Capitolo 2 - Fuori luogo.

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Tutto sommato non fu una brutta nottata. Persi una buona mezz'ora a guardare il viso di Sam nelle foto che feci, l'ora successiva la persi a pensare al suo viso senza avere alcuna immagine davanti, nella mia testa non c'era altro. Non sapevo come avesse fatto ma spazzò via tutto il resto, ed eravamo solo all'inizio. Il mattino seguente mi svegliai verso le 11:30, e quando presi il cellulare per controllare l'ora mi accorsi che c'era un suo messaggio. D'istinto sorrisi, la piccola finestra delle notifiche mi fece vedere anche il contenuto del messaggio, che non era affatto lungo, ma nonostante ciò che c'era scritto non smisi di sorridere. Quel messaggio significava che il giorno prima non sognai nulla, che era tutto vero, e il mio sorriso significava che lei aveva già fatto colpo.
«Buongiorno, principessa!» c'era scritto.
Quel messaggio me lo inviò circa 3 ore prima. Io mi stropicciai leggermente gli occhi e poco dopo le risposi.
«Tu aspetta che apra bene gli occhi e poi vedi come ti rispondo.» le dissi provando ad avere un tono minaccioso, ma con dei semplici messaggi era difficile.
«Tranquilla, principessa, tutto il tempo che vuoi! Ti sei svegliata tardi... Hai passato tutta la notte a pensarmi? 😏» mi chiese lei e con quella faccina potei immaginare sul suo viso quell'espressione.
«Pfff, ma piantala! Non ricordavo che fossi così egocentrica.» le risposi io tirandomi lentamente su e mettendomi seduta.
«In effetti non lo sono, ma i messaggi mi rendono più sarcastica del solito. Sai, nonostante tutto, mi è piaciuto passare del tempo con te, soprattutto su quel ponte.» ribatté lei poco dopo, ma non avendola davanti non capii se fosse seria o meno.
«Già... È stato molto divertente.» le dissi, anche se io ero decisamente sarcastica.
«Se vuoi, possiamo rifarlo. 😏» commentò lei mandandomi di nuovo quella faccina e in quel caso mi sembrava ancora più ovvio che ci stesse provando. «Senza quel ponte però, meglio se stiamo sedute tranquille altrove con una buona pizza.»
«Ci stai provando con me o sbaglio?» le chiesi con fare più incuriosito che sarcastico, quella sarcastica era lei.
«Principessa, se io ci provassi con te lo capiresti. Mi hai concesso un giorno, ricordi? Quindi voglio che tu lo viva al meglio!» rispose lei riuscendo a farmi imbarazzare nonostante non fosse fisicamente insieme a me.
Non sapevo perché le importasse tanto, non capivo perché fosse così disponibile nei miei confronti. Non ci conoscevamo nemmeno, lei di me sapeva solo il nome, nient'altro. La mia famiglia, che conosceva molto altro, non sembrava interessata nemmeno la metà di quanto lo era lei. Avrei voluto chiederle il perché di tutto quell'interesse, avrei voluto decisamente farle delle domande più dirette, ma avevo paura che si tirasse indietro, così le tenni per me.
«Chi ti dice che accetterò?» le chiesi semplicemente.
«Hai già accettato. Lo hai fatto lasciandoti accompagnare a casa e mostrandomi dove vivi, lo hai fatto dandomi il tuo numero e rispondendo al mio messaggio. Tu hai bisogno di questo giorno...» ribatté lei senza faccine né prese in giro, sentivo che era seria.
Probabilmente aveva ragione, avevo bisogno di una scossa nella mia vita, avevo bisogno di una persona che mi spingesse a dare il massimo e lei sembrava esser lì per quello, per dimostrarmi che tutto sommato la vita non era così male, ma era ancora tutto da vedere. Quel pomeriggio passò sotto casa mia verso le 15:00, aveva una tuta della puma di quelle leggere, un completo di giacca con cerniera e pantalone lungo, entrambi completamente neri con solo il logo bianco. La cerniera era aperta e mostrava una canottiera da basket bianca e rossa, probabilmente sotto quel lungo pantalone aveva il pantaloncino. Non conoscevo le regole ma sapevo che si giocava con i pantaloncini, quella tuta era sicuramente più scomoda. Mi sorrise non appena mi vide, il borsone era tenuto su sempre con la cinghia più lunga su una spalla, in modo che le ricadesse sul fianco opposto.
«Ma ciao, principessa.» mi salutò lei con un sorrisetto divertito. «Come stai oggi?» mi chiese non appena ci avviammo verso il parco.
«Se continui a chiamarmi "principessa" potrei stare male.» le dissi in tono sarcastico.
Sapevo che mi stava solo prendendo in giro, che non voleva offendermi, e quella semplice parola era troppo poco per far sì che me la prendessi.
«Ma no, dai, non fare così. È un nome come un altro.» ribatté lei fingendo di non darle troppa importanza, ma era da quella mattina che mi chiamava in quel modo.
«Ah si? Un nome come un altro? Quindi se ti chiamassi io "principessa" tu saresti felice?» continuai io con uno sguardo confuso.
«Assolutamente si!» rispose lei in tono troppo convinto. «Ma non ci riusciresti mai, magari nemmeno riesci a dirlo.»
Non capivo come facesse ma sembrava avermi già inquadrata, era vero che non sarei riuscita a chiamarla in quel modo, ma solo perché mi sembrava stupido.
«Riesco a dire "principessa".» contestai in tono leggermente offeso alzando lo sguardo sui suoi occhi.
