6. Novità

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La notte era appena arrivata e in teoria avrei dovuto essere sotto le coperte già da un pezzo. Non ci riuscivo. Non riuscivo a non godermi quella meravigliosa e fresca notte di Settembre, ero felice di aver cambiato aria, di aver trovato una famiglia al completo, di vedere mia mamma raggiante. Cercavo di farmi venire sonno pensando a tutto quello che mi era capitato in queste settimane e finalmente vedevo qualcosa di positivo. Mi sentivo eccitata e impaurita allo stesso tempo pensando che domani avrei iniziato un nuovo anno scolastico in un nuovo paese. Che fortuna che io e mia madre, conoscendo Paolo, abbiamo imparato in modo decente l'Italiano, pensai. Gli occhi cominciavano a stancarsi e abbozzai un sorriso pensando che finalmente mi stavo addormentando. Tutto taceva e potevo intravedere le strisce di ombra che formavano le palme dalla finestra. Che strano... la temperatura si era abbassata, cominciai a sentire freddo. Adesso la quiete mi metteva a disagio e in più avevo bisogno di qualcosa di più pesante perché il freddo incrementava. Era normale sentire tutto questo freddo a Settembre? Non potevo riprendermi, cominciai a tremare, qualcosa si era adagiata sul mio corpo. Era come se qualcuno mi stesse premendo un cuscino sul braccio, sulla coscia, sulla schiena. Ogni posizione che prendevo i brividi aumentavano e poi boom! Mi paralizzai. Non riuscivo a muovermi. Mi bloccai con la faccia in aria a guardare un tetto nell'oscurità. Sentivo formicolii sul naso, sulle labbra, sul collo, sui capelli, e non potevo difendermi in nessun modo. Ero a pochissimi centimetri dal lumino e non riuscivo a fare un passo. Che cazzo sta succedendo? Pensai. Poteva essere uno spirito, quello strano biondino che avevo conosciuto quella mattina. «Mamma! Emy! Liberatemi, vi prego!» Aria. Era uscita aria dalla mia bocca. Nessuno mi sentiva e non mi sentivo nemmeno io. Non avevo mai provato tanta paura in vita mia. Nemmeno quando feci l'incidente con Jake e i miei amici. Arrivò una leggera folata di vento sopra di me, e sentii gli arti di nuovo vivi, sentii le mani fredde bruciare, e ripresi a respirare regolarmente. Mi assopii, avrei pensato a tutto domani. Mi svegliai di scatto quando suonò la mia sveglia di Game of Thrones. I miei occhi finalmente vedevano luce. Mi andai a lavare, poi feci adagiare la mia chioma di capelli marroni sulle spalle e arricciai il ciuffo di davanti con la piastra. Sorrisi davanti allo specchio, sistemai il jeans e la camicetta e misi un filo di trucco sul viso. Scesi quelle infinite scale per trovare tutti a tavola con la colazione pronta e un «Buongiorno!» collettivo. Mangiai un boccone velocemente e aspettai Paolo per accompagnarmi. A ogni minimo passo che facevo, mi chiedevo se Pietro stava lì a fissarmi senza farsi vedere, avrei dovuto convivere con questo timore ogni singolo giorno per il resto della mia vita? Bella vita questa! «Arrivati!» esclamò Paolo posteggiando dritto di fronte l'edificio. C'erano migliaia di teenagers in preda all'euforia da primo giorno di scuola, varcai la soglia salutando Paolo da lontano e mi girai cercando di seguire la mappa. Sì, era il mio primo giorno di scuola. Il quinto anno stava ufficialmente iniziando. Entrai, cominciai a guardarmi intorno e notai la segreteria didattica, dove una donna circa di mezza età mi consegnò il programma dei corsi. Fantastico, iniziamo con filosofia oggi, feci una smorfia e mi avviai nella classe che mi avevano assegnato. Ero