Capitolo 5 - Maschio o femmina.

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Non capii subito la sua richiesta, né il perché di quella fascia che rendeva solo più piatto il suo seno, ma lei era di profilo. Non mi dava le spalle, né mi guardava in faccia, ma pochi istanti dopo alzò il suo sguardo su di me. I suoi occhi sembravano lucidi, il suo sguardo era nervoso, titubante, non riusciva a reggere il confronto con il mio. Velocemente si voltò verso il suo armadietto, lo aprì e si infilò subito la maglietta che aveva quando arrivammo lì.
«Puoi dire qualcosa, per favore?» mi chiese in tono incerto e io esitai un secondo.
«Sinceramente non so bene cosa dire. T-tu sei una ragazza, no?» domandai in tono titubante.
«Non direi...» mi disse Sam con fare abbastanza nervoso, e io provai ad accontentare la sua richiesta.
Non capivo il perché, avevo bisogno di qualche dettaglio in più, ma non ero come mia madre, a differenza sua io sapevo che esistevano persone che non si riconoscevano nel genere in cui nascevano. Lei, la prima volta che ne sentì parlare, pensò che fosse uno scherzo.
«Come può una persona sentirsi maschio se nasce nel corpo di una femmina?» si chiedeva.
Quella era la domanda a cui non riusciva a trovare risposta, e il mio dirle che era normale, che non tutti si sentivano a proprio agio nel loro corpo, non la convinsero. Ma io non ero mia madre, non capivo come si sentisse Sam ma provai a fare come mi chiese.
«D'accordo, se vuoi che smetta di usare il femminile con te, allora lo farò. Ma tutti gli altri? Non mi sembra che ti dia fastidio quando lo fanno loro.» commentai lentamente provando a capire cosa aveva in mente.
«Quando lo fanno loro provo a non farci caso, ma con te è diverso.» ribatté chiudendo l'armadietto e voltandosi verso di me.
Il suo sguardo sembrava più calmo, più tranquillo, ma io odiavo quella frase. Odiavo sentirmi dire che con me era diverso senza saperne il significato. Non era la prima volta che mi veniva detto, e spesso non era una cosa buona.
«Puoi spiegarti meglio?» chiesi con fare leggermente nervoso.
«Proverò a spiegarti tutto più tardi, adesso ti va se usciamo da qui e andiamo a mangiare qualcosa?» ribatté Sam con un sorriso quasi forzato.
Io sarei voluta restare lì, avrei voluto parlarne in quel momento piuttosto che mangiare, volevo capire cosa avesse ma accettai la sua proposta. Mi cambiai anche io, mi tolsi la maglia della ludoteca e dopo averla piegata gliela porsi. Sam voleva che la tenessi io, ma non mi sembrava il caso, quindi fui più insistente e alla fine la mise nel suo armadietto. Poco dopo uscimmo dallo spogliatoio, poi dalla ludoteca, Sam chiuse tutto e insieme ci dirigemmo verso la sua auto. Da lì fino al parco in cui andammo il pomeriggio prima, restammo in silenzio. Il suo sguardo sembrava ancora nervoso, come se cercasse una via d'uscita, ma io odiavo vederlo in quello stato, odiavo sentire la pesantezza del mio respiro anche con lui. Sam non mi disse dove stavamo andando, ma quando arrivammo ad un lato del parco, lui parcheggiò e mi disse di scendere. Io continuavo a non capire ma lo seguii fuori, poi subito dopo verso un camioncino che vendeva panini caldi da farcire con ciò che si voleva. Lui prese solo una porzione piccola di patatine fritte, disse di avere lo stomaco chiuso, e quindi fui solo io a prendere il panino, insieme a due bevande fresche. Anche in quel caso non mi lasciò il tempo di prendere i soldi per pagare, si mise subito davanti già con i soldi pronti in mano.