«Bene, chiamami in quel modo allora.» replicò lei con un sorrisetto beffardo.
Lentamente si fermò, per darmi il tempo e il modo di dirle tutto, e io mi fermai di fronte a lei.
«D'accordo... Come stai tu, principessa?» le chiesi provando a tenere il mio tono fermo, ma mi sentivo piuttosto ridicola in quel momento.
«Eh no, non sei convincente.» commentò lei prendendomi palesemente in giro.
«Non dovevo essere convincente, dovevo solo dirtelo.» protestai io col viso sempre più rosso.
«Ma se non sei convincente è inutile.» ribatté lei con ancora quel sorrisetto stampato in faccia. «Vuoi riprovare?»
«No, grazie... Mi sento già abbastanza in imbarazzo.» risposi io voltandomi e allontanandomi da lei, ma non ci mise molto a venirmi dietro.
«Oh, povera piccola.» commentò lei mettendomi un braccio attorno alle spalle.
Lei era più alta di me di pochi centimetri, probabilmente quella cosa le piaceva molto, poteva intensificare le sue prese in giro anche con i gesti, quel braccio sulle mie spalle per esempio.
«Dai, non ci pensare. Dimmi, piuttosto, sei pronta a vedere una star fare il culo a tutti sul campo da basket?» mi chiese lei in tono piuttosto eccitato.
«Parli di un tuo amico?» ribattei con fare divertito.
«Ma no, io parlavo di me.» commentò lei guardandomi con uno sguardo offeso e togliendomi quel braccio dalle spalle.
Poi si voltò in avanti, ricominciò a camminare e borbottò qualcosa.
«Pfff, guarda un po' queste ragazzine, oh...» biascicò lentamente.
«Dai non te la prendere, era una battuta.» le dissi in tono ancora sarcastico, in fondo anche lei sorrideva, non se l'era presa sul serio.
«Oh sisi, certo. Adesso dici così, ma ti ricrederai quando mi vedrai giocare in campo.»  commentò lei con un sorriso piuttosto convinto.
«Vedremo!» ribattei io ricambiando il suo sorriso e accettando la sua sfida.
«Hai fatto bene a portare la macchina fotografica, così potrai segnarti ogni mio magnifico movimento.» commentò lei guardandomi con aria soddisfatta.
Io ormai non riuscivo ad uscire senza portarmi dietro quella fotocamera, divenne da subito una parte di me. Purtroppo per lei, però, il marciapiede su cui stavamo camminando (poco prima di arrivare al ponte) non era perfettamente in linea e lei inciampò in una mattonella che era appena fuori dal suo spazio. Incespicò per qualche istante, per fortuna non cadde, non si fece nemmeno male. Io allungai una mano verso di lei, avevo paura che potesse sul serio cadere ma il mio aiuto non servì. Lei piegò il suo corpo in avanti, traballò per pochissimi secondi fino a trovare il marciapiede livellato ben saldo sotto l'altro piede. Il momento fu così buffo che non potei non fare nulla, presi subito la macchina fotografica e prima che si mettesse in piedi le scattai una foto. Sorridevo, trattenevo una risata data la sua espressione sorpresa che aveva in foto, ma era dannatamente divertente.
«Questo tuo movimento è stato più che magnifico.» commentai chiudendo l'obiettivo della macchina fotografica.
«Sei morta!» ribatté lei e io ebbi solo il tempo di alzare lo sguardo sul suo viso per accorgermi che era in piedi perfettamente e con le guance leggermente rosse.
«Oh cazzo!» esclamai senza smettere di sorridere mentre mi lanciai alle sue spalle e corsi velocemente lontano da lì.
Lei non perse un attimo, e mi venne subito dietro. In un certo senso eravamo entrambe ostacolate da un oggetto che avevamo addosso. Lei dal suo borsone e io dalla macchina fotografica, dovetti correre per tutto il tempo con una mano sulla fotocamera per non farla sbattere di continuo contro il mio petto. Avrei potuto toglierla dal mio collo ma era un movimento che mi costava troppo impegno in quel momento, e io dovevo scappare. Sapevo dove stavo andando, verso il parco oltre il ponte della sera prima, e sapevo che lei non aveva intenzione di farmi nulla, ci vedemmo meno di 24 ore prima per la prima volta, ma sentivo di conoscerla da sempre. Anche quel giorno faceva piuttosto caldo, l'aria che spostavo era calda e dovetti fare attenzione anche a non scontrarmi contro delle persone che mi trovai davanti. Sentivo il cuore battermi all'impazzata, il respiro che dopo 50 metri si fece subito pesante, ma non mi fermai. Quando uscii dalla città, quando arrivai sul ponte vuoto, mi voltai per un secondo solo col viso, senza smettere di correre. Lei era ancora lì, ancora dietro di me, aveva il viso rosso per la fatica, ma sorrideva. Subito mi voltai di nuovo in avanti e ripresi a correre più veloce, lei era distante di soli 10 metri e la sentivo macinare metri. Oltre quel ponte c'era un alto palazzo in ristrutturazione, aveva le finestre sbarrate, buchi nelle pareti fatte di mattoni rossi, una volta era una fabbrica, ma era abbandonata da più di 20 anni. Lo superai velocemente senza far troppo caso al pavimento sotto i miei piedi che cambiò. Il marciapiede, fatto di piccoli mattoncini grigi, non c'era più, al suo posto c'era l'asfalto della strada. Mi separavano dal parco una trentina di metri, lo vidi già quando oltrepassai il ponte, più mi avvicinavo e più mi dicevo che era inutile correre, che tanto mi avrebbe presa, ma quel pensiero non mi dispiaceva affatto. Difatti, quando arrivai davanti ad una delle entrate del parco, la più vicina in quel momento, mi fermai accanto alla recinzione di metallo. Poggiai lì una mano e mi voltai per metà col corpo per guardarla arrivare mentre ripresi fiato, non appena si fermò accanto a me, sfrecciando come un missile, io feci un passo verso l'entrata ma lei mi prese una mano e mi tirò verso di sé.
