend. Il sogno di tutti gli adolescenti. «Vi trovo quando torno a casa?» chiesi in preda all’emozione. «Mi stanno venendo a prendere, ci sentiamo più tardi. Ciao, sorellona!» e staccò. Quando tornai a casa, non trovai nessuno. Peppe mi aveva assicurato che sarebbe venuto a prepararsi da me e che non mi avrebbe lasciato sola per tutto il weekend in casa. In mezzo alla quiete, sentii un senso di libertà assoluto che mi spinse a saltare per i letti e per i divani. Finalmente un pò di tempo per me. Quando salii in camera mia, cominciai a pensare cose a cui non dovevo pensare. Pensai al suo corpo mastodontico e possente appoggiato sul muro rosa della mia stanza, alla sua maglietta rossa eccessivamente larga che esigeva un determinato strappo, ai suoi occhi profondi che mi fissavano, alla sua aurea accecante. Mi ritrovai sul letto in cerca di intimità con me stessa, cercando disperatamente di evocare quel meraviglioso e oscuro spirito. «Fabrizio... » sussurrai accarezzandomi. A interrompere quel momento quasi onirico, per una come me, fu un rumore al piano di sotto. Spalancai gli occhi e tornai spaventata alla realtà. «Mamma? Avete dimenticato qualcosa?» Scesi giù avviandomi nel salone, niente. Era tutto in perfetto ordine, esattamente nel modo in cui l'avevo lasciato prima. Cos'è caduto allora? Il campanello suonò ed io sussultai di nuovo. «Peppe!», mi avviai precipitosamente ad aprire la porta. Non trovai nessuno. Ma era uno scherzo? Fabrizio... pensai. Chiusi la porta e una sagoma chiara e argentea mi si catapultò davanti. «Ciao, Haley!» «Pietro! Se potessi prenderti a calci lo farei! Sono terrorizzata, cazzo!» il ragazzo biondo strizzò i suoi occhi azzurri cercando di farmi impietosire «Scusa. Allora, so che hai conosciuto Fabrizio» Eh? Fabrizio? Gli ha parlato di me? Per forza. Come farebbe a saperlo, altrimenti? Tilt. Il mio occhio sinistro dette qualche cedimento e tremò lievemente, ma cercai di non far trapelare nulla. «Ah sì?» sentii uscire dalla mia bocca. «L'ho visto uscire dalla finestra della tua stanza》disse seccamente. Ok, non gli aveva parlato di me. Sbuffai irritata e mi catapultai sul divano. «Mi spieghi perché vagate per la mia zona? Da quando sono arrivata mi sento osservata, Pietro. Soprattutto da te, che mi sbuchi di giorno, così. Non mi sento rispettata, non ho più privacy!» Me la stavo prendendo con lui perché a Fabrizio non importava nulla di me? Forse. Mi addolcii. Era un fantasma, in fondo che vita aveva in questo mondo? Nessuna. Conosceva casa mia meglio di me. La creatura mi guardava divertita con i suoi occhi azzurri ridotti a fessure. «Tu e tuo fratello siete gli opposti» dissi infine. «Me lo sentivo dire così spesso... lo so, è strano» «Ho tante domande, Pietro» «Non sono venuto per rispondere alle tue domande» feci una smorfia. «Sentiamo, allora!» «Sei sola a casa, ero in pensiero, ma ho visto che te la cavi, quindi ci vediamo» «Cosa? Ehi, ehi, ehi! Ma che cosa nascondete voi deficienti?» in ogni frase o domanda che facevo, non potevo fare a meno di infilare anche suo fratello. Bussarono nuovamente alla porta. «Haley, puttanella! Ma con chi parli?» Questo si che era Peppe. «Sei con uno di quei fantasmi fighi, vero?» sibilò. Il biondino per una volta mostrò un'espressione seria «Hai la bocca larga eh?» poi sfoderò uno dei suoi sorrisini birbanti e, di nuovo divertito, sparì nell'aria. Stressata, aprii la porta e feci entrare Peppe. «Tempismo perfetto!». Quel pomeriggio facemmo un bagno insieme, ci divertimmo a scegliere i miei vestiti, impiegammo circa mezzora a far la piega ai miei capelli. «Sciolti e mossi, perfetta!» Peppe mi riempiva sempre di complimenti. Se lui fosse stato una donna, avrebbe voluto essere come me, mi aveva detto. Lui aveva un jeans attillato con bretelle sopra un maglioncino leggero blu, si abbinava perfettamente ai suoi occhi dello stesso colore e ai suoi capelli rosso fuoco. Aveva scelto per me un paio di pantaloni neri attillati in pelle, un top grigio a corpetto con finte graffette davanti, abbastanza scollato, ma non troppo e una giacca nera in pelle che si accompagnava ai pantaloni. «Non voglio tacchi! Voglio poter camminare tranquillamente» lo fermai mentre si affondava sul reparto scarpe del mio armadio. «Si dice che noi donne sappiamo sopportare. E meno male!» disse seccato, poi prese i miei stivaletti argentati e li buttò sul mio letto. «Con questi spacchi lo stesso» mi fece un effemminato occhiolino e aspettammo l’arrivo di Sam. Era già buio. Quando Sam il gigante arrivò, con la sua Mercedes blu, uscì dalla macchina, mi salutò calorosamente e poi si precipitò verso Peppe, avvolgendolo in un caloroso abbraccio e stampandogli un lungo, dolcissimo bacio. Li guardai sognante e allo stesso tempo infastidita, gelosa. Andammo in giro per la città. Strinsi la mano a un mucchio