«La prossima volta che ti azzardi a pagare quando siamo insieme mi metto a fare una scenata.» dissi in tono minaccioso e piuttosto ironico provando a smorzare un po' la tensione che entrambi provavamo.
Eravamo all'interno del parco, diretti verso le gradinate del campo da basket.
«Se ci sarà una prossima volta...» commentò lui con lo sguardo basso.
«Cosa vuoi dire?» gli chiesi sentendo un assurdo nodo alla gola stringersi all'improvviso, e un vuoto allo stomaco che fece passare la fame anche a me.
Mi fermai subito, non mi accorsi nemmeno che eravamo quasi arrivati a quelle gradinate, mancavano pochi metri, ma mi fermai per guardarlo meglio in faccia, per capire cosa avesse in mente. In quel momento il pensiero di non poterlo più vedere mi faceva stare male.
«Possiamo sederci?» mi chiese facendomi segno alle mie spalle.
Io ingoiai di nuovo qualsiasi cosa tentasse di uscire dalla mia bocca e mi avvicinai a quelle gradinate insieme a lui, ci sedemmo subito sul terzo gradino in basso, quella sera il parco sembrava deserto e si stava piuttosto bene. Sam non mi degnava di uno sguardo, giocava con la forchettina verde che gli diede l'uomo per mangiare le patatine, ma più che mangiarle le spostava da una parte all'altra della vaschetta di plastica.
«Sam.» lo chiamai io poggiando la bottiglietta di coca cola accanto a me e portando la mano libera su una sua spalla.
Lui si voltò lentamente verso di me, il suo sguardo era ancora incerto, i suoi occhi erano più lucidi e io non sapevo cosa fare per farlo stare meglio.
«Mi spieghi cosa succede?» chiesi cercando di tenere un tono calmo.
«Non so da che parte cominciare.» rispose lui con un piccolo sorriso triste.
«Puoi partire spiegandomi perché vuoi che non usi il femminile quando parlo di te.» dissi provando a rendergli le cose più facili.
«Perché non mi sento una ragazza.» ribatté con un tono tremante.
«Ti senti un ragazzo?» chiesi io ingenuamente.
«No, nemmeno. Non mi sento né un ragazzo né una ragazza, ma non mi dispiace quando un estraneo si rivolge a me al maschile. Il femminile è più specifico, il maschile puoi usarlo anche quando parli di un gruppo pieno di ragazze con un solo ragazzo in mezzo.» mi spiegò Sam con fare un pochettino più sciolto.
«E allora vuoi che usi il maschile anche io?» continuai cercando una conferma.
«Non esistono pronomi neutri, a parte "loro", ma non mi piace molto. Quindi direi di sì, lo preferisco.» rispose lui con un sorriso più convinto.
«D'accordo. Ma puoi spiegarmi perché con me sarebbe diverso? Perché vuoi che mi comporti diversamente da come fanno gli altri?» gli chiesi con fare più calmo.
«Perché mi importa più del tuo giudizio che di quello degli altri.» rispose lui con un accenno di imbarazzo nello sguardo, lo vidi abbassarsi per un istante dai miei occhi, era carino. «Cioè, insomma... Tu mi piaci.» aggiunse con le guance decisamente più rosse.
Era in imbarazzo, era evidente, ma il suo modo di fare era tanto dolce. Arrossii anche io, non avevo mai baciato nessuno, avevo preso svariate cotte ma nessuno aveva mai confessato di provare qualcosa per me e, nel caso, io non avevo mai dato la possibilità a nessuno di dirmelo.
«Sei molto dolce...» dissi col viso piuttosto rosso, in quel momento facevamo a gara a chi era più in imbarazzo. «Per questo ti senti così, ehm, nervoso?» chiesi io provando ad assecondare il suo volere, anche se era dura cambiare pronomi con cui mi rivolgevo a Sam o con cui lo pensavo semplicemente.
«Beh... Non voglio che le cose tra di noi cambino, mi piace come stanno andando.» mi spiegò con decisamente più imbarazzo.