«Non vai da nessuna parte, ti ho presa ora...» sussurrò con un tono piuttosto affannato, a differenza sua, io mi ero già riposata una decina di secondi in più arrivando lì prima di lei, non mi dispiaceva che mi prendesse, ma lei era stanca e sudata.
«E quindi? Mh? Vuoi farmi fuori?» le chiesi con un tono piuttosto ironico.
Lei sorrise, era un sorriso divertito, le labbra erano leggermente socchiuse, continuava a respirare velocemente anche se gradualmente il suo respiro si calmò, a differenza del mio cuore che partì subito, era di nuovo pronto a battermi all'impazzata nel petto. Con una sua mano su una mia spalla, Sam mi spinse lentamente contro la recinzione alle mie spalle, sentii le strisce sottili e fredde contro la pelle scoperta delle braccia, ma non mi azzardai a muovermi da lì, soprattutto a non muovere il mio sguardo dal suo viso. Lei si bagnò le labbra in modo lento, quasi provocatorio, il suo sguardo si fece più intenso, i suoi occhi salivano e scendevano dal mio collo, alle mie labbra e ai miei occhi, fino a tornare lentamente giù. L'altra sua mano, quella che non teneva ferma sulla mia spalla destra, salì lentamente sul mio viso. Prima di arrivarci sfiorò delicatamente la curva del mio collo con la punta delle dita e, nonostante facesse caldo, nonostante avessi appena corso per quasi un centinaio di metri, sentii dei brividi di freddo lungo le braccia. Quando smise di toccare il mio collo, salì su a contornare i bordi della mia mandibola fino ad arrivare sotto al mento. Si fermò lì, le quattro dita più lunghe sotto il mio mento a sfiorare quasi il mio collo, mentre il pollice era quello più interessato a muoversi. Si allungò verso il mio labbro inferiore e lo sfiorò per tutta la sua lunghezza, c'era un certo non so che di intrigante nel suo sguardo, mi sentivo come se mi stesse leggendo dentro, e una lieve preoccupazione si impossessò per un attimo della mia mente.
«Se capisse che voglio baciarla?» mi chiesi d'istinto, preoccupata del fatto che il mio sguardo potesse effettivamente trasmettere quello.
Avrei tanto voluto sapere cosa pensava lei, sarei tanto voluta entrare nella sua mente e capire il perché di quel sorriso che le spuntò non appena il suo dito finì di scivolare sul mio labbro. Poi la vidi avvicinarsi, vidi il suo viso farsi più vicino, e il mio cuore sembrò impazzire di più. Quando le punte dei nostri nasi quasi si sfioravano, lei si fermò. Sentivo il mio viso piuttosto caldo, i suoi occhi ancora fissi nei miei.
«Non voglio affatto che tu muoia, anzi, voglio che tu sia più viva che mai.» sussurrò in un tono piuttosto basso, come se fossimo circondate da un sacco di persone e non volesse farsi sentire.
Non sapevo se fosse voluto ma il suo tono tradì un accenno di eccitazione. Scivolò lentamente giù col viso, distogliemmo lo sguardo l'una dagli occhi dell'altra quando non fummo più nella visuale, il suo corpo era ancora lì, mi teneva ancora ferma contro di sé e lentamente le sue labbra le sentii scivolare lungo il mio collo. Erano morbide, calde e leggermente umide. Scivolarono lente lungo la curva al lato del mio collo, si fermò solo quando arrivò poco sotto il mio orecchio, ma fu lì che sentii i suoi denti mordermi e inconsciamente chiusi gli occhi. Fui percorsa da migliaia di brividi, partirono e si fermarono tutti allo stesso punto. Partirono lì, dove lei mi morse, fermarono per un millisecondo il mio cuore e il mio respiro insieme, e si fermarono sul basso ventre dove colpirono tutti insieme. Quel suo breve morso mi fece andare in tilt completamente, fu un gesto che non mi aspettavo, l'attrazione fisica con lei scattò subito ma non mi aspettavo che lei provasse lo stesso.
«Adesso farai il tifo per me?» mi chiese lei in tono basso, ma io ero ancora piuttosto scombussolata.
«Cosa?» le chiesi senza capire di cosa parlasse, la partita mi sfuggi completamente dalla mente.
Qualsiasi cosa mi sfuggì dalla mente, anche il posto in cui ci trovavamo. La sentii sorridere, la mia vista tornò a fuoco e il suo viso lentamente tornò davanti al mio.
«Ricordi che ho una partita da giocare, vero? O magari quell'innocente morso ti ha messo k.o. il cervello?» domandò in tono piuttosto divertito.
«Allora... Prima di tutto, quel morso non era affatto innocente.» contestai schiarendomi la voce e tentando di riprendermi.
«Ah no?» mi interruppe lei ridacchiando.
«No, affatto! Mi stavi solo provocando, non ho ancora capito il perché ma so che è così.» risposi io guardandola seriamente, solo leggermente imbarazzata.