in ritardo, leggermente. Lo notai soltanto quando in classe c'erano già tutti, e il professore stava già parlando. Bussai alla porta ed entrai. «Salve, sono Haley Connery» dissi timidamente. L'insegnante bofonchiò qualcosa di davvero incomprensibile e mi mandò a sedere a primo banco, qualcosa come «Sì, benvenuta, vatti a sedere forza!» Aveva una corporatura tozza, la mezza luna in testa e un paio di occhiali orrendamente buffi. Il tempo scorreva normalmente e tutto procedeva come doveva procedere. Eravamo quattordici in classe, e potevo notare già il compagno spavaldo, la compagna snob, quella buffona e l'emarginato. Ero brava a decifrare le persone, soprattutto quelle di Lakewood, avevo occhio per queste cose. Dopo la seconda pausa ci sarebbe stata matematica, e poi tutti a casa. Ci dirigemmo tutti nel balconcino vicino la classe, chi per fumare una sigaretta, chi per stare al cellulare, chi per pomiciare o quant'altro. Nella mia vecchia scuola uscivamo tutti quando ci pareva e piaceva, comandavamo noi studenti, e i nostri professori non si dedicavano molto. Qui sembrava diverso, le regole erano ben precise e nonostante l'età sembravano tutti intenti a non farsi buttare scarpate addosso. L'Italia era un altro mondo, un mondo da esplorare, ed io ero pronta. Trovai un messaggio di James su whatsapp e lo lessi, mi scappò un sorriso, perché nonostante tutto, il vuoto nel mio cuore c'era ancora. «Quindi sei americana?» un ragazzo dai lucenti e curati capelli rossi mi sorrise e si appoggiò nella ringhiera accanto a me e sospirò un tiro di sigaretta. «Sì, sono del New Jersey, tu sei Giuseppe no?» riconobbi che era un mio compagno di classe, e fui compiaciuta per essermi ricordata il suo nome, posai il cellulare in tasca. Avrei risposto a James dopo. «Per carità! Chiamami Peppe. Odio il mio nome» aveva degli atteggiamenti leggermente femminili e una voce vellutatissima, adesso potevo notare i suoi occhi blu spiccare tra centinaia di lentiggini. «Ok, Peppe» sorrisi sincera, «io sono Haley, puoi chiamarmi Haley.» feci un piccolo occhiolino e sorrisi ancora. «Allora, Haley, che ne pensi di questo cagatoio di scuola?» continuava a sistemarsi il ciuffo rosso con nonchalance fissandomi con quegli occhioni verdi. «Cagatoio? Che significa? Devo ammettere di non aver visto moltissimo, ma è il primo giorno, ho nove mesi per conoscerla» spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi appoggiai alla ringhiera come lui. «Allora dobbiamo rimediare, vieni con me!» il rossino mi prese per il polso e mi trascinò per i corridoi descrivendo con ironia l'edificio. «Qui abbiamo l'illustre ascensore rotto dai tempi dell'Homo Sapiens. Non può accedervi nessuno poiché nessuno si degna di aggiustarlo. Puoi notare le scale dell'edificio anch'esse vecchie e mezze ammuffite, e qualche ragnatela su per gli angoli del tetto» il ragazzo mi mostrava cose sempre più sgradevoli, ma in modo divertente. Tra una risata e l'altra notammo che era ora di entrare, cosi mi porse il braccio e ci avviammo verso la classe. La lezione scorse più velocemente, era italiano e la professoressa ci fece parlare tra di noi e dette a tutti modo di farsi conoscere. Peppe era dietro di me e ogni tanto ci sfuggivano sguardi complici e sorrisi. Mi ero fatta un amico. La campanella suonò, e fece un rumore assordante. Sembrava la sirena dei pompieri e tutti saltammo dalle sedie, con fretta e furia sistemai le mie cose e uscii di corsa dalla classe. «Tesoro, più tardi caffè con me e gli altri, che dici?» era Peppe, più