«E dovrebbero cambiare solo perché tu non ti senti né maschio né femmina?» gli chiesi con un sorriso più convinto.
«Non è poco, combatto da anni contro questo pensiero, ma quando mi guardo allo specchio non mi riconosco. Mi sento come se ci fosse un corpo estraneo al posto del mio riflesso.» mi spiegò in tono lievemente nervoso. «Succede spesso che qualcuno mi vede e si chiede se sono maschio o femmina, altri vedono i miei capelli corti, l'abbigliamento maschile e mi chiamano appunto al maschile, ma non sento miei nessuno dei due generi.» mi spiegò col viso che tornò lentamente al suo colorito naturale.
«Beh con me puoi stare tranquillo, mi impegnerò al massimo per non farti sentire a disagio.» dissi sfiorando piano una sua guancia. «Quindi dovrò chiamarti al maschile anche davanti ad altri?» gli chiesi sentendomi particolarmente stupida.
Era ovvio che la risposta fosse positiva, ma chi lo vedeva come una ragazza dai capelli corti avrebbe potuto trovarlo strano e non volevo metterlo in difficoltà.
«Tu puoi chiamarmi come vuoi, anche davanti ad altri, non mi importa molto del giudizio delle altre persone. Quando mi presento a qualcuno lo faccio semplicemente col nome di Sam, proprio perché Samantha non mi appartiene.» mi spiegò riportando lo sguardo sul mio viso.
«Potevi dirmelo subito, avrei evitato di parlarti al femminile.» ribattei subito dopo pensando di aver magari fatto dei danni il giorno prima.
«Non volevo metterti addosso inutili pressioni, tra l'altro non era importante parlare di me.» continuò Sam lentamente, e io abbassai la mia mano dal suo viso.
«A me sembra importante invece, tra l'altro con me non ti sei presentato al maschile.» gli ricordai.
«Non l'ho fatto proprio perché sono abituato ad assecondare ciò che c'è scritto sulla mia carta d'identità, spesso mi sono presentato semplicemente come Sam e c'era sempre qualcuno che mi chiedeva "beh si, ma sei maschio o femmina?".» disse con fare lievemente innervosito.
«In effetti a volte anche tu parli di te al femminile.» commentai ripensando alla sera prima.
«Mio padre mi ha praticamente costretto a farlo, ora è una cosa psicologica, ma con te vorrei evitarlo. Vorrei riuscire a sentirmi davvero me stesso.» continuò abbozzando un sorriso.
«D'accordo, vediamo se riesco ad aiutarti. Cosa ti faceva tuo padre?» domandai io cercando di farlo sfogare il più possibile, sembrava avere molte cose da buttare fuori.
Sam però sembrò chiudersi ancora di più, quel discorso circondò entrambi di una certa tensione. Lui abbassò lo sguardo, i suoi occhi tornarono a inumidirsi e io capii di aver toccato un tasto dolente.
«Sam, ti picchiava?» chiesi sentendo la rabbia ribollire subito dentro di me.
«Diceva che dovevo vestirmi in un certo modo, che dovevo far crescere i miei capelli e smetterla di fargli fare brutte figure con i parenti.» rispose lui facendomi capire che la risposta alla mia domanda era positiva.
«Io lo faccio fuori.» commentai tirandomi su, ma Sam mi prese subito la mano e mi fermò prima che potessi scendere anche di un solo gradino.
«Grazie per l'intenzione, ma non sai nemmeno chi è né dove abita, sinceramente non so nemmeno io se abita nella stessa casa in cui sono cresciuto. Non lo sento da quasi 8 anni.» ribatté Sam tirando piano il mio braccio e facendomi segno di tornare a sedermi al mio posto.
«Dammi l'indirizzo della tua vecchia casa, allora, vediamo se c'è una persona che ti conosce.» continuai voltandomi indietro.
