10. Confessione

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«Che cosa voglio?» la mia mente stava impazzendo. Sentivo il mio occhio sinistro tremare per la rabbia e per il nervosismo, quel tic se ne sarebbe andato non molto presto, vista la prepotenza di quel fantasma. «Cosa voglio io da te?» ripetei la domanda enfatizzando i pronomi. «Sei venuto nella mia stanza stanotte. Mi hai letteralmente scaraventato a terra, provocato ferite e prima di questo mi avevi fatto capire che mi stavi cercando, quindi la domanda giusta è: cosa vuoi tu da me!» sembravo quasi isterica. Quella creatura innata simulava espressioni compiaciute e sfidanti e la cosa m’irritava ancora di più. Poi, però, improvvisamente quei tratti rigidi, quegli occhi neri socchiusi per la prepotenza circondati da quella linea dominante, si rilassarono. La sua espressione si ammorbidì, e così anche le sue labbra che permisero a un sorriso diverso di affacciare. Sentii il viso riscaldarsi, il corpo bollire, le narici dilatarsi, tilt. Quell'uomo era perfetto. Fastidiosamente perfetto. «Volevo solo verificare se quello che mi aveva detto mio fratello era vero» disse alzando le sopracciglia nere e delineate, chiudendo gli occhi e fuoriuscendo le labbra. Eh? Chi è suo fratello? Chi poteva aver parlato con un fantasma di me? Roteai gli occhi infastidita. «Ma che stai dicendo? Ok. Basta. Ci rinuncio, mi stai facendo impazzire, addio!» la mia pazienza arrivò al limite e anche se quei pochi minuti sembravano secondi, sapevo che Peppe era tornato sicuramente dalla sua pausa sigaretta, non sarebbe stato giusto non farsi trovare al tavolo. «Anche tu mi fai impazzire» terminò il fantasma con la sua faccia da schiaffi. «Bene!» Mi allontanai esasperata e stressata da quell'angolo deserto e trovai l'entrata del centro commerciale. Peppe era al tavolo e i suoi occhi azzurri sembravano fari che mi puntavano. «Ma dove cazzo eri?! Ero preoccupato! Tu non lo sai com'è pericoloso qui!» sentii le sue mani delicate afferrarmi le spalle e trascinarmi sulla sedia. «Sì, lo so, scusami. Cerchiamo il negozio?» Mi alzai dalla sedia e presi le mie cose. A dirla tutta, mi sarebbe piaciuto tornare a casa, rimuginare su tutto, fare un bagno caldo, dormire e sognare una vita diversa. Ma ero qui per Peppe, non potevo abbandonarlo. «Ok, ti conosco da ieri mattina, ma ti ho vissuto più di quanto abbia mai vissuto qualsiasi nostro compagno di classe in quattro anni. Dimmi che hai. Tutto ok?» Peppe e la sua voce vellutata. Smosse qualcosa dentro di me, mi sentii decisamente meno tesa nel giro di due secondi. Mi era bastato il suo braccio nel mio e quel suono liscio e morbido che proveniva dalla sua bocca perfettamente curata. Il problema era che quel fantasma mi aveva toccata. Avevo la necessità di parlare con qualcuno. Il mio corpo era un mix tra eccitazione, timore, fastidio. Sentii un peso enorme scorrervi partendo dal mio stomaco, passando dall'esofago, poi dalla trachea, infine dalla gola, per poi uscire dalla bocca. «Io... io... io vedo i fantasmi, cazzo!» i miei occhi si spalancarono riflettendo quelli di Peppe. Ma cosa diavolo mi aveva preso?  «Ahah, Haley! Io fumo e tu ti sballi?» i suoi occhi erano ancora sgranati, quindi probabilmente non mi aveva preso del tutto per pazza. Sentii le guance inumidirsi, le sopracciglia contorcersi e la bocca tremare. Stavo crollando. Volevo soltanto gridare, piangere, sfogarmi. Avevo commesso un errore. Stupida! Come potevo pensare che quel ragazzo, che conoscevo da meno di ventiquattro ore, avrebbe potuto credermi? Ormai era fatta. Le parole erano uscite come se qualcuno me le avesse tirate con foga, e le lacrime scesero fioche e pretenziose. «Ehy, he. Ma sei