Capitolo 4 - Il mio regno.

82 6 2
                                    

Sam mi tolse una ciocca di capelli dal viso con la sua mano destra, aveva un tocco particolarmente delicato. Mi sorrideva, aveva uno sguardo fermo e particolarmente intenso. Non sapevo dove volesse andare a parare ma quei baci erano troppo. In un secondo i sensi di colpa si impossessarono della mia mente, il pensiero di aver sbagliato, di essermi spinta troppo oltre, si fece sentire e io mi staccai subito da lei.
«I-io devo andare.» commentai velocemente.
«D'accordo, ma stai bene?» mi chiese con uno sguardo preoccupato.
«S-si, tranquilla, sono solo un po' stanca.» le dissi in tono piuttosto imbarazzato.
«Va bene, allora vai a riposarti, ci vediamo domani.» continuò lei con un piccolo sorriso.
Subito dopo mi stampò un bacio su una guancia e dopo aver fatto un passo indietro mi salutò.
«A domani, principessa.» disse con un sorriso dolce, ma il suo tono era provocatorio.
Io ricambiai il suo sorriso, la salutai e lentamente mi allontanai da lei. Mi fermai davanti al portone chiuso e dopo averlo aperto mi voltai indietro, verso il cancello, Sam era ancora lì. Non appena incrociai il suo sguardo, lei mi sorrise, tirò su la mano destra e mi salutò. Io feci lo stesso subito dopo, un po' imbarazzata, e dopo averla salutata mi voltai ed entrai nel mio palazzo. Non appena chiusi il portone, mi poggiai con le spalle contro di esso e sentii il cuore battere velocissimo. Il respiro si fece affannato, iniziai a respirare a fatica e lentamente mi avvicinai alle scale. Mi sedetti lentamente sul penultimo scalino, mi portai una mano al centro del petto e provai a sgomberare la mente da qualsiasi pensiero, anche da Sam, in quel momento era lei la causa di quel mio quasi attacco di panico. Mi venivano spesso, erano frequenti, ogni volta che non mi sentivo a mio agio in una determinata situazione, e purtroppo succedeva spesso. Se però ero in mezzo a tante altre persone, provavo a far finta di nulla. In quei momenti risultavo fredda, distaccata, per alcuni ero anche una che si credeva chissà chi proprio perché restavo in un angolo, ma lo facevo solo per controllare il mio attacco di panico. Venivo spesso spinta da amici e parenti a fare cose che non mi mettevano a mio agio, e purtroppo erano anche cose semplici come le feste coi parenti, dei concerti anche di cantanti che mi piacevano, o delle uscite in centro. In tutte quelle cose però c'era un punto in comune, la folla di gente. Per me il numero ideale era 2, io inclusa, 3 persone erano già troppe. Per quel motivo avevo solo una migliore amica, nonostante io e lei avessimo in comune almeno altre 5 amiche, ma spesso era solo lei ad uscirci insieme, io evitavo qualsiasi uscita. Conoscevo il mio problema, conoscevo il termine, mi psicanalizzavo da sola anche se sapevo che non era una buona idea. Il termine in questione era "agorafobia". Era una parola strana, quasi buffa, ma come tutte le fobie non c'era nulla di divertente. Generalmente significava aver paura di non poter fuggire da una determinata situazione, non solo di pericolo ma anche di imbarazzo. Il suo significato però era molto più vasto e complesso, inizialmente credevo che significasse semplicemente aver paura degli spazi aperti, ma c'era molto di più. Di solito evitavo appunto di uscire di casa, negli ultimi 2 anni uscii molto poco, e solo con la mia migliore amica o costretta dai miei genitori a causa di feste e quant'altro. Quella mia fobia mi fece perdere un sacco di occasioni, un sacco di amicizie che sarebbero potute durare o meno, avevo 22 anni ma l'esperienza era quella di una bambina di 10 anni. Non baciai mai nessuno, se non Sam quella notte, mi presi svariate cotte per persone diverse ma non mi feci mai avanti, non mi allontanai mai troppo da casa, dalla mia camera soprattutto, anche se volevo vedere il mondo. La fotografia era ciò che mi faceva stare bene, ma anche uscire di casa e fotografare tutto ciò che vedevo mi metteva ansia, il problema principale era che pensavo troppo alle altre persone, pensavo troppo ai loro sguardi che magari nemmeno avrebbero tenuto su di me. Se fossi riuscita a fregarmene degli altri sarei riuscita a vivere meglio, il problema era proprio riuscire in quell'impresa. Lentamente ripresi a respirare normalmente, passarono almeno una decina di minuti ma alla fine mi tirai su ed entrai in casa facendo attenzione a chiudere piano la porta. Non era molto tardi, erano appena le 22:30, e mia madre era ancora sveglia.
«Manu, dove sei stata?» mi chiese lei passando dalla mia camera.
«Ero fuori con Laura.» dissi provando ad essere convincente.
In quel caso il mio cuore tornò a farsi sentire, odiavo dover inventare scuse, odiavo dover mentire, ma odiavo farlo proprio perché avevo paura che prima o poi la verità sarebbe uscita fuori. Non sapevo se lei mi credette o meno, conosceva i genitori di Laura ma non si frequentavano, non aveva motivo di non credermi. Infatti dopo un semplice "va bene" andò nella sua camera. Io chiusi la porta non appena lei uscì, mi cambiai velocemente e mi misi a letto, e fu proprio in quel momento che mi accorsi di avere un paio di messaggi. Uno era di Sam, l'altro era di Laura.
«Ehi, Manu, domani sera ti va di venire con me e le ragazze a fare un giro fuori città?» mi chiese quest'ultima.
La risposta mi sembrava anche scontata, io non avevo alcuna voglia di uscire con tutto il gruppo, mi sentivo sempre di troppo e non riuscivo mai a conversare con qualcuno che non fosse Laura. Non sapevo cosa dirle, mi sentivo in colpa per aver evitato le ultime 4 uscite nell'ultimo mese, ma nonostante tutto continuava a propormi di andare con lei. Non capivo perché ci tenesse tanto, aveva altre amiche con cui si divertiva allo stesso modo, se non di più, io non ero nulla di speciale.
«Non lo so, Laura, avrei un impegno.» le dissi digitando velocemente quelle parole.
«Un impegno? Di che tipo?» mi chiese lei subito dopo, probabilmente non mi credeva.
«Non ne sono sicura, ma non credo di farcela.» risposi io piuttosto incerta.
«Dai, Manu, sii sincera. Non vuoi venire?» continuò Laura.
«Sai che non mi sento a mio agio con tutte le ragazze, finirò per essere di nuovo quella che non parla con nessuno, quella che sta in disparte o che "se non sta al centro dell'attenzione mette il muso".» scrissi velocemente ma non lo inviai.
