16. Mi manchi

1.1K 103 73
                                    

«Ma questo non ti lascia mai in pace? Ci vediamo, Haley», sussurrò nelle mie labbra il meraviglioso fantasma bruno prima di sparire nell’aria, lasciandomi in quel bagno con l’amaro in bocca. Restai appoggiata al muro ancora per qualche secondo, incredula. Non potevo credere a ciò che era appena successo. Ma dovevo. Era la realtà. Chiusi gli occhi e cercai di regolare il respiro. «Cazzo, ti odio, Pè!» spalancai la porta di legno della toilette con uno sguardo perforante, arrabbiato. «C-come sei combinata?!» Peppe scoppiò in una fragorosa, deridente risata. In effetti, avevo i capelli scombinati, la maglia leggermente alzata, le labbra gonfie, e il respiro ancora affannato. Ci voleva non poco per farmi riprendere da ciò che era successo circa un minuto fa. «Mi spieghi? Sembra che tu abbia scopato in piedi!» Arrossii. Il rossino si infilò nella toilette e si abbassò la zip e i boxer, urinando impaziente. Mi girai istintivamente, schifata. Sì, avevamo fatto il bagno insieme qualche giorno prima, l’avevo già visto nudo, ma vederlo urinare non era un bello spettacolo. «Ma conosci il significato di “privacy”? Cioè, che schifo, Giuseppe!» Temporeggiavo sistemandomi i capelli e i vestiti. «Mi hai chiamato “Giuseppe”! Hai osato, non osare più!» si girò di scatto con un’espressione furiosa. «Ok, scusa, tesoro» dissi dolcemente. Peppe fumò la sua ultima sigaretta. La campanella sarebbe suonata di lì a poco, così ci precipitammo in classe. Ero ancora stordita, volevo Fabrizio più che mai, adesso la sua immagine era molto più chiara e dettagliata nella mia mente perversa. Poteva toccarmi, e lo aveva fatto come nessun'altro. Jake era molto meno passionale, anzi, non lo era affatto. Odiava i preliminari, si ricordava che esistevano soltanto quando non ero in vena di fare sesso, oppure quando era ubriaco, per cercare di convincermi a farlo. Sapevo bene di non dover pensare a Jake soltanto per questi motivi, per paragonarlo agli altri ragazzi, ma mi veniva naturale. ormai la mia vita era questa. Lontano da loro, lontano dal New Jersey. Il punto era un altro, adesso. Mi stavo prendendo il brutto vizio di pensare a quel fantasma, e la cosa non poteva che essere deleteria per me. Perché mi faceva quell'effetto? I suoi occhi neri e profondi potevano essere una delle principali ragioni. Le sue spalle larghe e possenti, anche quelle. Oppure il suo sguardo misterioso, le sue labbra perfette, il suo sorriso meraviglioso e timido, che fa capolino in rari, ma preziosi momenti. Forse perché sapevo poco di lui. Anzi, a dirla tutta, non sapevo nulla di quel fantasma. Il fratello di Pietro, ok. E poi? Come sono morti entrambi fratelli? Era una cosa triste, tragica. Due fratelli belli come il sole, strappati via alle proprie famiglie, agli amici, al mondo. Quanti anni potevano avere? E Fabrizio cosa vuole veramente da me? Perché lui può toccarmi? Non riuscivo a formulare tutte queste domande davanti a quella creatura, perché? Ok, stavo diventando paranoica. Ma Cristo Santo, ne avevo tutte le ragioni. Nella mia vita avevo sempre cercato di più, non mi era mai bastato niente e nessuno. Adesso che qualcuno mi bastava, non poteva farlo. Non aveva le capacità. Non era scientificamente, umanamente, socialmente possibile. Tornata da scuola, trascorsi il lunedì più piatto e lineare al mondo. Come potevo vivere emozioni più grandi di quelle che avevo vissuto quella mattina? Adesso era tutto confuso. Qualsiasi cosa m'infastidiva. Persino Peppe, con la sua voce femminile e vellutata, mi faceva venir voglia di prenderlo a ceffoni. La mattina seguente andammo a correre insieme. Per la prima volta marinai la scuola, e, piuttosto che andare al bar a mangiare rosticceria o qualche delizioso frappè alla frutta, il