«Rilassati, non fa nulla, ormai è passato.» commentò lui debolmente.
Era passato, si, ma Sam ne portava ancora i segni. Erano segni invisibili, ma non per questo meno dolorosi. Dopo alcuni secondi mi decisi, lo assecondai e tornai a sedermi al mio posto. Poggiai il panino ancora incartato sulle mie gambe e portai un braccio attorno alle spalle di Sam.
«E tua madre dov'era?» gli chiesi all'improvviso ricordandomi della foto che lui aveva sul suo comodino. «Mentre tuo padre faceva lo stronzo, lei perché non lo ha fermato?»
«Ci ha provato, fin quando ha potuto, ma anche lei aveva i suoi problemi. È morta quando avevo 10 anni.» mi spiegò Sam, e in un attimo mi sentii una completa stupida.
Toccai tutti i punti che non dovevo toccare, tutti quelli che gli avrebbero fatto più male, e mi sentii subito in colpa.
«Mi dispiace, Sam, non avrei dovuto chiederti nulla.» dissi togliendo lentamente il braccio dalle sue spalle.
«No, tranquilla, non hai fatto nulla di sbagliato.» replicò lui prendendo quella mia mano e stringendola nella sua.
«D'accordo...» commentai io con fare titubante allungandomi verso il suo viso e stampandogli un bacio su una guancia. «Mangia qualcosa però, facciamo a metà.» gli dissi porgendogli quel panino.
«No, tranquilla, mi basta questa porzione di patatine.» replicò facendomi segno con lo sguardo verso quella vaschetta che teneva poggiata sulle gambe.
«Sam.» continuai io in tono quasi di rimprovero. «Hai fatto su e giù un sacco di volte, ti sei stancato abbastanza, non ci credo che una piccola porzione di patatine ti basti.» commentai sfidando il suo sguardo deciso.
Alla fine, dopo pochi istanti, il suo naso sentì l'odore del panino e il suo stomaco si fece sentire subito dopo. Nel silenzio di quel parco, in cui si sentivano solo le auto che sfrecciavano lì fuori manco fosse una pista di Formula 1, il suo stomaco si sentì bene.
«Va bene, magari un po' di fame ce l'ho.» disse con il viso leggermente rosso.
«Andiamo, ti concedo il primo morso.» commentai io porgendogli il panino.
Sam lo prese, lo scartò da un lato e gli diede un morso. Restammo in silenzio a mangiare, a passarci il panino e a prendere una dopo l'altra tutte le patatine che erano in quella vaschetta. Dividemmo tutto tranne le bevande, che erano una a testa. Il panino lo finimmo prima delle patatine, ma alla fine restammo appunto con una singola patatina nella vaschetta. Dopo un breve tira e molla decidemmo di fare a metà, Sam inforchettò la patatina su un lato e me la porse. Io mi allungai per prenderla ma lui mi tirò verso di sé e fece incontrare le nostre labbra. Fu un piccolo bacio, piuttosto dolce, e altrettanto breve.
«Io mi accontento di un bacio, l'ultima patatina prendila tu.» sussurrò non appena si staccò dalle mie labbra con un sorriso provocatorio.
Io ricambiai quel sorriso, sfiorai le sue labbra con il pollice e rimasi per qualche secondo in più ad ammirare i suoi occhi scuri. Mi risultava difficile pensare e parlare di Sam al maschile, a causa di come si presentò a me, ma gli occhi erano i suoi, quelle labbra, quel viso, era sempre Sam. Non lo conoscevo da molto, era vero, ma sentivo di potermi fidare. Era dolce, gentile, buono, non aveva l'aria di una persona che mi avrebbe potuto fare del male. E in quel momento mi sembrava solo un cucciolo spaventato. Lentamente mi avvicinai di nuovo al suo viso, feci incontrare di nuovo le nostre labbra ma restammo avvinghiati per qualche istante in più, qualche minuto. Accarezzai piano i lati del suo collo, mentre le nostre labbra si assaporavano piano.