Io tenevo spesso le mie cose per me, non volevo pesare troppo sulle altre persone a causa dei miei problemi, a prescindere da quanto fossero seri, anche se questo mi portava ad essere l'asociale della situazione. Laura mi diceva sempre tutto, quando aveva un problema si sfogava con me, ma io non riuscivo a fare lo stesso.
«Non mi va molto di uscire con le altre ragazze.» dissi dopo un attimo di indecisione.
«Perché? È successo qualcosa?» mi chiese.
«Non è successo niente, solo che non mi sento a mio agio.» dissi provando a non addentrarmi troppo nei dettagli, anche dicendo la verità le sarebbe parsa una scusa.
«D'accordo, va bene, ti va di vederci domani mattina per fare colazione? Solo tu ed io, o hai impegni anche per la mattinata?» propose lei.
«No, domani mattina dovrei esserci.» le dissi, e subito ci mettemmo d'accordo per il mattino seguente.
Non avevo molta voglia nemmeno di quella colazione, sapevo che in quel caso avrebbe continuato a chiedermi perché non volessi uscire e non potevo spiegarle qual era il mio problema. Ogni volta che provai a farlo con qualcuno, ogni volta che provai ad essere sincera e a parlare di quella mia fobia, mi sentii dire che ero pigra, che ero io a non voler fare determinate cose e quindi alla fine evitai di parlarne. Inventai scuse su scuse piuttosto che esporre la verità, anche se magari prima o poi qualcuno che mi capiva avrei potuto trovarlo, ma era difficile. Chissà perché i problemi degli altri erano sempre seri, i miei erano stupidi. Poco dopo lasciai perdere quei pensieri e mi concentrai sul messaggio che mi scrisse Sam poco prima che entrassi nella mia stanza.
«Non vedo l'ora di portarti nel mio regno, domani, credo che ti divertirai.» mi disse.
«A meno che tu non lavori in un negozio di caramelle, la vedo dura.» ribattei io.
«Se lavorassi in un negozio di caramelle avrei il diabete, tanti debiti, e probabilmente sarei con un piede nella fossa da almeno due anni.» replicò lei subito dopo.
D'istinto sorrisi, mi immaginai il tono con cui avrebbe detto una cosa simile e non riuscii a non sorridere.
«Meglio per te che non sia così, allora. Vuoi anticiparmi qualcosa? Non so cosa aspettarmi.» commentai tornando velocemente seria.
«Sei preoccupata?» mi chiese.
«No, cioè non molto. Non mi piacciono le sorprese, mi viene l'ansia se non so come affrontare una situazione.» le spiegai poco dopo.
In quel momento mi sentii strana, sentii l'ansia scivolare giù per la mia gola e far partire di nuovo il mio cuore, ma piuttosto che inventare una scusa come facevo sempre, le dissi la verità. Con lei mi sentivo diversa, con lei mi sentivo come se potessi essere davvero me stessa.
«Facciamo così, ora non pensare a nulla, il posto in cui andremo non è niente di spaventoso. Ma se in qualsiasi momento dovessi sentirti a disagio, e fosse troppo insopportabile, tu dimmelo e io ti porterò via. D'accordo?» propose lei facendomi sentire la sua vicinanza nonostante l'evidente distanza.
Continuavo a non capire perché lei fosse tanto disponibile nei miei confronti, non capivo cosa la spingesse a trattarmi in quel modo, nemmeno ci conoscevamo. Ci pensai un po', non volevo che lei si preoccupasse troppo per me, non volevo nemmeno che io pesassi troppo durante il suo lavoro, ma alla fine accettai e sperai con tutto il cuore che non mi venisse nulla. Il mattino seguente mi svegliai presto, erano le 08:00, circa, i miei genitori erano già al lavoro e in casa c'erano solo i miei fratelli che dormivano. Non svegliai nessuno di loro però, non dissi a nessuno che sarei uscita, e dopo essermi preparata andai ad incontrare Laura ad un bar dove ci fermavamo spesso. Non appena arrivai, lei mi disse che le mancava poco e così decisi di ordinare un cappuccino e un cornetto alla crema per lei, e uno al cioccolato per me. Mi sedetti ad un tavolino esterno, l'aria era leggera, non faceva né freddo né caldo, si stava bene. Laura arrivò pochi istanti dopo che la cameriera portò l'ordine, fu piuttosto fortunata.
«Ehi, sei puntuale, sono appena arrivati il cappuccino e il cornetto.» le dissi non appena si sedette di fronte a me.
«Meglio, così non li prendo freddi.» commentò lei con un ampio sorriso. «Allora, vuoi dirmi cos'hai da fare domani sera?» aggiunse subito dopo, non perdeva tempo, insomma.
«Mi hai chiesto di vederci solo per questo? Vuoi ancora provare a convincermi ad uscire con le ragazze?» le chiesi con fare leggermente nervoso, mentre entrambe iniziammo a consumare la nostra colazione.
«Non usciresti solo con loro, ci sarei anche io.» rispose lei facendomi capire che in un certo senso pensò di farlo. «Ma non volevo vederti solo per questo, in fondo usciamo poco insieme, se escludi le sere in cui tu vieni al locale mentre lavoro, si può dire che non ci vediamo mai.»
«Beh tu sei tanto impegnata.» commentai io addentando il mio cornetto.
«E tu non vuoi mai uscire.» ribatté lei guardandomi con uno sguardo severo.
«Adesso sono fuori, no?» le chiesi con un sorriso sarcastico.
«Si, e quanto durerà?» replicò Laura subito dopo.
«In che senso?» domandai io lievemente confusa.
«Non hai mai passato troppo tempo fuori casa, al massimo un paio d'ore, poi dicevi di dover tornare a casa. Stavolta quanto durerà?» mi spiegò lei in tono lento.
«Il tempo della colazione.» risposi io in tono ironico.
«Dai, Manu, sii seria. Io voglio provare a farti uscire di casa.» continuò lei con quel tono lento.
«Perché mai? Si sta così bene lì.» commentai io col tono più ironico, quando non mi sentivo a mio agio lo usavo spesso.
«Non è vero, scommetto che stasera non hai alcun impegno.» contestò lei seriamente, ma io mi lasciai scappare un sorriso.
«Cosa vuoi scommetterti?» le chiesi con fare provocatorio.
«Mmm... Non lo so.» disse lei pensandoci un po' su. «Se perdo io, pago la colazione.»
«Allora prendo un altro cornetto.» dissi tirandomi su e avviandomi velocemente verso l'ingresso del bar.
Senza lasciarle il tempo di dire nulla entrai dentro, mi avvicinai al bancone e chiesi un altro cornetto al cioccolato, bisognava approfittarne. Subito dopo tornai al mio tavolo e mangiai tranquillamente quel cornetto davanti allo sguardo confuso di Laura.