rossino aveva deciso che era meglio fare qualcosa per la nostra salute. Tipico di Peppe. Per uno come lui, il fisico e il benessere venivano prima di tutto. «La scorsa settimana hai mangiato e bevuto fin troppo! Basta, contieniti, cazzo!» mi aveva detto quando cercai di convincerlo a fare qualcosa di più pazzo o fuori dagli schemi. In fondo, lo faceva per me, ma anche per lui. Anche se non gli avevo raccontato della mia ultima esperienza paranormale, sapeva bene quanto fossi stressata. Poteva solo giovarmi una corsetta all'aria aperta. Peppe posteggiò la sua Atos rossa in una parte all'ombra del Viale delle Scienze. Cominciammo a fare stretching appoggiati a una ringhiera di metallo. Era impressionante il modo in cui si stirava quella femmina dentro il corpo di un maschio. Imitavo le sue mosse, prima una gamba, poi l'altra. Un braccio, poi l'altro. «Non dimenticarti di respirare!» «Lo so, rompipalle!» Mi fece una smorfia e cominciò a correre. Quella via era lunghissima, ottima per fare jogging, soprattutto ad un orario come quello nostro. Peppe mi aveva svegliata alle 7.30, ma si erano fatte le 9 e il sole aveva già salutato e si era appostato timido vicino qualche nuvola sparsa per il cielo. «E poi mi ha detto che sono ancora un bambino, che devo crescere...» fece una pausa per prendere fiato «cazzo, Haley. Come fa a non capire che non posso dichiararmi ancora?» In quel momento il rossino aveva gettato la sua maschera sardonica. Correva per farsi scivolare di dosso ogni preoccupazione. I miei piedi sbattevano sull’asfalto accanto ai suoi, all'unisono. Le nostre preoccupazioni, seppur totalmente diverse, sdrucciolavano dal nostro corpo, passo dopo passo. Ma eravamo entrambi consapevoli che il sudore resta impregnato sulla pelle. «Sam parla così solo perché vorrebbe viverti alla luce del giorno. Ti ama di un amore che invidio con ogni fibra del mio corpo» Sospirai. «Aspetterà, vedrai. Solo che ogni tanto può avere il suo momento di totale frustrazione, no?» il fiatone fece capolino e, prima di rispondermi, Peppe ci mise qualche secondo. «Hai ragione. Come farei senza di te? Sei arrivata al momento giusto, Haley Connery» adesso si era fermato, i passi non rimbombavano più nelle mie orecchie. Volevo dirglielo. Volevo confessargli tutto. Si meritava di sapere cosa mi stava succedendo, ma mi limitai a sorridergli, schiacciando l’occhio. Tu, invece, arrivi sempre al momento sbagliato, pensai. Corremmo ancora, per molto tempo. Eravamo all’ottavo giro quando il sudore che colava dalle mie tempie cominciò ad asciugarsi, e improvvisamente non sentivo più caldo. Le mie gote erano infiammate, sì, ma il resto del corpo fremeva dal freddo. Poi capii. In lontananza del Viale delle Scienze, vidi una sagoma, quella sagoma. M’irrigidii, e dissi a Peppe che avevo bisogno di fermarmi. Fortunatamente, al rossino non bastavano otto giri, doveva farne dieci. «Avanzi due giri!» Mi disse tornando indietro correndo con enfasi. Sospirai, asciugai il sudore freddo dalla fronte e mi avviai verso la macchina, aspettando Fabrizio. Ero stanca. Mi appoggiai alla macchina rossa, sfinita. Avevo avuto una visione? No. Allora perché non mi raggiungeva? Lo invocai. «F-Fabrizio?» Niente. Sentivo le gambe molli, le mani mi tremavano, e l’acqua non mi soddisfaceva. Volevo solo andare a mangiare un boccone, qualcosa di dolce, zuccheri. Ero debole. Mi accasciai per terra cadendo sul sedere. Sbuffai infastidita quando vidi ritornare Peppe e stirarsi. «Fai stretching» comandò. Roteai gli occhi, dilatando le narici. «Ho fame» sussurrai. Quel Peppe dittatore mi metteva soggezione, ma in fondo faceva anche ridere. Lui mi gettò un’occhiataccia. Mi alzai di scatto, se avessi fatto un buon allenamento mi avrebbe premiato. Sorrisi al pensiero che di li a poco avrei messo