«Mi piacciono le tue labbra.» sussurrai staccandomi solo dalla sua bocca, senza allontanarmi troppo dal suo viso.
«A me piacciono le tue.» ribatté Sam col mio stesso tono.
Subito dopo mi stampò un ultimo bacio sulle labbra, mi sorrise e mi porse quell'ultima patatina che era rimasta nella vaschetta. Restammo in quel parco per oltre un'ora, mangiammo con calma, ci godemmo quella pace fin quando durò e chiacchierammo ancora un po' di quell'argomento, Sam sembrava avere altrettante cose da buttare fuori e io rimasi pazientemente ad ascoltarlo. Era dolce il suo modo di fare, il suo sguardo, i suoi occhi lucidi mentre parlava di sua madre.
«Sono sempre stato così, mi sono sempre sentito sbagliato, fin da piccolo. Mi guardavo allo specchio e non mi piacevo, i miei capelli lunghi, gli abiti femminili, le scarpette colorate, tutto ciò che vedevo non mi piaceva.» mi spiegò col tono che gli tremava quasi. «Un giorno mia madre mi vide piangere davanti allo specchio, avevo 8 anni. Mi chiese cosa avessi e io provai a spiegarle che ciò che vedevo non mi piaceva, fu il discorso più puro e sincero che ebbi con una persona. Lei non capì il mio dolore, ma provò ad aiutarmi.» continuò con un sorriso triste.
Io avrei voluto saperne di più, sarei voluta rimanere lì con lui a parlarne per tutta la notte, ma mia madre mi chiamò al cellulare. Non fu la prima chiamata che ricevetti quella sera, fu la terza, tutte sue, ma le due precedenti non le sentii. Quando ero con Sam perdevo la cognizione del tempo, non sapevo mai quando sarei tornata a casa, ma non mi importava saperlo, e quando succedeva ero sempre triste. Non mi piaceva dividermi da lui, ma in quel caso dovevo farlo. Mi tirai su velocemente, mi allontanai di poco da Sam, stando sempre su quel terzo gradino, e subito risposi alla telefonata, mia madre era ovviamente già scazzata.
«Manu, si può sapere dove diavolo sei?» mi chiese non appena risposi.
«Sono in giro con Sara, te l'ho detto.» risposi cercando di tenere un tono basso e sperando che mia madre facesse altrettanto, non mi andava che Sam ci sentisse.
«E perché non hai risposto alle mie chiamate?» continuò in tono ancora più nervoso.
«Non l'ho sentito squillare, va bene? Puoi calmarti un pochino?» le chiesi con fare seccato, in fondo non era così tardi.
«Senti, signorina, torna a casa subito, così vedi come mi calmo.» replicò lei velocemente.
«Si si, va bene, ciao.» dissi senza aspettare una sua risposta e chiudendo poco dopo la telefonata.
Presi un respiro profondo, chiusi gli occhi per un istante e provai a rilassarmi. Non capivo perché dovesse prendersela tanto, lei e mio padre si lamentavano spesso del fatto che non uscivo abbastanza, e quando lo facevano volevano che tornassi a casa. Erano dannatamente incoerenti.
«Devi andare via?» mi chiese Sam alle mie spalle.
«Si, era mia madre...» dissi voltandomi indietro e trovandolo lì a meno di un metro di distanza.
«Era incazzata?» mi chiese con uno sguardo dispiaciuto.
«Non è importante.» risposi io facendogli un piccolo sorriso.
«Si invece, se ti dirà qualcosa tu dille che è colpa mia.» si propose lui dolcemente.
«Non sa nemmeno chi sei.» gli ricordai velocemente.
«Presentamela.» continuò lui seriamente.
«Non credo sia il caso.» ribattei io con quel sorriso più incerto.