«D'accordo, non voglio spegnere le tue speranze.» sorrise lei con fare divertito. «E la seconda cosa quale sarebbe?»
«La seconda è che so che hai la partita, quindi andiamo.» le dissi facendo un passo verso destra, riuscii a superarla e velocemente oltrepassai l'entrata del parco.
Mi avviai per il sentiero pieno di piccole mattonelle arrotondate, asimmetriche, di varie sfumature diverse di grigio. Al centro della stradina erano più scure e man mano che ci si allontanava dal centro, a entrambi i lati, il grigio diventava più chiaro, fino ad arrivare al cornicione quasi bianco che divideva la stradina asfaltata e il prato non così curato, pieno di erbacce, sassolini e alberi piuttosto alti. Lungo quella stradina c'erano dei lampioni, in quel momento erano spenti, ma nel giro di un paio d'ore avrebbero illuminato tutto il parco, sia dentro che fuori. Ad ogni 15 metri ce n'erano due a entrambi i lati, e poco più distanti da uno dei due lampioni c'era una panchina in metallo. Non mi allontanai molto da Sam, dall'entrata del parco, e quando oltrepassai una prima coppia di lampioni mi trovai lei di nuovo accanto.
«Quindi farai il tifo per me? Mh?» mi chiese poggiando un suo braccio attorno alle mie spalle.
«Farò il tifo per la squadra avversaria.» risposi in tono sarcastico e lei ritrasse subito il braccio.
«Antipatica!» ribatté in tono quasi offeso, ma con la coda dell'occhio la vidi sorridere.
Percorremmo quella ventina di metri in silenzio, ognuna persa nei propri pensieri. Alla fine del sentiero si apriva tutto il parco, partendo dal campo da basket a 5 metri da noi sulla destra, dei giochi per bambini sulla sinistra in mezzo all'erba, e poco più avanti c'era anche un campo da calcio a cinque recintato, oltre varie stradine che si incrociavano tra loro. Nel campo da basket c'erano già almeno quattro persone, si stavano riscaldando con dei tiri liberi, tre di quei ragazzi avevano la divisa gialla con delle strisce nere, un altro invece aveva la divisa rossa con strisce bianche, come quella che aveva Sam sotto la giacca. Non sapevo dove andare o cosa fare, mi sentivo nervosa, sentivo che le mani iniziavano a sudarmi, ma lentamente e a testa bassa continuai a camminare accanto a lei. Ci avvicinammo alla sinistra del campo, alla mia destra sentii Sam che salutava gli altri ragazzi in campo, mentre noi ci avvicinammo al lato in fondo di una scalinata in cemento con almeno una quindicina di gradini e larga quanto tutto il campo. Su quella gradinata vidi qualche bambino, alcune donne e un paio di ragazze ma non mi spinsi a guardarle per troppo tempo.
«Senti... Forse è meglio che vada.» commentai io fermandomi all'improvviso, quasi in preda al panico.
«Cosa? Perché?» mi chiese lei voltandosi verso di me e guardandomi con uno sguardo confuso.
«Perché non ci sto bene qui, non è il mio posto.» biascicai io in tono quasi tremante, non mi sentivo a mio agio in mezzo a troppe persone.
«In che senso? Non ti piace il basket?» domandò lei ingenuamente.
«Non è questo, anche se in effetti ci capisco poco, ma in mezzo a tutte queste persone i-io... Non lo so, non mi sento a mio agio.» le spiegai provando ad allontanarmi facendo un passo indietro, ma lei mi prese una mano e mi fece camminare per altri pochi metri.
«Tu non pensare a loro, ok? Pensa a me.» disse in tono piuttosto calmo, un po' come la sera precedente.
«Non mi riesce così facile.» ribattei col viso rosso e il cuore che non riusciva a fermarsi.
«Siediti qui e stai tranquilla, ok? Nessuna di queste persone ha intenzione di farti del male, soprattutto se sanno che sei con me.» commentò lei facendomi sedere sul secondo gradino lontano da tutte le persone che erano più in alto e più al centro delle gradinate.
«Ah si? Perché, tu sei il boss del parchetto?» le chiesi cercando di calmarmi un tantino, ma lei riusciva bene a farmi tranquillizzare.
«Oh no, peggio, io sono il boss del mondo!» mi sussurrò all'orecchio in tono sarcastico e io risi, ma nel bel mezzo del discorso arrivò un ragazzo che ci interruppe.
«Ehi, Sam, come stai?» chiese lui arrivandole alle spalle e fermandosi alle sua destra, poco davanti a me.
Il ragazzo era carino, poco più basso di lei, con i capelli rossi, ma di un rosso naturale tipo famiglia Weasley, e leggermente più lunghi di quelli di Sam. I suoi occhi erano scuri, ma non erano affatto espressivi come quelli di Sam.
«Ciao Fede', direi di star bene dai, hai paura di perdere il tuo giocatore migliore?» gli chiese lei in tono ironico.
«Pfff, sono io il giocatore migliore.» rispose lui col suo stesso tono.
«Si, certo, come no...» ribatté Sam ridendo.
«E lei chi è?» continuò lui incrociando il mio sguardo.
«Oh, lei è Manuela.» disse lei semplicemente.
«Ciao, molto piacere, io mi chiamo Federico. Sei venuta a fare il tifo per noi?» mi chiese lui con un ampio sorriso, ma io non riuscii a tenere ben fermo il mio sguardo su di lui, mi imbarazzava leggermente.
«Non so, quei tre dell'altra squadra mi sembrano molto più in forma.» dissi io voltandomi verso quegli altri tre che facevano dei tiri da varie distanze diverse.