qualcosa sotto i denti e mi stirai imitando di nuovo le sue mosse. Era giovedì, adesso. Passai le giornate precedenti correndo con Peppe ogni santo pomeriggio. La mia routine cominciava a girare attorno alla scuola, alle corse per il Viale delle Scienze, ai compiti, a Peppe, e all’ossessione per quel fantasma, che dopo quell’episodio, non si era fatto più vedere. Una vita normale cominciava ad abbracciarmi. Sentivo le braccia normali della mia vita avvolgermi, tenermi stretta. Il calore di Peppe riscaldarmi le giornate. Fabrizio era definitivamente sparito. La sua immagine, di tanto in tanto, forse troppo spesso, torturava la mia mente. Ma cosa potevo fare? Era un rapporto che poteva funzionare a metà. Non sapevo niente di lui, non sapevo dove potevo trovarlo, non sapevo come chiamarlo, niente. Tutto stava a quando decideva di farmi visita. Mi gettai sul letto distrutta, dopo l’ennesima corsa al Viale con Peppe. Lui e Sam avevano fatto pace, avevano fatto l’amore al villino di Sam, e avevano discusso nuovamente sul loro futuro. Quanta invidia. Il mio migliore amico era innamorato, e per quanto, molte persone vedano l’amore tra due uomini una cosa “anormale”, io la vedevo come la cosa più normale al mondo. Una cosa che desideravo con tutta me stessa. Amare ed essere amata. Diciotto anni, sì. Sono una bambina, in effetti. Ma ciò che mi aveva fatto quel fantasma era inspiegabile. Non avevo le forze di farmi una doccia, volevo soltanto stare sotto le coperte. Ricordai quella mattina, quando mia madre mi disse “Ci trasferiamo!” Ero felice. Entusiasta di cambiare vita, di scappare dal New Jersey, da Jake. Adesso, se avessi potuto, sarei tornata indietro. Avrei imparato ad apprezzare il mio ragazzo, la mia vita, la mia città, le mie consuetudini. Avrei vissuto ogni momento prezioso con Patty, sarei cresciuta con Claire. Oh, Claire. Non mi pensi più? Ci siamo allontanate, siamo due sciocche! I miei occhi si inumidirono immediatamente. Tremavo sotto le coperte, ancora con la tuta e la brassiere sportiva. Singhiozzavo. Il mio petto sussultava ad ogni verso che la mia bocca emetteva. Il cuscino si devastava di lacrime, e inarcato dal mio viso, formò una fossa vuota, proprio come me. Vuota. Mi lasciai andare in un pianto disperato, ero impotente, schiava della mia stessa vita. Portai le mani sul viso, affondai gli occhi sulle dita, «Fabrizio, dove sei?» sussurrai incomprensibilmente. Ormai era diventata una delle mie frasi più comuni. «Sono qua, Haley. Sono qua» spalancai gli occhi, ancora singhiozzante. Affacciai dal piumoncino e il fantasma era lì, appoggiato al muro rosa della mia stanza, come la prima notte che mi aveva fatto visita. Mi alzai immediatamente mettendomi a sedere e asciugai le lacrime velocemente. «Ciao... » dì qualcosa, avvicinati. La sua maglietta rossa era sempre lì, mi chiamava, desiderosa di essere strappata. Lui si avvicinò, come se, in quel momento, mi avesse letto nel pensiero. Si sedette sul mio letto e piano piano, impercettibilmente, potei notare i suoi occhi addolcirsi per un istante. Ero in uno stato pietoso. Lui e Peppe potevano sfidarsi fino all'ultimo sangue per ottenere il primo premio per "Pessimo Tempismo". «Perché piangi? Ti sono mancato così tanto, Haley?» Dio santo, sì! Non è ovvio? Mi stai incasinando la vita, bello! «Aspetto il ciclo, sono nervosa. Non gira tutto intorno a te!» chiusi gli occhi avviciando le ginocchia al petto. Quando li riaprii, Fabrizio stava sorridendo. Oh mio Dio, mi sciolgo. «S-si può sapere dove sei stato?» come al solito, la mia sanità mentale cominciava a cedere, ma stavo imparando a resistere al suo fascino, forse. «Sei arrabbiata? Posso capirlo» Dentro la mia testa apparve una versione "anime" di Haley Connery estremamente arrabbiata, con decine di nuvole grigie che