«Non hai ancora dimostrato nulla.» ribatté lei.
«Va bene, va bene, dammi un minuto.» le dissi poggiando il cornetto su un piattino e prendendo il cellulare dalla mia tasca.
Lo sbloccai velocemente, entrai nella chat che avevo con Sam e le scrissi un messaggio.
«Dopo il lavoro posso scappare a casa?» le chiesi.
Non sapevo se lei fosse sveglia o meno, era ancora presto e non mi aveva ancora mandato il buongiorno. Dopo aver inviato quel messaggio, poggiai il cellulare sul tavolino e alzai lo sguardo su Laura che continuava a scrutarmi col suo sguardo.
«Allora?» continuò lei ma poco dopo il cellulare vibrò, a quanto pareva Sam era già sveglia.
«Ma ciao, principessa. Chi ti ha buttata giù dal letto?» mi chiese lei in tono evidentemente ironico, non era quello che mi serviva ma stava ancora scrivendo. «Comunque no, assolutamente no, dopo il lavoro tu vieni a cena con me.» mi disse subito dopo facendomi imbarazzare.
In un certo senso si preoccupava per me, si sentiva la sua dolcezza anche in quei semplici messaggi, e io mi sentivo quasi in dovere di nascondere quei messaggi, di tenerli per me perché lei era speciale e io non volevo condividerla con nessuno. Dopo qualche minuto di incertezza, però, voltai lo schermo del telefono verso Laura e le mostrai quell'ultimo messaggio.
«Visto che ho un impegno?» le dissi lasciandola quasi a bocca aperta.
«E chi è Sam?» mi chiese lei piuttosto confusa, mentre io riportai lo schermo verso di me e risposi a quei messaggi.
«Va bene, d'accordo, vediamo quanto reggi... Comunque sono con un'amica a fare colazione.» scrissi a Sam prima di alzare di nuovo lo sguardo su Laura che aspettava una risposta. «Hai presente la ragazza che si è seduta accanto a me al bancone, due sere fa?»
«La ragazza? Io ricordo un ragazzo.» commentò lei con un sorriso imbarazzato.
«Cosa? Sicura che stiamo pensando alla stessa persona?» ribattei io piuttosto confusa.
«Quello vestito in tenuta da basket?» domandò lei cautamente.
«Si, ma è una ragazza.» continuai io senza capire come mai avessimo visto Sam in due modi diversi.
«Sei sicura?» replicò lei con un sorriso confuso.
«Che domanda è questa?» domandai io in tono lievemente nervoso.
«Una domanda come un'altra, a me è sembrato un ragazzo.» mi spiegò lei con una certa calma.
«Solo perché aveva un abbigliamento "maschile" e i capelli corti?» le chiesi innervosendomi solo di più, senza accorgermi che in quel momento mi arrivò un altro messaggio di Sam.
«"Solo" mi sembra una parola grossa, ma se tu mi dici che è una ragazza, allora ti credo.» rispose lei lentamente, ma in un certo senso sbagliammo entrambe.
«Non avrei motivo di mentire, e tra l'altro è comunque lei la persona con cui devo uscire stasera.» le spiegai velocemente.
«È la tua ragazza?» mi chiese Laura in tono provocatorio.
«Cosa? No, affatto, ci vediamo solo.» commentai io in tono imbarazzato abbassando lo sguardo sul mio cellulare.
In quel momento mi accorsi della lucina verde che lampeggiava sulla parte in alto dello schermo, sbloccai di nuovo il cellulare e lessi i messaggi che mi inviò Sam.
«Oh, sei a colazione con un'amica e mi mandi dei messaggi? Che onore.» mi disse. «Le hai detto di approfittare ora della tua attenzione, perché stasera non l'avrà?»
«Si, direi di averglielo detto.» le dissi subito dopo.
«State parlando di me?» mi chiese lei.
Purtroppo dai messaggi non potevo capire il suo tono, quindi non sapevo se fosse provocatoria o se quella cosa le desse fastidio, ma immaginai che fosse provocatoria. Non la conoscevo bene ma lei era spesso sarcastica. In quel momento parlai con lei e mi dimenticai di Laura.
«Ti senti così importante?» chiesi sperando che capisse che ero sarcastica.
«No, non direi, ma credo che la tua amica voglia sapere con chi esci, no?» mi chiese lei con fare che sembrava quasi serio.
«Beh si... Ma lei sa già chi sei, cioè ti ha vista al locale due sere fa.» le spiegai.
«Meglio, così posso evitare di presentarmi.» commentò lei. «E si fida del mio bel faccino?»
«Veramente ti ha scambiata per un maschio...» le dissi piuttosto titubante non sapendo come avrebbe preso quella cosa.
«Manu?» mi chiamò Laura, probabilmente per la centesima volta.
«S-si, cosa c'è?» le chiesi alzando velocemente lo sguardo su di lei.
«Ti ho chiesto se ti fidi di questa ragazza, cioè mi sembra di capire che ti piaccia, altrimenti non ci usciresti insieme.» commentò lei facendomi imbarazzare più del solito.
«È più complicato di così.» le spiegai con un nodo alla gola che iniziò a farsi sentire.
«In che senso? Ti costringe in qualche modo?» mi chiese lei con uno sguardo leggermente preoccupato, e in quel momento mi arrivò anche un messaggio di Sam.
«Oh beh, non è la prima e non sarà l'ultima.» mi disse quest'ultima.
«Ti scambiano spesso per un maschio?» chiesi a Sam bloccando poi lo schermo e tornando a guardare Laura. «Non mi costringe in alcun modo.» le dissi piuttosto calma.
«Allora non capisco.» commentò lei lievemente confusa.
«Non fa niente, non c'è molto da capire.» replicai io, ma mi sbagliavo, c'era tanto, tantissimo da capire.
«Direi di sì, ma non voglio disturbare oltre la vostra colazione, ti lascio tranquilla. Ci vediamo più tardi, principessa.» mi disse Sam, ma quel messaggio mi fece sentire un magone al centro dello stomaco, tutto sommato non mi piaceva salutarla.
Provai a convincerla a restare con me, le dissi che potevo parlare con entrambe, come stavo provando a fare fino a quel momento, ma lei mi disse che aveva ugualmente da fare e che ci saremmo sentite più tardi. Non sapevo se fosse vero o meno ma mi lasciai convincere. Con Laura rimasi insieme per circa un'ora, pagò lei la colazione e dopo un piccolo giro in città tornai a casa. Dario era già sveglio, era in salotto davanti alla tv a fare colazione con una tazza di cereali, Lucia dormiva ancora. Tra tutti i componenti della mia famiglia, l'unico con cui mi trovavo a mio agio era lui. Ci piacevano gli stessi film, le stesse canzoni, gli stessi cibi, sembravo io la sua gemella piuttosto che Lucia. Quest'ultima caratterialmente era piuttosto diversa da lui, vivevano la loro vita in modo diverso, nonostante avessero la stessa età e avessero frequentato gli stessi posti, avevano amicizie differenti. Dario era più tranquillo, Lucia era quella che portava il caos ovunque andava, infatti quando non c'era si sentiva una pace assurda.