«Perché non mi hai ancora visto giocare, ma fidati che sono il migliore.» commentò lui in tono piuttosto convinto.
«D'accordo, proverò a fidarmi.» dissi voltandomi di nuovo verso di lui.
«Grande! Ci conto, eh! Se vuoi, puoi farmi anche qualche foto, non te ne pentirai.» continuò lui saltellando all'indietro piuttosto esaltato e io mi chiesi cosa ci fosse in quelle persone da farle essere così piene di entusiasmo.
Lo guardai per altri pochi secondi, anche quando tornò in campo e provò un tiro da oltre dieci metri, prese il ferro esterno del canestro dopo esser sbattuto sul tabellone, e il pallone tornò indietro da lui che si avvicinò con uno scatto e lo recuperò in fretta.
«Ok, dai, se n'è andato. Puoi anche smetterla di fissarlo.» disse Sam pochi istanti dopo in tono leggermente infastidito.
«Cosa c'è? Sei gelosa?» le chiesi in tono sarcastico riportando il mio sguardo sul suo viso.
«Ma no, certo che no.» commentò lei sfilandosi lentamente la giacca. «È solo che Federico è uno che si vanta tanto, ma poi in campo sono gli altri a dover fare il lavoro al posto suo.»
«Questo lascialo valutare a me, ok?» le chiesi con un sorriso piuttosto divertito, il suo sguardo infastidito mi intrigava.
«Seh... Certo, d'accordo.» continuò lei poggiando la giacca sopra al borsone che poggiò sul primo gradino in basso.
«Eppure a me sembri gelosa...» ribattei io incrociando il suo sguardo.
«Fidati, se mi metto in testa una cosa, non c'è nessuno che può battermi. Non mi faccio mettere sotto da nessuno!» commentò lei con fare piuttosto sicuro.
«E cos'è che ti sei messa in testa? Eh?» le chiesi in tono provocatorio e divertito, ma lei in un attimo mi fece perdere tutta la sicurezza che avevo.
Si avvicinò lentamente a me, allungò la sua mano destra verso di me e io sentii le sue dita sfiorare una parte del mio collo, la stessa dove poco prima lasciò i suoi denti a mordermi. Lentamente si piegò col busto davanti a me, portò il suo viso accanto al mio e sentii il suo respiro caldo e lento contro la mia pelle.
«Io le cose non le spiego, io te le mostro.» sussurrò prima di stamparmi un bacio su una guancia.
Velocemente si tirò su, mi guardò con un sorrisetto soddisfatto e tornò a spogliarsi. Non capivo cosa avesse in mente, ma una cosa era certa, era brava a confondermi le idee e a lasciarmi senza parole. La parte superiore del suo corpo era già pronta, aveva addosso quella canotta rossa e bianca, e lentamente iniziò a togliersi anche il pantalone. Non mi accorsi di fissarla fino a quando non mi incantai sullo spacco del suo seno, che intravidi sulla scollatura della canotta, che in quel momento era molto più ampia dato che era piegata in avanti per tirar giù il pantalone e restare in pantaloncini. Sentii un'altra fitta al basso ventre, la gola secca, il battito accelerato, il respiro piuttosto lento, ma mi si bloccò del tutto quando alzai di poco il mio sguardo sul suo viso e vidi che mi stava guardando. D'un tratto l'eccitazione fece posto all'imbarazzo, lei sorrise e io sentii le guance scaldarsi velocemente e andare in fiamme dopo pochi secondi. Subito abbassai lo sguardo portandolo sulle sue gambe scoperte, gambe slanciate e leggermente muscolose.
«Potrai anche fotografare lui, ma guarderai me, e non riuscirai a smettere di farlo.» commentò lei con un sorrisetto divertito.
Io non risposi, ero già fin troppo imbarazzata. Lei poi piegò la sua tuta con una certa velocità, la mise nel borsone e prima di tornare su cacciò fuori una bottiglietta di Gatorade. Fece un paio di sorsi lunghi, svuotandola per un terzo, e ripose la bottiglia nel borsone.
«Grazie per la corsetta di prima, mi ha aiutato a riscaldarmi prima della partita. Ora sono pronta!» disse tirando su il borsone e poggiandolo accanto al mio fianco destro. «Ti spiace se lo lascio qui? Almeno evito di tenerlo a terra.»
«Certo, tranquilla.» risposi io poggiando un braccio su quel borsone che, in quel punto, mi dava anche più sicurezza stando in mezzo tra me e tutti gli altri spettatori.
Lei sorrise e si allontanò, prima indietreggiò lentamente e poi dopo pochi metri arrivò all'interno del campo e cambiò di colpo il suo ritmo. Si fece passare il pallone da quel suo compagno, fece un paio di palleggi, uno scatto in avanti e con un salto tirò a canestro insaccando il pallone senza troppi problemi.
«Allora?» chiese lei voltandosi con le braccia aperte verso di me. «Cosa ne pensi di questo?» continuò con un sorrisetto beffardo.