effemminato che mai, che mi trascinava a passo veloce verso la fermata dell'autobus. «Ci sto, a più tardi!» feci pollice in su e salii sull'autobus. Peppe era simpaticissimo, bellissimo e mi aveva invitato a cazzeggiare con i suoi amici. Qual era il problema? Arrivai a casa, finalmente, dopo quindici minuti di chiassoso e faticoso autobus, dovetti persino restare in piedi per la folla lì dentro. «Sono io!» erano le 14.00 e mi aspettava la pasta all'amatriciana fatta da Paolo esclusivamente per me. Paolo era un cuoco e lavorava in un Hotel notevole in città. Quindi di lì a poco sarebbe dovuto andare a lavoro. La casa sembrava deserta, ma in realtà eravamo tutti sparsi per l'enorme edificio, supposi. Adesso che tornavo a casa, tornavano in mente pensieri e sensazioni che a scuola avevo completamente messo da parte quella mattina. Tra un boccone e un altro non potevo fare a meno di pensare a quello che avevo vissuto la notte scorsa, e a quello che avrei potuto vivere la notte che doveva venire. Cavolo, la temperatura in questa casa è bassissima. Presi un plaid maculato dal divano e mi coprii. «Mamma, ma ci sei?» La mia sorellastra era sicuramente ancora a scuola, probabilmente si sarà riunita con i vecchi compagni e mia madre chiaramente non era in casa. «Tua madre è al centro commerciale per dei piumoncini» spuntò qualcuno con una voce familiare, e i suoi capelli dorati mi accecarono. «Ma tu fatti tuoi no, eh?» risposi incrociando le braccia. «Ma tu fatti tuoi no, eh?» Pietro mi sfotteva imitando le mie espressioni. Vedevo soltanto i suoi occhi color che mi puntavano come delle pistole. «Siamo soli, non hai paura?» Pietro si avvicinava sempre di più. Pff, come se potesse toccarmi. Nel frattempo la temperatura si faceva sempre più bassa e il plaid non mi bastava più. «Ho soltanto freddo. E' normale, penso.» «Sì, ti abituerai.» sorrise. Ma era un sorriso diverso, consolatorio. «Mi sono già abituata.» ricambiai il suo sorriso con sincerità. Non mi dava nessun fastidio quel fantasma in casa, anzi. L'unico problema era che mi trasmetteva freddo, troppo freddo. Presi un altro plaid e mi sedetti sul divano. Pietro mi seguì e si sedette di fronte a me. Non avevo mai visto un fantasma così... "reale". «Ho bisogno di sapere una cosa. Oh e non guardarmi con questi lampioni al posto degli occhi.» dissi fingendomi infastidita. Lui sorrise, continuava a sorridermi, non smetteva di sorridere. Aveva una sicurezza pazzesca, come se già mi avesse conquistata da tempo e si stesse godendo la vittoria. «Eri tu... stanotte?» chiesi insicura, impulsivamente incapace di formulare domande più sensate. «ho sentito qualcosa, che non mi ha fatto dormire» abbassai lo sguardo. Pietro aggrottò la fronte con espressione stupita, quasi come se ci stesse pensando sù, ma poi sorrise di nuovo al solito suo, «sì, ero io. Perdonami, pensavo che non te ne accorgessi. Ti chiedo scusa, adesso vado. Ci vediamo presto!» Il fantasma fece una di quelle "cose da fantasmi" e si disperse nell'aria. La sua sagoma rimase sul divano ed io rimasi lì, come una tonta. Perché se n'era andato improvvisamente? Si sarà imbarazzato o sentito in colpa? Continuavo a non capire queste sue continue apparizioni, quei sorrisi, quel mistero che continuava a trasmettermi. Ma dovevo mettere da parte questo e tutto ciò che mi rendeva diversa almeno per questo pomeriggio. Di lì a poco sarei uscita con il mio compagno Peppe, e avrei cominciato a costruirmi una vita sociale.

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