«Ehi, dove sei andata?» mi chiese Dario non appena mi sedetti sul divano accanto a lui.
«Ho fatto colazione con Laura.» gli dissi togliendomi le scarpe e allungando le gambe sul tavolino di fronte a noi.
«Davvero?» continuò lui con un tono sospettoso.
«Non mi credi?» domandai io voltandomi verso di lui.
«Beh hai visto Laura anche ieri sera, almeno da quello che hai detto alla mamma, e a te non piace uscire così spesso.» mi spiegò lui con fare piuttosto sicuro.
«Ah si? E tu cosa ne sai?» gli chiesi con un sorriso ironico.
«Ti conosco, Manu, magari non parliamo molto ma quando succede ti ascolto.» commentò lui facendomi sentire un leggero magone. «Quindi, dimmi, con chi sei uscita ieri sera?»
«Non sono affari tuoi.» dissi voltandomi velocemente verso la tv.
«Sei arrossita però, è qualcuno che conosco?» continuò lui insistentemente.
«Non è nessuno.» risposi cercando di tenere il tono fermo, ma quei baci con Sam erano ancora ben piantati nella mia mente.
«Qualcuno che conoscerò a breve?» ipotizzò con fare provocatorio.
«Piantala.» commentai dandogli una leggera spinta.
«Oh andiamo, voglio solo sapere chi è la persona che riesce a farti uscire di casa così spesso.» disse lui in tono divertito.
«Non è nessuno che conosci.» ribattei lentamente e lui alzò le braccia in segno di resa voltandosi di nuovo verso la tv, ma io sentivo di aver voglia di parlare di Sam con qualcuno e Dario sembrava seriamente interessato. «Ci uscirò di nuovo questo pomeriggio, e probabilmente questa sera.»
«Cosa? Davvero?» mi chiese lui piuttosto sorpreso e io annuii lievemente imbarazzata. «Beh, non so chi sia questa persona, ma se fossi in te me la terrei stretta.» disse in tono piuttosto entusiasto.
Il suo tono e il suo modo di fare mi facevano stare bene, riusciva sempre a trovare il modo per risultare interessato ma mai invadente. Quando insisteva lo faceva solo perché appunto gli interessava sapere come stavo, ma lo faceva in tono sarcastico e leggero, per non costringermi a fare né dire nulla se non me la sentivo davvero. I miei genitori erano più duri, negli anni, quando volevano sapere qualcosa, nel loro tono si sentiva sempre l'ordine e il comando, non il vero interesse. Quella mattina la passai quasi tutta con Dario davanti alla tv, lui aveva il lavoro quella sera, lavorava come pizzaiolo in un ristorante poco lontano dal locale in cui lavorava Laura, e di solito il giorno non aveva voglia di fare molto, a parte dopo che gli arrivò un messaggio.
«Dove vai?» gli chiesi non appena si tirò su dal divano.
«Non sei l'unica a cui la fine dell'estate ha portato delle novità.» rispose lui semplicemente con un ampio sorriso.
Non mi disse altro, ma in quel momento il suo sguardo era lo stesso che avevo io dopo aver baciato Sam dal finestrino. La felicità era così, era evidente nello sguardo di una persona, spesso quella felicità era causata dall'amore, l'arma a doppio taglio più letale del mondo. Non sapevo se Dario avesse conosciuto qualcuno, fino a poche settimane prima disse di voler tenersi lontano dall'amore, che portava solo guai. Le sue parole erano giustificate dalla rottura con una ragazza avvenuta 6 mesi prima, ragazza con cui passò circa 2 anni insieme. Non erano moltissimi, e tutto sommato in quei 2 anni non lo vidi mai tanto felice come in quel momento. Magari mi sbagliavo, magari usciva solo con degli amici, ma mi piaceva vederlo tanto felice. Quando lui andò via, io spensi la tv e andai nella mia camera. Rimasi lì tutto il tempo ad ascoltare musica e a guardare vari post sui social. Riguardai anche le foto che feci a Sam in quei giorni, ma mi soffermai sempre sulla stessa, la terza che le scattai la sera che mi salvò da quel ponte. Non sapevo perché ma mi piaceva quel suo lato tenero, quel suo sorriso imbarazzato e il suo modo di fare tanto dolce. Poco dopo pranzo, verso le 14:30, Sam mi mandò un messaggio dicendomi che sarebbe passata a prendermi a breve e io mi mossi subito cambiandomi e facendomi trovare pronta prima del successivo messaggio.
«La carrozza è arrivata, principessa.» mi disse.
Quel "principessa" non mi dava più molto fastidio, perlomeno quando potevo sentirla solo io, ma sapevo che voleva solo scherzare.
«Arrivo.» risposi subito dopo a Sam prendendo la macchina fotografica e uscendo dalla mia stanza, ma non appena arrivai in fondo alle scale incontrai mia madre, a quanto pareva tornò prima dal lavoro.
«Manu, dove stai andando?» mi chiese in tono confuso.
«Vado a fare un giro.» risposi io semplicemente.
«Un giro? Ancora? Ma cos'è successo?» continuò lei con uno strano sorriso.
«Non è successo niente, non mi va semplicemente di restare a casa con quel casino che fa Lucia.» commentai velocemente.
Di solito Lucia ascoltava la musica a tutto volume nella sua camera, ma quel giorno non lo fece. A mia madre non servì entrare in casa per scoprire se mentivo o meno, le bastò guardarmi in faccia.
«Hai conosciuto qualcuno?» mi chiese lei con lo stesso sguardo sospettoso con cui mi guardò Dario quella mattina.
«Non ho conosciuto nessuno, starò semplicemente un po' in giro e stasera uscirò con Laura e le altre ragazze.» le spiegai io in tono lievemente nervoso.
Lei probabilmente non mi credeva, ma mi lasciò ugualmente andare senza fare troppe storie.
«D'accordo, ma non fare tardi.» disse facendosi da parte e lasciandomi uscire da quel portone.
Io lo feci subito, le passai accanto, uscii da lì sperando che non mi seguisse, con un passo svelto mi diressi oltre il cancello e poi nell'auto di Sam che aveva parcheggiato dove la lasciò la sera prima.
«Ehi, principessa, come stai?» mi chiese lei in tono divertito non appena partì e si allontanò da casa mia.
«Se continui a chiamarmi "principessa" potrei vomitarti nell'auto.» risposi io col suo stesso tono.