Io non le risposi, per farlo avrei dovuto urlare come fece lei e non mi andava di mettermi in mostra, anche se immaginavo che le sue urla fossero state udite già da chi era seduto su quelle gradinate. Non mi voltai però, non le risposi nemmeno, per l'appunto, l'unica cosa che feci fu accendere la macchina fotografica e farle una foto mentre era ferma con le braccia larghe. Lei mi sorrise non appena portai giù la macchina fotografica, poi insieme al suo amico tornò a concentrarsi sul gioco ed entrambi sembravano mettersi in mostra. Fecero un uno contro uno, attaccavano e difendevano a turno. Sam era brava in attacco, era veloce nei palleggi e durante gli scatti, Federico invece era più bravo in difesa. Era poco più basso di Sam, ma la velocità non gli mancava, riusciva a recuperare un pallone durante un palleggio di troppo ma in volo purtroppo era in netta difficoltà. Nonostante l'equilibrio tra quei due, il risultato era in netto vantaggio per Sam. Non sapevo come funzionassero i punti, non conoscevo le varie zone del campo né i termini tecnici, sapevo solo che Sam andò a canestro 3 volte su 4, mentre Federico riuscì ad infilare il pallone nel canestro una sola volta. Mentre loro erano intenti a punzecchiarsi, in attesa del resto dei compagni che arrivavano dalla stessa direzione in cui arrivammo io e lei, una donna mi si avvicinò scendendo un paio di gradini e restando seduta alla mia destra, ad un singolo gradino più in su.
«Ehi ciao!» mi disse lei facendomi sobbalzare.
Non pensavo ce l'avesse con me, credevo che lì si conoscessero tutti, e io non conoscevo nessuno. Ma la voce arrivò da così tanto vicino che la mia bolla esplose all'istante facendomi spaventare.
«Scusami, non volevo spaventarti...» continuò lei con un tono più lento e dispiaciuto.
«No, tranquilla.» risposi io abbozzando un sorriso. «Mi hai solo colto di sorpresa.»
«Eh si, l'ho notato.» scherzò lei. «Volevo chiederti se tu e Sam state insieme.»
«Cosa? M-ma no, assolutamente...» le dissi io in tono decisamente imbarazzato e lei scoppiò a ridere.
Io la guardai con fare confuso e leggermente offeso, non capivo perché diavolo ridesse così sguaiatamente in faccia ad una persona che non conosceva nemmeno.
«Scusami, non ridevo per te. È che hai frainteso la mia domanda. Intendevo se foste qui insieme, vi ho viste parlare e non ti ho mai vista da queste parti.» mi spiegò la donna guardandomi con i suoi occhi scuri.
«Beh in effetti non esco poi molto, ma direi di si, cioè siamo qui insieme, mi ha praticamente costretta a venire qui.» commentai io a metà tra il sarcastico e l'imbarazzato.
«Si, lei è una che spinge molto le persone a fare qualcosa, quindi siete amiche?» continuò lei con una strana sete di conoscenza, io non avrei mai fatto tante domande a qualcuno che non conoscevo.
«Non saprei, ci conosciamo da poco.» risposi io piuttosto imbarazzata.
«Capisco... E ti va di unirti a me e alla mia famiglia?» propose lei facendomi segno a pochi gradini sopra di noi, sulla destra, in cui c'erano due ragazze, che avevano circa 15 e 18 anni, e un bambino di appena 2 anni. «Siamo qui per fare il tifo per mio marito, so che non mi conosci ma dato che sei qui tutta sola...» continuò lei come se volesse convincermi.
«Grazie, ma non fa nulla, non mi dispiace stare da sola. Poi non so nemmeno quanto durerò, nemmeno mi piace il basket.» le dissi io sentendomi ancora di più a disagio.
«Oh, nemmeno a me, ma mio marito ci tiene tanto.» rispose lei con un piccolo sorriso. «A te piace la fotografia?» mi chiese abbassando per un istante lo sguardo sulla macchina fotografica che avevo appesa al collo.
Era gentile, non sembrava una cattiva persona, ma faceva fin troppe domande per i miei gusti.
«Si...» risposi io lentamente.
«Beh allora oggi ne vedremo delle belle, si scontrano sempre più duramente quando c'è qualcuno che li fotografa.» mi spiegò lei piuttosto entusiasta. «Dai, ora ti lascio in pace, magari ci vediamo dopo la partita.» commentò lei tirandosi su.
Ci salutammo e finalmente potei tornare a respirare. Non mi piaceva chiacchierare con qualcuno che non conoscevo, non ero così intuitiva da capire il perché di uno sguardo, un gesto o una parola di un estraneo, e nemmeno capii perché quella donna si avvicinò a me. Probabilmente voleva solo essere gentile, sicuramente conosceva Sam meglio di me, ma non capivo ugualmente che rapporto ci fosse tra di loro. Lentamente mi calmai, lasciai uscire quei pensieri dalla mia testa e mi concentrai su Sam. Quando quella donna si fermò a parlare con me, anche Sam e Federico si fermarono. Un gruppetto di una decina di persone arrivò, tra cui solo 3 erano quelli che avrebbero giocato a basket, gli altri erano probabilmente parenti e amici. Quelli che avrebbero giocato si misero al centro del campo a chiacchierare, aspettando tutti gli altri che arrivarono poco dopo. In tutto erano quattordici, c'erano due riserve a testa, e anche le gradinate si riempirono per metà. Probabilmente nessuno mi stava guardando, probabilmente ero invisibile anche lì, ma mi sentivo piuttosto nervosa. Odiavo essere in mezzo a tante persone, sentivo i loro occhi addosso anche se nessuno mi guardava, ero piuttosto paranoica ma non riuscivo ad evitare quei pensieri.
«Ehi, principessa, come stai?» mi chiese Sam facendomi sobbalzare e rendendomi ancora più nervosa.
«Smettila di chiamarmi così!» le dissi in tono piuttosto duro, anche fin troppo, ma non volevo che qualcuno la sentisse.