di ragazzi e ragazze che si unirono a noi. Ecco lì anche Fedo, che sfoderava i suoi muscoli con una camicia decisamente troppo attillata. «Ciao, Connery» disse facendomi l’occhiolino. Andammo in giro per la Vucciria e bevemmo un cicchetto per ogni locale che incontravamo in quel grandissimo quartiere. Ero già al quarto “Tequila bum bum” e mi sentivo carica. Quella sera camminavamo in tre. Io, Sam e Peppe senza staccarci un secondo. Era meglio non dividerci, ma mi sentivo la figlia bisognosa di protezione di quei due. «Potete lasciarmi un secondo, non credete? Non scappo mica» dissi staccandomi dalle loro mani. Era una serie di emozioni, girare a piedi per decine e decine di locali, sentire il profumo di castagne e pane con la milza cucinato per strada, ragazzi vivi che mi guardavano e ammiravano la mia bellezza. Sì, quella sera mi sentivo uno schianto. Mi faceva sentire leggera il modo in cui mi guardava Fedo, in agguato per sbranarmi. «Tieni, Connery, bevi questo» mi porse un altro shot con tre strati di colori: marroncino in fondo, bianco al centro e giallo in superficie. Dall’odore sembrava disgustoso. «No, guarda, preferisco continuare con la Tequila» «Dai, Connery, la serata sta quasi finendo, dopo siamo al villino e lì ti riposerai» sfoggiò in una risata indecifrabile e mi porse nuovamente il bicchiere «Bevi, Connery» presi il bicchiere e bevvi solo per farlo stare zitto. «Tappo e fondo, tappo e fondo, tappo e fondo» dicevano lui e i suoi amici mentre bevevo a garganella quel cicchetto. Un sapore amaro, forte, piccante, ardente raggiunse la mia gola facendomi tossire affannosamente. Oh, ero ubriaca. «Ma cos’era quello?» chiesi in cerca di aria. «B-52» mi rispose il playboy cingendomi una spalla e facendomi uscire. Aria. Finalmente aria. Ci dirigemmo tutti al villino di Sam per finire la serata. La scorta di alcol in quella casa era infinita e appena arrivammo Fedo aprì gli stipetti e uscì un numero esagerato di bottiglie. Ma perché si doveva sempre esagerare? Le altre ragazze del gruppo somigliavano molto a Claire, non avevano limiti. Io, invece, i limiti li avevo eccome. La testa mi girava in maniera incomprensibile, sentivo le gambe molli e leggere trascinarmi a destra e sinistra, ma sentivo la testa pesante. Sbuffai infastidita e mi trascinai in uno dei due bagni dei villino. Era ridotto in condizioni pietose, si notava che in quella casa non vi aveva mai messo piede una donna.  Mi appoggiai a quello schifoso lavandino e feci un paio di respiri profondi. Non era sicuramente la serata che mi aspettavo, Peppe si era sicuramente rintanato in camera di Sam, lontano dagli occhi indiscreti dei ragazzi. Mi sentivo sola, ma mi costrinsi a reagire, la serata sarebbe finita presto ed io sarei tornata a casa mia entro qualche ora. Dovevo soltanto resistere. Sciacquai il viso cercando di evitare di far sbavare il trucco e poi detti un leggero ritocco di fondotinta. La testa girava ancora e la mente sembrava ancora più offuscata di prima. In più faceva tanto freddo, probabilmente perché era un villino in campagna. «Ehy, Connery, che ne dici di un ultimo shot?» Fedo aveva spalancato la porta del bagno e si presentò con un altro bicchiere. Lo afferrai disinibita e lo bevvi tutto d’un sorso. «Wow, hai imparato la lezione, Connery!» «La smetti di chiamarmi Connery?» dissi cercando di scrutare i lineamenti del suo viso, ormai sfocati e svaniti nel nulla. «Stai tremando, Connery, lascia che ti scaldi io» sentii le sue enormi dita stringermi il mento e dopo qualche secondo la sua bocca e i suoi denti esplorare la mia. Sgranai gli occhi consapevole di quello che stava accadendo e non mi piaceva. Mi staccai delicatamente cercando di non sembrare brusca e offensiva nei suoi confronti. «Fedo, torniamo di là» «Sei una porca stasera, Connery» lui chiuse la porta del bagno e mi afferrò virilmente il fondoschiena. «Fedo, sei ubriaco fradicio, togliti!» sentivo le sue smisurate mani cercare di aprire il mio corpetto, il suo alito maleodorante sul mio collo e il suo membro spingere contro le mie cosce. Non riuscivo a reagire, ero troppo ubriaca per capire cosa stava succedendo. Forse avrei dovuto lasciarmi andare, forse avrei dovuto lasciarmi mangiare da quel ragazzo. Sarei stata un altro dei suoi trofei, esattamente come lo ero con Jake. Non era il momento, non era il luogo, non era la persona che volevo con me. Mi dimenai cercando la porta, ma sembrava che a lui piacesse ancora di più quella mia resistenza. Improvvisamente, qualcuno spuntò in quel bagno sconfinato, mi staccò bruscamente dalla presa di Fedo e lo buttò per terra prendendolo ripetutamente a pugni in faccia. Terrorizzata, mi avvicinai, ma non riuscii a capire chi fosse. Il suo gomito trovò la mia faccia nel giro di pochi squallidi secondi. Buio.

Il DonoWhere stories live. Discover now