«Oh, fai pure, tanto è di Fabiola.» commentò lei ridendo. «Non hai risposto alla mia domanda però, come ti senti?»
«Direi bene.» risposi io in tono titubante, non ero sicura di come stavo. «Per ora non sento alcun attacco di panico in arrivo.»
«Bene, spero che duri.» commentò Sam poggiando una mano su una mia coscia.
«Vedremo, tu come stai invece?» domandai alzando il mio sguardo su di lei, notando un gran bel sorriso sul suo viso.
«Io, beh, non saprei. Sono tanto felice all'idea di portarti nel mio regno, ci vado da quando avevo 5 anni.» mi spiegò lei piuttosto entusiasta.
«Cosa? Ma non dicevi che è il posto dove lavori?» le chiesi lievemente confusa.
«Si, infatti quando ho lasciato la scuola ho fatto subito domanda per andare lì, anche se non mi hanno chiamata subito, ma è l'unico posto che mi fa stare bene.» mi spiegò lei con un sorriso strano, sembrava triste.
«E continui a non volermi dire di cosa si tratta.» commentai io lentamente.
«Tranquilla, lo scoprirai presto.» continuò lei abbozzando un sorriso più convinto.
Non percorremmo molti chilometri, solo un paio, ci mettemmo circa 20 minuti per arrivare a destinazione, e quando lo facemmo fui sorpresa di trovarmi davanti una struttura piuttosto ampia, in larghezza almeno, in altezza era alta quanto un palazzo di due piani. La parte frontale era costituita da due ampie finestre ai lati di una porta anch'essa vetrata, all'interno si potevano notare tanti piccoli giochi, tavolini e oggetti vari tutti colorati. L'insegna, che era bella grande e in cima alla facciata dell'edificio, diceva "L'isola che non c'è". Accanto a quella scritta c'erano due stelle, la seconda a destra era più grande e luminosa della prima e non mi ci volle molto per capire a cosa riconduceva quel posto, anche se non ero certa di cosa fosse.
«È una ludoteca per bambini.» mi spiegò Sam capendo il mio sguardo. «Anche se probabilmente mi ci diverto più io che quei piccoli cuccioli d'uomo.» aggiunse in tono sarcastico.
Con calma uscimmo entrambe dall'auto e ci avviammo verso l'entrata del locale, il sole era ancora alto e le luci artificiali lì dentro non erano necessarie, almeno non per la prima parte del locale, quella in cui entrammo in quel momento.
«Sam, ma buongiorno.» disse una voce femminile che uscì velocemente da dietro al bancone.
Quello spazio era diviso in 2 punti, il più ampio sulla sinistra era recintato da una bassa staccionata di plastica colorata di rosso, con un cancello a metà strada, quel primo punto era l'ingresso per i bambini, pieno di piccoli oggetti e vari giochi. Il secondo punto era all'ingresso, ed era diviso a sua volta in due parti: l'entrata semplice, con un tappetino a terra e uno scomparto sulla destra diviso in tanti piccoli rettangoli, in fondo invece c'era il bancone da cui partiva la piccola recinzione rossa. Non me ne accorsi subito ma la donna in questione era la stessa che mi parlò al campo da basket. Non la riconobbi subito perché aveva un paio di occhiali rettangolari sul naso e un berretto sulla testa, tralasciando la maglietta blu con due stelle sul petto e il nome della ludoteca dietro. La donna abbracciò calorosamente Sam, e dopo essersi staccata si voltò verso di me, anche lei mi riconobbe solo in quel momento.
«Oh, ma ciao. Mi sa che io e te non ci siamo ancora presentate.» mi disse con un ampio sorriso. «Io mi chiamo Rita, e tu?» mi chiese.
«Io mi chiamo Manuela.» risposi io con un sorriso più timido.
«Oh, Manuela, che bel nome.» commentò lei con fin troppo entusiasmo. «E come mai sei qui?» continuò lei mettendomi in difficoltà, non sapevo nemmeno io perché fossi lì, per fortuna però c'era Sam con me.
«L'ho portata io.» rispose lei poggiando una mano dietro le mie spalle. «So che dobbiamo lavorare, so che non è un posto in cui possiamo fare ciò che vogliamo, ma speravo potesse stare con me, non ti darà alcun fastidio.» le spiegò Sam e io mi sentii come una bambina piccola.
«Respira, Sam.» le disse Rita che la vide piuttosto agitata. «Non è affatto un problema, ma dovrai indossare la divisa della ludoteca, in modo che i bambini ti ascoltino.»
«Si, tranquilla, le spiego tutto io. Grazie.» commentò Sam in tono piuttosto soddisfatto, mi prese per mano e mi fece muovere dietro di sé.
Lentamente mi portò oltre il bancone, e sulla parete alla destra c'era una porta, la oltrepassammo subito e dopo aver percorso piccoli e brevi corridoi illuminati arrivammo in uno spogliatoio.
«Di solito le persone che lavorano qui decidono come vestirsi.» mi spiegò Sam aprendo un ampio armadio di metallo. «Lo decidono in base ai turni che hanno, cioè se magari lavorano col gruppo di bambini che hanno dai 3 ai 7 anni si vestono più informali, anche con dei costumi. Se invece il turno è con i bambini dagli 8 ai 13 anni allora si sceglie la divisa, che poi sarebbe semplicemente la maglia blu.»
«E tu oggi che turno hai?» le chiesi fermandomi a pochi passi dalle sue spalle.
«Oggi ho il turno con i più grandi, quindi avrò semplicemente il mio pantalone e la maglia del locale.» mi spiegò lei lentamente. «Qui ci sono tutte taglie unisex, una S dovrebbe starti bene.» continuò cercando la taglia tra le varie maglie e porgendomi poi quella giusta.
«Grazie.» commentai io in tono titubante, non ero ancora certa di voler stare lì, ma la mia mente per il momento era tranquilla.
Lentamente mi voltai, le diedi le spalle e mi avvicinai ad una piccola panca vicino a tanti piccoli armadietti impilati gli uni sugli altri al centro della stanza. Mi sedetti lì continuando a darle le spalle, in un certo senso mi vergognavo a cambiarmi davanti a lei, mi immaginai i suoi occhi addosso e l'ansia iniziò a farsi sentire. Mi cambiai subito, velocemente, e non appena fui pronta mi voltai verso di lei. Sam era pronta, anche lei mi dava le spalle, stava controllando dei costumi che erano in quell'armadio.
«Sul serio indossate quei costumi?» le chiesi in tono lievemente sarcastico
«Direi proprio di si, li usiamo più che altro quando c'è una festa di compleanno, di sopra c'è la lavanderia e il ristorante, ma il ristorante lo apriamo appunto solo quando c'è una festa.» mi spiegò lei chiudendo le ante e voltandosi verso di me. «Non ti sta così male.» aggiunse con un piccolo sorriso.