Lei era seduta accanto a me, il suo tono fu anche piuttosto basso, quindi nessuno a parte me l'avrebbe sentita, ma quello lo capii solo pochi secondi dopo.
«Scusami...» commentò lei in tono sorpreso e dispiaciuto. «È successo qualcosa?»
«N-no, non è successo nulla.» dissi io riportando il mio sguardo verso le mie gambe, ma non ci rimase per molto tempo.
«Allora cos'hai?» mi chiese lentamente, io non le risposi e lei portò due dita sotto al mio mento facendomi voltare piano verso di lei. «Manu', cosa c'è?» continuò con un misto tra dolcezza e preoccupazione.
«I-io non mi sento a mio agio qui.» le dissi in tono tremante.
«Mi dispiace... Non voglio che tu ti senta a disagio, se vuoi posso accompagnarti a casa.» commentò lei cautamente.
Io rimasi per qualche secondo a guardarle semplicemente il viso, non risposi, non sapevo nemmeno cosa dire. Lei era dolce e gentile ma non volevo che si preoccupasse per me.
«Sto bene...» dissi facendo un respiro profondo. «Mi passerà.» aggiunsi io facendole un piccolo sorriso.
«Sicura?» continuò lei scrutandomi con i suoi occhi scuri.
«Si, non è nulla.» le spiegai in tono non molto convinto.
Non era poi "nulla", era una brutta sensazione, era ansia, di quella che mi prendeva la gola. Ma mi costrinsi a restare lì con lei, tutto sommato non volevo andare via.
«D'accordo, ma se dovessi sentirti peggio, dimmelo. Va bene?» mi chiese accarezzandomi dolcemente il viso.
«Va bene.» risposi io piuttosto imbarazzata.
Lei mi sorrise, fu un sorriso piuttosto bello, un sorriso che stranamente mi scaldò il cuore ma mi fece sentire dei brividi lungo la schiena.  Lentamente avvicinò il suo viso al mio, mi stampò un dolce bacio su una guancia e sentii anche il mio viso scaldarsi.
«Se in qualsiasi momento dovessi sentirti a disagio, tu dimmelo, anche se sarò in campo. Tu chiamami e io verrò da te, d'accordo?» continuò lei con calma.
«D'accordo...» risposi io col viso piuttosto rosso.
Poi di sfuggita vidi delle persone muoversi in campo, velocemente, le mie orecchie tornarono a sentire anche altro oltre che la sola voce di Sam. Mi voltai verso il campo e li vidi giocare, correre e scattare da una parte all'altra del campo.
«Come mai sei qui piuttosto che in campo?» le chiesi in tono confuso.
«Pensi che le star debbano partire dal primo minuto, eh?» ribatté lei in tono sarcastico facendomi sorridere. «Beh per il momento resto in panchina, se avranno bisogno di me sarò pronta a sistemare ogni loro casino.» aggiunse con un piccolo sorriso.
Lentamente ci voltammo entrambe verso il campo e, man mano che succedeva qualcosa, lei mi spiegava le regole. I punti erano segnati su un piccolo tabellone luminoso situato dal lato opposto del campo, in modo che chiunque fosse sulle gradinate poteva tenere d'occhio il punteggio. Le squadre sembravano equilibrate, sia in quanto a forza che età e fisico dei "giocatori". C'erano altre due ragazze in mezzo agli altri maschi, esclusa Sam. Quelle due però erano entrambe in campo, ma io non vedevo l'ora di vedere Sam in azione. Raramente feci qualche foto ad altri, l'unico soggetto che mi ispirava particolarmente era lei, che per i primi 5 minuti rimase seduta accanto a me. Mi disse che c'erano almeno 4 tempi, ognuno dei quali durava 10 minuti. Se alla fine di quei 4 tempi il risultato era in pareggio, allora ci sarebbero dovuti essere altri tempi di 5 minuti. Insomma, nel basket non erano ammessi pareggi. In quella partita ci furono almeno 2 tempi in più, 10 minuti in tutto. Sam giocò bene, non sapevo dire se fosse la migliore di tutti, ma fu l'unica che guardai, e di tanto in tanto vedevo anche lei ricambiare il mio sguardo. Lei mi fece calmare poco prima di iniziare a giocare, e con ogni suo sguardo che puntava su di me, mi faceva sentire più tranquilla. Come sport non mi sembrava così male, era interessante e divertente vedere come si sfidavano tra di loro tra uno scatto e l'altro. Mi preoccupai un paio di volte per Sam, a causa di qualche fallo che le fecero per rubarle il pallone. Entrambe le volte mi alzai, ebbi lo strano impulso di scendere giù e andare a controllare come stava ma entrambe le volte si tirò su piuttosto velocemente. Anche con un ginocchio sbucciato e leggermente dolorante volle continuare a giocare, ma non era il massimo. La fecero uscire lasciandola in panchina fino al secondo tempo supplementare, in quel momento non sentiva più alcun dolore, voleva solo vincere. E ci riuscì. Riuscì a vincere e a far vincere la propria squadra. Avrebbe potuto passare il pallone anche a Federico, che si smarcò bene, ma lei aveva già deciso di dover fare da sola. Così superò il suo avversario e tirò a canestro segnando il punto decisivo. Federico non sembrava deluso, anche lui fece molti canestri, e tutti quelli che avevano la divisa bianca e rossa festeggiarono in mezzo al campo.
«Adesso vi tocca pagare.» disse un uomo alto con la divisa bianca e rossa verso i suoi avversari.
