8. Pensieri invisibili

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No! Non voglio morire! Sono ancora giovane... cosa ti ho fatto di male? La mia testa stava scoppiando. Mi ritrovai sul letto, spinta dall'aria. Era una spinta leggera, quasi delicata, quasi come se quest'aria avesse avuto del riguardo per me. Non riuscivo a vedere molto. La luce del lumino non era abbastanza, e la paura incrementava. Vedevo occhi che mi scrutavano, circondati da una terribile cicatrice che partiva dalla fronte, proseguiva da una tempia, e finiva su un mento. Mi avvicinai delicatamente, perché non parlava? Quell'essere mi guardava, mi fissava, con quell'aria minacciosa. Temevo che da un momento all'altro mi sarebbe saltato addosso, ma avrei rischiato tutto pur di farla finita. Continuai a studiarlo nella penombra, in attesa di una sua mossa. Lui finalmente fece un passo piccolissimo, un cenno. «Sei tu... » il fantasma aveva ceduto. « ... Haley.» La sua voce sembrava profonda, mi assalì una leggera scossa quando pronunciò il mio nome. «Sì, sono Haley.» cercai di essere rincuorante e ospitale. Sembrava tormentato. Nel frattempo feci due passi e trovai l'interruttore della luce, lo premetti. E luce fu, alle 4 del mattino, che mai avrei potuto desiderare di più. Il fantasma era lì, e finalmente vidi. Vidi un corpo longilineo e atletico, occhi neri come la notte, e labbra scolpite come marmo. I suoi capelli corvini quasi splendevano, e la sua pelle era come la luna. Avevo visto bene prima di accendere la luce, il fantasma aveva una grossa cicatrice, ma quasi non si notava, poiché messa in ombra dalla sua bellezza. Quella creatura non parlava, adesso aveva abbassato lo sguardo. Mi evitava e la cosa m'irritava, perché era lui che mi aveva cercato, era venuto da me, mi aveva chiamato nella notte. Mi avvicinai a lui tentando un approccio «Chi sei? Perché sei...» il fantasma cambiò espressione mostrando rabbia e ferocia. Sentii una folata di vento spazzarmi via. Mi ritrovai per terra sbattendo il gomito. «Ahi! Dannazione!» ma che era successo? Adesso era sparito nel nulla senza lasciare traccia. Dov'era andato? Il gomito mi pulsava di dolore, andai in bagno e feci scorrere acqua fredda sulla ferita. «Ah! Maledetto fantasma!» tamponai la parte bagnata e m'infilai sotto le coperte. Come avrei potuto prendere sonno? Non riuscivo nemmeno a chiudere gli occhi. Quella creatura... così oscura, ma allo stesso tempo così angelica. Non avevo mai visto qualcosa di così contrastante. Il braccio mi faceva male, perché quel mostro era stato violento. Allora perché non avevo paura? Ero soltanto arrabbiata. Arrabbiata con il destino, col mondo. La dannata ero io, non il fantasma. Condannata a questa sorte. Il mio cammino da semplice piccola donna, era ostacolato. E poi, perché dovevo essere così condizionata? Non potevo semplicemente vederli e basta? No! Dovevo incontrarli, bloccarmi male e scottarmi. Non mi capacitavo di quante cose mi stessero succedendo in così poco tempo. Ero così nauseata, infreddolita, dolorante. Mi sentivo sola. Claire non mi aveva richiamata più, e sentivo James più lontano che mai. Con chi avrei potuto parlare di tutto questo? Mi assopii, permettendo alla mia mente di vagare su vecchi ricordi. Quella mattina fu Peppe a svegliarmi, con i suoi assillanti squilli alle 7. Infastidita, staccai la sua ultima chiamata e decisi di alzarmi. Ero ancora stanca, sentivo gli occhi gonfi e non potevo ancora riprendermi. Ero quasi zoppicante e mi faceva male il braccio. Detersi il viso con i miei migliori saponi e poi lavai i denti. Mi sentivo una pezza. Avevo vissuto un incubo, forse? No. Era la pura realtà. Era la mia vita. Scesi velocemente le scale