seria? Tesoro, che succede?!» Peppe mi guardava perplesso, a disagio, ma si curò del mio pianto e con gentilezza mi afferrò le spalle accarezzandole. «Mi sa che dobbiamo sederci di nuovo» dissi tra un singhiozzo e l'altro. Quel pomeriggio passò molto lentamente. Peppe ed io trascorremmo circa due ore e mezzo dentro la Conca d'Oro. Raccontai tutto al rossino con il cuore in mano, esasperata. «Credimi. È una vita che ci convivo» Non avevo messo da parte nessun dettaglio, gli raccontai anche di Jake, di Patty, della mia vecchia vita, di Pietro, il fantasma biondino e della mia nuova famiglia. Era incredibile la maturità di quel ragazzo. Sembrò gestire la cosa in maniera tranquilla e razionale. Mi confortò con ogni minima parola, con ogni minimo gesto, con ogni minimo sguardo. Era il perfetto candidato per essere il mio nuovo migliore amico. «Quindi fammi capire...» disse quando i miei occhi gonfi dalle lacrime trovarono finalmente rassetto, «c'è sto bonazzo che ti è apparso stanotte a casa, e ora fa il sostenuto?» «Lui mi ha toccato, Pè! Nessun fantasma in diciotto anni mi ha potuto mai toccare. Ti rendi conto? È una novità! Voglio scoprire cosa vuole e come ha fatto! E poi mi ha detto che suo fratello gli ha parlato di me. Chi cazzo è suo fratello? Boh! So solo che è terribilmente presuntuoso, non puoi capire il modo in cui mi guarda. Lo prenderei a testate!» la conversazione adesso si era trascinata a questo punto. Non si discuteva più sul fatto che sono diversa, che non sono una ragazza come tutte le altre, avevamo superato il peggio. «Sai, Samuele è pure così. È un pallone gonfiato e ti ride in faccia quando vede che sei infastidito. Quindi capisco benissimo, vorrei solo rifarmi gli occhi anch'io con questi fantasmi gnocchi che ti appaiono quotidianamente» Peppe era un pervertito. Si parlava di situazioni paranormali e lui pensava ai fantasmi boni e perfetti che gli avevo descritto. Non badai alla sua perversione gay più di tanto, perché realizzai di aver trovato un tesoro, qualcuno di cui fidarmi ciecamente. Sentii gli occhi bagnarsi nuovamente, ma questa volta in modo diverso. Guardai il rossino sollevata, libera finalmente da quel peso frustrante, mi gettai fra le sue braccia e lo strinsi più forte che mai. Il mio amico, Peppe. Tornai a casa per cena. Tutti a tavola erano sereni e positivi. Era meraviglioso tornare dai propri cari. Paolo, il mio perfetto patrigno, ci deliziò con pizze e focacce fatte in casa, e tutti, compresa Emy, la mia sorellastra minuta, lasciammo i piatti vuoti. La serata trascorse fluida e piacevole, finalmente la nostra prima, vera serata in famiglia. Abbandonai il salotto quando sentii il bisogno di ritirarmi. Così salutai tutti e salii in camera mia, feci una doccia volante e mi gettai sul letto. Nonostante la stanchezza e la spossatezza, inspiegabilmente l'insonnia incombeva su di me. Mi giravo e rigiravo sul letto invano. Cercai di farmi conciliare il sonno giocando con Angry Birds, leggendo il mio "Il Dominio della Regina" da dove l'avevo lasciato, guardando un pò di tv. Niente. L'insonnia si era stabilita e per di più cominciava a fare terribilmente freddo. Oh, scommetto che qualcuno è venuto a farmi visita! Pensai. «Ah-ah! Abbiamo il Signor Presuntuoso!» dissi accendendo la luce, convinta che l'avrei trovato lì davanti a me, bello come la notte, ma non c'era nessuno. Sentivo freddo solo perché l'imposta non era chiusa bene, così, con delusione, andai a chiuderla per poi tornare a letto, spegnere il lumino e impormi di dormire. «Veramente mi chiamo Fabrizio» spalancai gli occhi nell'oscurità quando riconobbi quella voce. Sapevo che sarebbe tornato!

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