«Grazie.» commentai io piuttosto timidamente, avere il suo sguardo su di me mi imbarazzava.
«Stai bene, si? Se non ti senti a tuo agio posso riaccompagnarti a casa e venirti a disturbare dopo il lavoro.» continuò lei avvicinandosi lentamente a me e poggiandomi poi delicatamente una mano sul viso.
Lei continuava a volere che mi sentissi a mio agio, e io in quel momento lo ero. Ma in quel momento eravamo solo io e lei, non c'era nessuno lì dentro, ma io provai a resistere. Le dissi che stavo bene, che non doveva preoccuparsi e poco dopo uscimmo fuori dallo spogliatoio e tornammo all'ingresso, dove c'era ancora solo Rita.
«Ti va bene se faccio fare un giro a Manu del posto prima che arrivino gli altri?» chiese Sam a Rita che acconsentì subito.
Io non sapevo cosa intendesse, non sapevo quanto fosse grande la struttura, ma seguii Sam, o almeno ci provai.
«Eh no, al di là del cancello bisogna togliersi le scarpe.» mi disse lei fermandomi lì, Sam se le tolse poco prima di avvicinarsi al cancelletto, ma non credevo che fosse obbligatorio. «Fidati, sarai molto più comoda.» aggiunse in tono più serio facendomi segno verso gli scaffali in basso in cui lei mise le sue scarpe.
Io tolsi le mie scarpe e le misi in uno scomparto accanto al suo, e con la benedizione di Rita ci inoltrammo verso quello spazio pieno di giochi. La pavimentazione lì cambiò, non era più fatta da mattonelle in ceramica, ma aveva delle strisce in gomma morbida. La sensazione non era male e in quel posto mi sentivo un gigante.
«Qui ci lasciamo il primo gruppo di bambini di cui ti ho parlato, i più piccoli.» mi spiegò Sam facendomi strada verso un'ampia porta chiusa dal lato opposto all'ingresso. «Oltre questa porta invece c'è il mio regno.» continuò aprendo quella porta ed entrando prima di me.
Non appena entrammo in quella stanza notai subito che era più alta, ma altrettanto colorata. Il percorso era segnato da una striscia lunga e nera che portava alle varie strutture. Sulla destra c'erano una serie di tappeti elastici con una recinzione alta fatta di corde e tubi in gommapiuma, poco oltre i tappeti c'erano altre due strutture poco più grandi. Una era un mini campo da calcio, con i pali della porta gonfiabili, mentre poco più su sempre all'interno di quella struttura c'erano due canestri sopra le porte da calcio. L'altra struttura era grande allo stesso modo, ma aveva uno scivolo alto e ampio gonfiabile da cui si poteva salire da dei gradini morbidi. L'altro lato era quello apparentemente più complesso, e probabilmente per bambini oltre i 10 anni. Lo spazio era occupato da una struttura unica, alta, piena di tubi, corde intricate tra loro e scivoli che finivano tutti al centro dove c'era un'ampia piscina piena di palline colorate. Sulla parte più vicina a noi, sul lato esterno della piscina, c'era una parete alta fatta da corde, mentre sulla parte interna c'era una piazzola in alto da cui ci si poteva tuffare se non si voleva usare lo scivolo.
«Cavolo, questo posto è enorme.» commentai guardando ogni angolo.
«E tu lo vedi solo ora, quando ero piccola mi sembrava ancora più grande.» mi spiegò Sam con un ampio sorriso.
Quel posto era davvero bello, probabilmente se ci fossi andata da piccola mi sarei divertita un mondo, ma anche quel giorno mi divertii abbastanza. Restammo in quella stanza per pochi minuti, facemmo un giro più ravvicinato delle varie strutture, che a parte essere tutte molto colorate avevano anche tanti disegni di dinosauri, animali vari e bambini piuttosto felici. Poi uscimmo da lì, tornammo da Rita e la trovammo che stava parlando con un altro paio di ragazze. Sam le salutò subito, ma quando incrociai i loro sguardi iniziai a sentire un vuoto alla bocca dello stomaco. Loro non si preoccuparono molto sul perché fossi lì, probabilmente Rita spiegò già tutto a entrambe, ma io mi sentivo ugualmente nervosa.
«Tranquilla.» mi sussurrò Sam poggiandomi una mano dietro le spalle non appena le ragazze si avviarono verso lo spogliatoio. «Non siamo mai tutti insieme, spesso ognuno controlla una struttura diversa in modo da tenere d'occhio più bambini possibili. Di là siamo spesso in gruppi da due.» mi spiegò lei lentamente.
In un certo senso ero più tranquilla, l'ansia quel giorno si fece sentire ugualmente ma Sam era un ottimo calmante. Dopo circa mezz'ora arrivarono altre persone, in tutto erano una decina, arrivò anche Federico che sembrò felice di vedermi, anche se ci vedemmo solo una volta. Alcuni di loro andarono subito nella stanza accanto, a controllare che tutto fosse in buona condizione, altri rimasero lì per il turno che avevano con bambini più piccoli, e dopo altri pochi minuti arrivarono i primi bambini. Molti di quelli erano già stati lì altre volte, e sembravano impazienti di liberarsi dei propri genitori per correre nella stanza accanto.
«Ale, le scarpe.» disse Sam a un bambino che si avvicinò velocemente al cancello rosso.
Il bambino aveva circa 10 anni, si fermò non appena Sam lo chiamò, le sorrise imbarazzato e subito tornò indietro per togliersi le scarpe e poggiarle in uno scomparto vuoto. Poi tornò indietro e corse oltre quel piccolo cancello.
«Vai piano.» continuò Sam voltandosi verso di lui.
«Senta, giovanotto...» commentò un uomo verso Sam, l'uomo era quello che accompagnò quel bambino alla ludoteca.
Sentire Sam essere chiamata "giovanotto" mi fece strano, ma lei non ci badò molto, rispose tranquillamente all'uomo e cercò di capire cosa volesse. Io ero al di là della staccionata, Sam era dall'altro lato a parlare con l'uomo, non ascoltai molto ciò che dissero ma Sam sembrava tranquilla. Alla fine l'uomo la ringraziò e uscì fuori.
«A quanti siamo?» chiese Rita in tono sarcastico verso Sam. «Solo in questa settimana mi sembrano 10.»
«Con l'uomo che è appena andato via sono 11.» commentò Sam con un piccolo sorriso.
«Un bel po', dovremmo far capire alle persone che solo perché hai i capelli corti non significa che sei maschio.» continuò Rita, ma solo in quel momento notai un po' di nervosismo sul viso di Sam.