e mi precipitai al frigorifero. Riempii una tazza con latte di riso, misi del caffè e affogai decine di cereali integrali. Mentre mangiavo, continuavo a pensare, la mia mente era occupata soltanto dall'immagine di quel ragazzo. Il polso era indolenzito e lo controllai per vedere se avevo ulteriori ferite. E quello cos'è? Era un livido enorme. E aveva una forma strana, sembravano... dita. Ma era possibile che il fantasma mi avesse afferrato con la mano? No... io non potevo toccarli, e nemmeno loro. «Cazzo!» dando uno sguardo più approfondito alla ferita, ne fui certa. Il fantasma mi aveva toccata. Oh mio Dio. Era una cosa fantastica. Dovevo capire, dovevo scoprire. Dovevo conoscerlo. Lavai velocemente tazza e cucchiaio e mi avviai dritta a scuola. Dopo pranzo avrei indagato su quel fantasma, adesso dovevo pensare a studiare. Peppe era in classe e quando mi vide, fece cenno di sedermi accanto a lui. La classe rimbombava, e la confusione alle 8 del mattino non mi aiutava. Mi sedetti accanto a lui, appoggiandomi stanca sul banco. «Ehy, Haley! Quindi è ufficiale? Siete una coppia adesso?» la snob della classe coinvolse gran parte dei compagni in una grossa risata, ma non avevo la forza nemmeno di pensare. «Parli tu che sei una scostumata! Non sai nemmeno il significato di "coppia", dacci un taglio, Sonia!» Peppe si era infastidito, ma sapeva come rispondere. Le lezioni scorrevano e finalmente uscimmo dalla classe per fare ricreazione. Ci sedemmo sugli scalini del balconcino ed io mi appoggiai al muro con la testa, sfinita. Volevo soltanto chiudere gli occhi e riposarmi, il polso continuava a pizzicarmi, ma mi confortava il fatto che Peppe fosse con me in quel momento. Notai il rossino fissare un punto nel vuoto, con la sua solita sigaretta tra le dita. «Oggi sei particolarmente silenzioso.» dissi rubandogli la sigaretta. Peppe mi tirò un'occhiataccia e tornò tra i suoi pensieri. «Dai, parlami. Fra 15 minuti si torna in classe!» volevo soltanto farmi trasportare dalla sua voce vellutata, ero venuta a scuola per lui e per nessun altro. Peppe finalmente mi guardò «E' che sono in paranoia... Ho litigato con Samuele stanotte» «Con Sam? Il gigante che ho conosciuto ieri sera?» chiesi incuriosita. «Sì, abbiamo discusso del bacio che c'è stato tra me e te» nel suo viso si vedeva nettamente del rammarico. «Perché a Sam dovrebbe interessare la tua vita amorosa?» ingenuamente non potevo pensare che anche il gigante fosse gay e che i due stessero insieme, ma dallo sguardo di Peppe capii che era proprio quello. «Ok, ovviamente gli ha dato fastidio, ho capito», abbassai lo sguardo imbarazzata pensando di aver creato problemi a quel ragazzo, che ieri sera ci aveva accolti nel suo villino facendoci sentire a casa nostra. «Lui ha 22 anni, va all'università e ha degli amici super anticonformisti che sanno di lui e lo accettano, io sono all'ultimo anno del liceo e sinceramente non voglio rovinarmelo. » Peppe incrociò le braccia facendomi capire che non gli andava di parlarne più. «Più tardi vado al centro commerciale, mi accompagni? Non voglio gironzolare per lo Zen da solo.» ecco che cambiava argomento. Per quanto riguardava me, invece, avevo soltanto voglia di vomitare una serie di parole, di frasi dove il soggetto era sempre lo stesso: fantasmi. Erano tre notti, ormai, che non dormivo più, tre lune senza sonno. E i miei pensieri continuavano a volgersi verso qualcuno che nessuno vedeva, qualcuno che non esisteva. «Ti accompagno.» gli regalai uno dei miei migliori sorrisi e quando la campanella suonò, gli afferrai la mano e ritornammo in classe, contando i minuti che ci dividevano dalla prossima.

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