«Sisi, d'accordo, questa volta paghiamo noi.» rispose un altro con la divisa gialla e nera.
«Quasi ogni settimana ci ritroviamo tutti qui al campo, ci sfidiamo e la squadra che perde deve offrire una pizza all'altra squadra.» mi spiegò Sam poco dopo fermandosi accanto a me e spiegandomi di cosa parlavano.
«Sam, tu vieni?» le chiese la donna che mi parlò poco prima dell'inizio della partita.
«Certo che sì.» rispose lei piuttosto entusiasta.
«E la tua ragazza?» continuò lei facendo imbarazzare entrambe.
Io mi pietrificai all'istante, in quel momento avevo davvero gli occhi di oltre 30 persone addosso.
Mi sentivo di troppo, non facevo parte del loro gruppo, nemmeno sapevo chi fossero. Sam non disse nulla, nemmeno lei sapeva come rispondere a quella domanda. Non c'era solo da chiarire se sarei andata o meno, ma c'era anche da chiarire che io e lei non stavamo insieme. Alla fine, dopo quasi un minuto estenuante di silenzio, mi sbloccai e fui io a parlare.
«No, grazie dell'interessamento ma ho delle cose da fare.» dissi in tono piuttosto titubante.
Lentamente mi costrinsi anche a muovermi, non sopportavo più quegli sguardi addosso. Mi inoltrai verso quelle persone e senza guardare nessuno, senza nemmeno salutare Sam, mi allontanai. Mi sentivo una stupida, mi sentivo nervosa, impacciata e fuori luogo. E non volevo costringere Sam a starmi dietro, mi sentivo patetica anche al solo pensiero. Non appena superai quella folla, accelerai il mio passo e dopo poco mi ritrovai alla stessa uscita da cui entrammo io e Sam, ma fu proprio quest'ultima a fermarmi prima di arrivare fuori.
«Ehi, dove vai?» mi chiese prendendomi una mano e facendomi voltare indietro.
«Torno a casa.» risposi io semplicemente con un leggero nodo alla gola.
«Perché?» continuò lei in tono confuso.
«Perché devo.» dissi senza riuscire nemmeno ad inventare una scusa sensata.
«Ma è presto.» commentò con un piccolo sorriso, ma più restavo lì con lei e più stavo male.
«E quindi?» le chiesi in tono nervoso facendo sparire anche quel piccolo sorriso.
«Mi hai concesso un giorno, e questo non è ancora finito.» contestò lei con uno sguardo piuttosto serio.
«Ti ho dato il massimo che ho potuto.» ribattei io abbassando leggermente il mio sguardo dai suoi occhi.
«Manu', dai... Vieni con me.» continuò lei poggiando una mano sotto al mio viso e facendomi incrociare di nuovo il suo sguardo.
«No, Sam, non me la sento di passare la serata con i tuoi amici.» le spiegai in tono titubante.
«Lo so, l'ho capito.» rispose lei confondendomi le idee. «Infatti ti ho chiesto di venire con me, non con loro.»
«Ma...» dissi io prima di venir interrotta da lei che capì subito i miei dubbi.
«Andiamo a mangiare una pizza da un'altra parte, lontano da dove vanno loro.» mi disse in tono calmo, continuava a tenerci troppo.
Ci teneva così tanto che non potei rinunciare, in fondo lasciò i suoi amici solo per seguire me. Continuai a chiedermi il perché, mi feci tante domande per tutta la serata, mi sarebbe tanto piaciuto riuscire ad esporgliele. Quando accettai il suo invito, lei sembrò rilassarsi, mi sorrise persino. Mi disse che però sarebbe dovuta passare da casa sua per farsi una doccia e cambiarsi. Io le dissi che avrei potuto aspettarla in pizzeria ma lei mi convinse ad accompagnarla fin dentro al suo appartamento.
«Stai tranquilla, non voglio approfittare di te.» disse non appena entrammo in casa.
L'arredamento era piuttosto minimalista, c'era giusto l'essenziale e qualche soprammobile per decorare la casa, le pareti erano piuttosto spoglie. Lei mi fece strada verso la sua camera, in fondo al corridoio, e io la seguii lentamente cercando di capire se potevo fidarmi o meno delle sue parole. All'improvviso però si aprì una porta non appena lei ci passò accanto, una ragazza uscì fuori con un turbante sulla testa fatto con un asciugamano, per tenere i capelli bagnati probabilmente, mentre il resto del corpo era decisamente meno coperto, aveva solo un intimo blu addosso. Io mi bloccai all'istante, la ragazza era alta quanto me, sembrava più giovane di Sam. Quest'ultima tornò indietro, notando che mi ero bloccata, e cercò di prendere in mano la situazione.
«Spero che tu non ci sia stata di nuovo tre ore.» disse verso quella ragazza che non sembrava affatto imbarazzata.
«No, tranquilla, andavo di fretta stavolta.» rispose lei voltandosi verso Sam.
«Stai uscendo?» continuò Sam in tono confuso.
«No, tra poco arriva Cristina, ma rimarremo a casa. Lei invece chi è?» domandò quella ragazza portando i suoi occhi azzurri su di me.
«Lei si chiama Manuela, è un'amica.» rispose Sam in tono strano, non sembrava molto convinta nemmeno lei.
Io incrociai per un istante il suo sguardo e lei alzò un sopracciglio come a chiedermi se qualcosa non andasse, ma non ero sicura di nulla, quindi essere definita da lei sua semplice amica mi stava bene, anche se non ero certa di chi fosse quella ragazza.

Un altro giorno... Where stories live. Discover now