Non volevo nascondere lui da nessuno, ma mia madre non era il tipo di persona che avrei potuto presentare a Sam. Tra l'altro dovevamo ancora conoscerci bene io e lui prima di mettere in mezzo persone "importanti".
«Ehm... Si, giusto, scusami.» disse lui piuttosto imbarazzato.
«Tranquillo... Mi accompagneresti a casa?» gli chiesi lentamente.
«Certo!» commentò lui con un sorriso appena accennato.
Subito scendemmo da quei pochi gradini, buttammo le carte e le bottiglie in alcuni cestini lì vicino e con uno strano silenzio ci avviammo verso l'auto. Le strade a quell'ora non erano particolarmente affollate, c'erano solo poche persone a piedi. Arrivammo sotto casa mia piuttosto in fretta, ci mettemmo meno di 10 minuti, in quel caso Sam non voleva farmi fare ulteriormente tardi.
«Ok, siamo arrivati. Scusami per la pessima giornata, magari ti aspettavi qualcosa di meglio.» commentò lui non appena si fermò sotto casa mia.
«Non è stata male come giornata, tra l'altro credo che il tuo lavoro sia piuttosto divertente, dopo il primo salto non riuscivo più a smettere.» ribattei con fare ironico provando a farlo rilassare.
«Si, quella piscina è piuttosto bella.» concordò lui che sembrava ancora un po' rigido.
«Già, e il resto della serata non mi è dispiaciuto, mi ha permesso di conoscerti meglio.» continuai facendogli un piccolo sorriso.
«Sicura di non pensare che sia una cosa stupida?» mi chiese lui piuttosto nervoso.
«Quale parte?» ribattei senza capire.
«Il mio non vedermi in nessun genere.» rispose lui abbassando per un istante lo sguardo dai miei occhi.
«Non penso affatto che sia stupido, sei tu, e come te ce ne sono tanti altri. Anche se per quanto mi riguarda, tu mi interessi molto di più.» gli spiegai allungando una mia mano sul lato sinistro del suo viso.
«Grazie.» sussurrò cercando di tenere su quel suo sguardo imbarazzato.
«Non devi ringraziarmi, piuttosto devi dirmi cosa facciamo domani.» replicai accarezzandogli piano una guancia.
«Cosa? Vuoi ancora continuare a vedermi?» mi chiese decisamente sorpreso.
«Certo, perché non dovrei volerlo?» ribattei con un sorriso.
«N-non lo so, ma ho avuto paura che cambiassi idea.» commentò con uno sguardo particolarmente dolce e imbarazzato.
«Con ciò che ti dirò ora andrò contro ogni cosa che ho sempre pensato, e cioè di stare alla larga dai miei sentimenti, ma tu mi piaci Sam. Mi piacevi già quando eravamo su quel ponte, so che ci siamo conosciuti ieri ma mi piace passare del tempo con te.» confessai cercando di calmare il suo nervosismo, e in parte ci riuscii.
Sam mi sorrise, si bagnò leggermente le labbra, tolse la mia mano dal suo viso e la strinse nelle sue.
«Anche a me piace passare del tempo con te.» disse con quel meraviglioso sorriso.
«Quindi dove andiamo domani?» gli chiesi guardandolo diritto nei suoi occhi scuri.
«Non lo so, ci penserò domani mattina, anche se domani pomeriggio ho ugualmente il lavoro. Ma se ti va puoi venire con me, credo che a Rita non dispiaccia.» rispose lui con calma.
Io non sapevo se fosse vero, conoscevo quella donna da troppo poco, le parlai solo per pochi minuti, ma non sembrava cattiva. Sam si fidava e provai a farlo anche io. Gli dissi che mi andava bene, che mi sarebbe piaciuto tornare in quel posto, ma non sapevo se sarei riuscita ad uscire con lui. Mia madre sembrava davvero incazzata quando mi parlò al telefono, mi aspettava su in casa in chissà quale stato, e di sicuro ne avrei sentite tante quella sera.

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