«Già, ma non fa nulla.» rispose quest'ultima lentamente. «Senti, noi ora andiamo di là, non voglio lasciare tutto il lavoro ai ragazzi.» aggiunse inoltrandosi lentamente oltre quel piccolo cancello.
«D'accordo.» rispose Rita e lentamente io e Sam andammo via, verso l'altra stanza.
«Quindi sul serio ci sono tante persone che ti danno del ragazzo?» le chiesi in tono confuso.
«Si, ma non è un problema.» rispose lei facendomi un piccolo sorriso. «Dà più fastidio a chi mi sta intorno piuttosto che a me.»
«L'ho notato, non so come fai a sopportarlo.» commentai non appena entrammo nella stanza più grande.
«Un giorno ti spiegherò i miei segreti per sopravvivere in questo mondo, per adesso tieni gli occhi bene aperti, i bambini lontani dai genitori sono i più pazzi.» commentò Sam in tono piuttosto sarcastico. «Dato che hai la macchina fotografica con te, cosa ne diresti di fare delle foto? Magari quando hai l'ispirazione, non so...» continuò lei lentamente. «Di solito i genitori che lasciano qui i loro figli non hanno molto tempo da dedicargli, però qualche bella foto potrebbe farli sentire meglio, potrebbe farli sentire più vicini anche se non ci sono. Poi ovviamente ti pagheremo.»
«Parli come se la ludoteca fosse tua.» commentai io con un sorriso ironico.
«Beh ovviamente non lo è.» replicò lei ricambiando il mio sorriso.
Mentre ci inoltrammo verso la struttura più grande, quella piena di tubi, reti e la piscina con le palline, Sam mi spiegò che una volta Rita provò a pagare un fotografo proprio per fare ciò che lei mi propose. I genitori la trovarono una bella idea, ma il costo del fotografo era troppo alto, lui chiedeva troppo e i profitti erano bassi, così non se ne fece più nulla.
«Quindi, insomma, se ti interessa l'idea puoi pensarci. Non è male.» continuò lei lentamente.
«Quindi dovrei fotografare dei bambini?» le chiesi leggermente confusa.
«Puoi fotografare tutto quello che attira la tua attenzione, tutto ciò che trovi bello.» rispose lei ingenuamente.
E data la provocazione involontaria, io accesi la macchina fotografica e le scattai una foto.
«Ecco, direi di averne trovata una.» dissi facendole un ampio sorriso e facendola leggermente imbarazzare.
Per le successive 3-4 ore rimasi con Sam e la guardai lavorare, non facevano poi molto, giocavano perlopiù anche loro con i bambini. Nel piccolo campo da calcio c'erano un uomo e una donna che giocavano contro 4 bambini, ma si lasciavano battere facilmente. Ai tappeti elastici c'era Federico che saltava da solo su un tappeto chiedendo ai bambini di saltare in alto quanto lui, quindi gli dava la carica per stancarsi di più, ma nessuno saltava in alto quanto lui. Io e Sam eravamo sulla piattaforma rettangolare in alto che era sulla piscina di palline, lei controllava da lì che i bambini non si scontrassero tra di loro, scendendo dallo scivolo, mentre altri suoi colleghi controllavano i bambini che erano nella costruzione fatta con ampi tubi. Dopo quelle poche ore, uno dopo l'altro andarono via tutti i bambini, l'orario di chiusura arrivò e anche i colleghi di Sam andarono via. In quella stanza restammo solo io e lei, eravamo sedute entrambe a terra, con alle spalle la piscina di palline colorate, e dopo qualche minuto arrivò Rita a chiamarci.
«Ragazze, non andate via?» ci chiese notando che eravamo ancora lì ferme.
«Restiamo qui un altro po', se devi andare vai pure, chiudo io dopo.» rispose Sam con calma.
La reazione di Rita mi fece pensare che non era la prima volta che Sam si tratteneva lì oltre l'orario di lavoro, poiché ci salutò semplicemente e andò via.
«Allora, quante altre ragazze hai portato qui?» le chiesi alzando lo sguardo su di lei.
«Mmm... Direi nessuna, tu sei la prima.» rispose lei incrociando il mio sguardo.
«Che onore, e come mai?» continuai io in tono sarcastico.
«Beh non è un posto romantico, se portassi qui una ragazza penserebbe subito che voglia un figlio da lei e non è propriamente il mio piano.» mi spiegò lei col tono a metà tra il serio e il sarcastico.
«A prescindere dal fatto che non sia nemmeno il mio, ma tu sai che io sono una ragazza, si?» domandai tenendo su quel tono sarcastico.
«Certo che lo so, ma è diverso.» disse lei piuttosto convinta.
«Per quale motivo?» le chiesi senza capire il suo punto di vista.
«Perché sei tu, ti ho detto che voglio insegnarti a vivere, ricordi?» commentò lei con un piccolo sorriso, ma io continuavo a non capire.
«E qui cos'avrei dovuto imparare?» continuai lentamente.
«Che crescere non significa smettere di divertirsi, puoi fare le stesse cose che facevi da piccola se ti fanno stare bene.» mi spiegò lei togliendomi una ciocca di capelli dagli occhi e portandola lentamente dietro il mio orecchio destro.
«In realtà non ricordo nulla di simile nella mia infanzia.» ribattei in tono leggermente imbarazzato, più per quel suo tocco che per ciò che dissi.
«Allora devi provare, vieni con me.» commentò lei tirandosi velocemente su e porgendomi una mano.
Io non ci pensai troppo e subito le presi la mano e mi tirai su, mi fidai fin da subito di lei, fu strano, il nostro rapporto era strano, ma con lei ero più istintiva. Sam mi portò verso il lato sinistro di quella piscina, mi fece salire su un intricato groviglio di corde colorate fino ad arrivare in alto, sulla piazzola quadrata e blu. C'erano due modi per scendere da quella piazzola, c'era lo scivolo sulla sinistra, oppure ci si poteva tuffare dal bordo anteriore.
«Allora, sei pronta?» mi chiese Sam con un piccolo sorriso.
«Direi proprio di no, non ho mai fatto nulla del genere. Credo di non essere andata mai nemmeno in una piscina vera, immagina dover saltare da questa altezza.» risposi io avvicinandomi lentamente al bordo e guardando giù, non era molto in alto, i bambini di 10 anni avevano più coraggio di me.
«Era più alto il ponte su cui stavi per cadere.» mi rammentò Sam in tono sarcastico.
«Avevo anche più alcol in corpo.» ribattei io col suo stesso tono.
«Mi dispiace, principessa, qui non ne abbiamo.» commentò lei sorridendomi. «Dai, mi lancio io per prima così vedi che non c'è nulla di cui aver paura.» aggiunse facendo alcuni passi indietro.