fluttuavano sopra la testa, con la bocca tremante e il solito tic all'occhio sinistro. «Tu non puoi fare quello che fai, e poi sparire per giorni interi. O te ne vai, o resti! Non sono il tuo passatempo settimanale, sono frustrata, Fabrizio!» Gesticolavo in maniera eccessivamente isterica. «Sei un fantasma. Sei morto. Non mi fai bene» conclusi titubante. Se fosse stato d'accordo con me, sarebbe sparito dalla mia vita. Ma io desideravo davvero questo? Chi volevo prendere in giro? «Non posso starti lontano, ci ho provato. Alla fine mi ritrovo sempre qui, da te, Haley!» Fabrizio si alzò furioso dal letto e, in modo straordinariamente soprannaturale, si precipitò alla porta della mia stanza. Si appoggiò con le spalle al muro e picchiettò la testa un paio di volte, stressato. Un brivido mi percosse la schiena in maniera ripetitiva. Non poteva starmi lontano, oh. «Allora non starmi lontano. Fine del discorso» sperai che mi avesse sentito, ormai non mi sentivo nemmeno io. Non sentivo la mia stessa voce, era una sensazione inebriante, quella di avere un fantasma come Fabrizio davanti. Così maestoso, così spaventoso ma, allo stesso tempo, attraente. La Haley zanzara era, ancora una volta, bramosa di sangue, sangue oscuro, sì, morto. Ma dolce, sensualmente dolce. Era inutile forzarlo a rispondere a tutte le mie domande. Avrebbe avuto modo di illuminarmi con i suoi tempi, con i suoi modi. Mi alzai anch'io, inspiegabilmente agile, impaziente. Camminai verso di lui, senza staccargli gli occhi di dosso. Fremevo. Avvicinai la mano alla toppa della porta, e girai la chiave due volte. «Toccami... » sussurrai. Fabrizio scoppiò in una risata, quel suono smosse ancora più eccitazione in me. Mi prendeva in giro, mi stuzzicava. «Qui? Potresti andare nei guai, e poi non vorrei che il tuo amico rossino... » Lo interruppi. Mi gettai su di lui, afferrai il suo viso marcato, e le mie labbra si avventarono sulle sue. Sentii la sua bocca lasciare un varco alla mia lingua, e invitai la sua a danzare con la mia. Baciavo con gli occhi semiaperti, una stranezza? Possibile. Ma godevo alla vista di quella creatura su di me. Le nostre labbra si abbracciavano, i nostri aliti caldi s'incontravano, come due venti da due direzioni opposte. Fabrizio afferrò le mie natiche e portò le mie gambe attorno ai suoi fianchi. Incrociai i piedi sul suo fondoschiena e lui mi portò le braccia attorno al suo collo. Maledizione. Volevo strapparti la maglietta! Sentivo tutti e cinque i sensi amplificarsi. «Dio, come ti voglio!» mormorò lui nella mia bocca. Gemevo al solo sentirlo parlare. Mi gettò sul letto, in maniera talmente virile, che uno strano verso uscì dalla mia bocca. Si gettò su di me, come nel mio sogno. Baciò ogni parte del mio viso, scese sul collo, sul petto e poi strappò la brassiere in un colpo sicuro, liberando i miei dolci seni. Li afferrò con le sue mani gelate, era tutto gelato. Leccò i miei capezzoli rigidi. Le mie mani erano incrociate sul suo collo. Potrei amarti, pensai, mentre adesso toglieva velocemente i pantaloni di tuta e mi sfilava le mutandine. Ero incredibilmente scivolosa laggiù, liberai il membro indurito di Fabrizio e lo feci entrare dentro di me. Ansimai. Ad ogni spinta sentivo che Fabrizio era la persona più viva che avessi mai conosciuto. Non poteva essere morto, non lo era. Non era un fantasma, lui era un uomo vivo, ed era mio. Facemmo l'amore sul mio letto, tra le lenzuola rosa e il piumoncino fuxia. I suoi occhi neri scrutavano ogni singola parte del mio viso, e quando spingeva, le sue labbra non si staccavano dalle mie. Cantammo in silenzio, per quasi tutto il pomeriggio, con i miei al piano di sotto, ignari del fatto che stavo esplorando una parte del mio dono che solo Fabrizio poteva farmi conoscere.

Il DonoKde žijí příběhy. Začni objevovat