Prese una lunga rincorsa, arrivò fino al lato chiuso dalle corde, e dopo avermi fatto l'occhiolino corse subito in avanti. Fu molto veloce e quando saltò non sembrò spaventarsi nemmeno un po', chissà quante altre volte lo aveva fatto. Il volo non durò molto, sprofondò velocemente sotto quell'immensa piscina di palline colorate. Quando riemerse sorrideva, sembrava piuttosto soddisfatta.
«Adesso tocca a te.» disse alzando lo sguardo verso di me.
Io iniziai a sentire il mio cuore battere forte, non avevo mai sofferto di vertigini, mi affacciavo tranquillamente al balcone di mia nonna che abitava al quarto piano, quello non era nemmeno l'altezza del secondo. Mi allontanai dal bordo di alcuni metri, arrivai al centro di quella piattaforma e cercai di riprendere fiato. Odiavo quell'ansia costante che si impossessava di me quando dovevo fare una cosa nuova oppure dovevo farla da sola, ma in quel caso non ero sola, c'era Sam con me. Lei mi chiamava, sentivo la sua voce provenire dal basso, era costante.
«Manu, stai bene?» mi chiese all'improvviso notando che non le rispondevo.
L'ansia si sentiva più di tutto, ma la sua preoccupazione mi fece tornare in me. Feci un altro paio di passi indietro, quelli più sicuri degli altri, e quando arrivai quasi alle corde alle mie spalle mi fermai. Presi un respiro profondo, poi un altro, e mi decisi a fare quel salto.
«Manu, se non...» continuò Sam ma io la interruppi.
«Ti conviene spostarti da lì, Sam.» le dissi in tono più alto del solito prima di fare un solo passo in avanti.
Dopo il primo ce ne furono altri, più veloci del primo. Più mi avvicinavo al bordo e più la mia ansia saliva, ma provai a non pensarci. Ingoiai quel nodo alla gola che sentivo e saltai giù. Mentre ero in aria mi sentivo strana, quasi libera, ma la paura di farmi male era ben presente e mi costrinse a chiudere gli occhi. Non vidi nulla, seppi di aver finito quando mi scontrai contro quelle palline di plastica. Affondai giù per un po', ma non ero molto pesante, riemersi quasi subito da quel mare di palline.
«Allora, com'è stato?» mi chiese Sam avvicinandosi subito a me.
Il mio cuore lo sentivo ancora battere forte, il nodo alla gola si sciolse, gli occhi di Sam e la sua mano sul mio viso mi calmarono.
«È stato stupendo, devo rifarlo.» dissi con un ampio sorriso.
Mi sentivo felice come una bambina, lì dentro. Sapevo che la maggior parte dei bambini lì dentro si sarebbe divertito, ma in quel momento uscì fuori la bambina che c'era in me, credevo che quella bambina fosse cresciuta, e invece era lì in attesa di Sam.
«Allora vai, divertiti, possiamo stare qui tutto il tempo che vuoi.» mi disse lei ricambiando il mio sorriso.
Io non me lo feci ripetere due volte, corsi subito verso il ponte di corde e mi arrampicai verso la piazzola in alto, pronta per fare altrettanti salti. Sam fece lo stesso, ci divertimmo parecchio su quella piccola struttura, ma il gioco finì quando entrambe ci arrampicammo sulle corde che erano intrecciate verso l'alto per recintare tutta la piscina. Arrivammo più in alto di pochi metri rispetto alla piattaforma da cui ci lanciavamo, il piano era quello di staccarsi dalle corde e saltare giù in piedi. Lo facemmo già alcune volte, poco prima dell'ultimo salto, e appunto in quel momento Sam ebbe un piano folle in testa. Mi guardò per tutto il tempo mentre si teneva sulle corde con una mano e un piede, l'altra parte del suo corpo era a penzoloni in aria.
«Perché mi guardi?» le chiesi notando il suo sguardo diventare più malizioso.
«Ho un'idea.» rispose lei semplicemente.
«Non so di cosa si tratta, ma non mi piace.» le dissi mentre mi tenevo ben salda a quelle corde con entrambe le mani.
Lei non mi spiegò nulla, non mi disse niente, capii il suo piano solo quando lo mise in atto. Saltò verso di me e con entrambe le braccia si aggrappò alla mia vita.
«Sam, staccati.» le dissi in tono piuttosto nervoso.
«Sei tu che dovresti staccarti.» ribatté lei con fare divertito.
«Rischiamo di farci male.» continuai sperando che mi desse retta, ma non lo fece.
«Per essere una che non vuole vivere, hai fin troppa paura di morire.» commentò lei in tono sarcastico, e per quanto la sua frecciatina fosse banale, io mi lasciai andare.
Sam si dondolò per un po' mentre ero ancora aggrappata alle corde, questo le diede modo di cadere al mio fianco destro e non sotto di me. Io caddi con la schiena, le palline non fecero male, ma velocemente tornai su infuriata con Sam che rideva divertita.
«Ma sei impazzita? Potevamo farci seriamente male, tu potevi farti seriamente male, potevo caderti addosso.» le dissi in tono nervoso.
Lei smise quasi subito di ridere, si avvicinò di più a me, mi poggiò una mano sul viso e mi baciò le labbra. Fu un bacio breve ma intenso, fu breve a causa mia però, poiché mi staccai quasi subito.
«Non puoi fare così però.» continuai in tono lento, ma decisamente meno nervoso.
«Ti va se andiamo via?» mi chiese lei con ancora quello sguardo serio sul viso.
Io ero titubante ma la seguii. Per tutto il tragitto, da quella piscina, fino allo spogliatoio, Sam non disse una parola. Io non capivo cosa avesse, non volevo offenderla, non ce l'avevo nemmeno con lei per quello stupido tuffo, mi preoccupai solo per lei.
«Puoi dirmi cosa c'è che non va?» le chiesi non appena entrammo nello spogliatoio, non lo sopportavo più quel silenzio assordante.
«Non è nulla di importante.» commentò lei dandomi le spalle e portando lentamente le sue mani sul bordo inferiore della sua maglia.
«Dai, Sam, parlami. È per ciò che ho detto prima?» continuai velocemente, la vidi che si alzava la maglietta e mi voltai dandole un po' di privacy.
«In un certo senso.» disse lei non molto convinta.
«Sam, andiamo.» continuai io in tono più insistente.
«D'accordo... Quando siamo da sole puoi, per piacere, non parlare di me al femminile?» mi chiese in tono stranamente serio.
Io mi voltai verso di lei senza capire, ma quando la vidi mi si confusero ancora di più le idee. Si stava cambiando, non aveva più la maglia blu addosso, se l'era appena tolta. Il suo busto era scoperto, ma ciò su cui il mio sguardo si concentrò fu il suo seno, era coperto da una fascia elastica marrone.

Un altro giorno... Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora