Capitolo 7 - Sam.

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Lui mi fece un piccolo sorriso, strinse forte la mia mano e mi riaccompagnò sul divano su cui stavamo precedentemente. Ci sedemmo entrambi, io con le spalle contro lo schienale, lui rivolto verso di me. Mi scrutava con i suoi occhi scuri, mi accarezzava piano un lato del collo con la punta delle dita e continuava a sorridermi. Io riuscii a reggere il confronto con il suo sguardo per pochi secondi, poi mi imbarazzai e abbassai il mio.
«Non guardarmi così.» gli dissi col viso rosso.
«Com'è che ti starei guardando?» mi chiese lui facendomi alzare di nuovo lo sguardo su di sé.
Io sapevo che sguardo era, era lo sguardo di un bambino che vedeva qualcosa che gli piaceva e che avrebbe tanto desiderato, ma non un semplice gioco, qualcosa che avrebbe tenuto con sé fino alla fine dei suoi giorni. Era lo stesso sguardo che ebbi io quando mio nonno mi regalò la macchina fotografica, avevo solo 10 anni, ma ero immensamente felice. Fotografavo qualsiasi cosa. Mio nonno mi regalò quella macchina digitale perché sapeva che i tempi stavano cambiando, che le macchine con i rullini non avrebbero riscosso più un buon successo, e che comunque con quella digitale avevo una memoria più vasta rispetto a quelle di una volta che erano limitate. Lo sguardo di Sam era lo stesso di una persona innamorata, i suoi occhi mi lanciavano segnali d'amore anche se provavo ad allontanarlo, ma non potevo dirgli come mi sembrava realmente quel suo sguardo.
«Mi guardi come io guarderei un bel pezzo di pizza.» gli dissi semplicemente con fare ironico, e lui sorrise divertito.
«Secondo me sei più bella di un pezzo di pizza.» ribatté lui facendomi l'occhiolino e tornando a farmi imbarazzare. «Si, sei decisamente più bella.» aggiunse sfiorando piano i lati del mio viso.
Lentamente lo vidi allungarsi verso di me, solo col viso, ma io indietreggiai allo stesso modo.
«Ehi, sono solo io.» sussurrò lui fermandosi subito.
«Lo so...» dissi con lo sguardo basso.
«Non vuoi che ti baci?» mi chiese tornando diritto al suo posto.
«Non voglio che tu stia male a causa mia.» risposi lentamente.
«Perché dovrei stare male a causa tua?» continuò con calma.
«Per quello che ti ho detto fino ad ora.» dissi riportando il mio sguardo sul suo viso.
«Hai paura?» intuì lui.
«Ho una paura fottuta.» ribattei con un piccolo sorriso imbarazzato.
«Beh, se ti dicessi che ho paura anche io?» mi domandò Sam ricambiando quel mio sorriso.
«Paura di cosa?» gli chiesi un po' confusa.
«Ho paura di aprirmi tanto con qualcuno, di lasciarmi andare tanto fino a diventare dipendente da quella persona. E non intendo che non voglio innamorarmi, non dico che non voglio pensare costantemente a quella persona, dico solo che non voglio diventare talmente vulnerabile da starci male.» mi spiegò lui con fare particolarmente impacciato, ma era carino.
«E allora cosa proponi?» continuai io.
«Non lo so, non credo si possa stare con qualcuno e pretendere che ci si stia da dio in ogni istante. So solo che tu mi piaci, Manu, mi piaci tanto.» rispose lui col viso rosso. «Ti chiedo solo di fidarti di me.»
«In che senso?» gli chiesi, non riuscivo a seguire il suo discorso.
«Farò di tutto per farti sentire a tuo agio, ti porterò via ogni volta che una situazione ti metterà ansia, ma tu non allontanarmi.» mi dissi con quello sguardo tanto dolce.
«Ma come faccio? Tu sei tanto dolce e io tanto instabile, non riesco a prometterti le stesse cose, non riesco a prometterti che ti farò stare bene sempre, anche se lo vorrei tanto.» ribattei con fare leggermente nervoso.
«Non devi promettermi questo, l'unica cosa che ti chiedo è appunto di fidarti di me, di dirmi quando qualcosa ti dà fastidio o se qualsiasi cosa non va. Andiamo con calma, giorno per giorno, e vediamo come va.» continuò lui prendendomi una mano e tenendola tra le sue. «Posso almeno tenerti la mano, si?» mi chiese con un tono che era in parte realmente preoccupato e in parte ironico.
Io non risposi alla sua domanda, tirai su il mio sguardo sul suo viso e scrutai i suoi occhi. Erano fermi sui miei, erano dolci, lucidi, aveva paura di me. Non lo disse ma era evidente che ciò che mi espose fosse rivolto a me, che il suo non voler stare male fosse incentrato in quel momento su di me che potevo scappare da un momento all'altro e abbandonarlo. Io non sapevo cosa fare, non volevo che lui avesse paura di essere sé stesso con me, il suo modo di fare era talmente dolce che mi faceva stare bene, e per lasciarmi andare tanto a lui avevo bisogno che lui facesse lo stesso con me.
«Ok ok, guarda, non ti tocco.» disse lasciando la mia mano e tirando in aria entrambe le sue.
Sam mi sorrideva, provò ancora una volta a fingersi divertito solo per tranquillizzare me, ma io in sua esclusiva presenza ero prettamente tranquilla. Ricambiai quel suo sorriso e senza che se ne rendesse conto mi fiondai verso di lui, gli portai le mie braccia attorno alla vita e lo abbracciai, ma lui fu così sorpreso che cadde all'indietro disteso per metà sul divano.
«Non vorrei dirtelo, ma adesso sei tu che tocchi me, io resto ancora innocente.» disse prendendomi palesemente in giro.
Lui aveva ancora le braccia in aria, ai lati delle spalle, infatti quell'abbraccio fu a senso unico. Io tenevo il mio viso contro una sua spalla, ma non sentendo le sue braccia su di me mi voltai verso di lui e guardai il suo viso. Aveva le guance rosse, lo sguardo basso verso di me e non appena incrociai i suoi occhi mi sorrise.
«Tu puoi toccarmi.» gli dissi in tono fermo.
«Ah si? Sicura?» ribatté con fare ironico.
«Si, tu puoi fare tutto quello che vuoi.» risposi con un piccolo sorriso.
«Posso anche baciarti?» mi chiese mettendomi in una palese difficoltà.
Non avevo voglia di staccarmi dal suo abbraccio però, anche se sentii il mio viso accaldarsi di più. Lentamente lo vidi avvicinarsi a me col suo viso, una sua mano si avvicinò prima e mi accarezzò una guancia, come a volermi tranquillizzare. Io ero nervosa, era evidente anche a lui, ma non avevo intenzione di muovermi da lì. Ci stavo comoda sul suo corpo, ci stavo bene, così ingoiai tutta la paura che provavo e non mi mossi da lì. Lui si dimostrò ancora una volta estremamente dolce. Mi provocava, sì, cercava un riscontro da parte mia che non mi mettesse a disagio ma non voleva andare oltre interrompendo quella sicurezza che provavamo a costruire attorno a noi. Oltrepassammo già la barriera del bacio, andammo anche oltre il semplice bacio a stampo, ma lui continuò a non volermi far agitare. Mi diede un bacio, sì, ma me lo lasciò al centro della fronte. Fu tutto così dolce, anche il suo sguardo non appena si staccò, che mi sentii talmente in imbarazzo che dovetti nascondere il mio viso contro il suo collo.
«Ehi, piccola...» sussurrò lui facendomi finalmente sentire le sue braccia attorno alle mie spalle.
Mi strinse forte a sé, poggiò anche una sua guancia sulla mia testa e io mi sentii tanto bene. Amavo il suo profumo dolce e delicato, il calore che emanava il suo corpo e la dolcezza che trasmettevano i suoi gesti.
«Possiamo restare così per un po'?» gli chiesi in tono titubante senza muovermi da lì.
«Possiamo restare qui così tutto il tempo che vuoi.» replicò lui dolcemente.
«Per sempre.» pensai di dirgli ma avevo ancora paura.
Stavo bene tra le sue braccia, lontana dalla mia famiglia, lontana da estranei, lontana da tutti ma stretta tra le sue braccia. Non mi serviva altro, mi sentivo forte lì, al sicuro, ma sapevo che nonostante tutto non ci sarei potuta restare per molto. Mi sarei dovuta alzare, avrei dovuto bere e mangiare per non morire, avrei dovuto trovare un lavoro, sopportare l'ansia di sentirsi centinaia di occhi addosso anche se effettivamente nessuno mi calcolava. Avrei dovuto affrontare la vita, quella che o la affronti o comunque passa, ti scivola via tra le dita e ti ritrovi a 60 anni con i capelli bianchi e tanti rimpianti. Io ne avevo 22 di anni, ma di rimpianti ne avevo già un sacco. I miei insegnanti avevano ragione, dovevo darmi una mossa altrimenti non sarei riuscita a sopravvivere in quel mondo. Ma non ci riuscivo, pensare al mio futuro mi faceva venire l'ansia, già solo pensare a quando sarei andata via da casa di Sam mi faceva battere il cuore a mille, non volevo farlo. Lentamente voltai la mia testa, senza spostarla dalla spalla di Sam, semplicemente voltai il mio viso verso il suo. Lui aveva il suo viso rivolto verso il soffitto, lì dentro non c'era molta luce, l'unica fonte di luce era la tv che c'era lì. Da quando arrivai lì lui non la guardò nemmeno per un istante, si concentrò su di me e in quel momento era perso nei suoi pensieri. All'improvviso però abbassò lo sguardo sul mio viso, probabilmente si accorse che lo stavo guardando, e non appena incrociò il mio sguardo mi sorrise. Era così bello, così dolce e speciale. Mi sembrava l'essere più puro del mondo. Nonostante suo padre lo trattò tanto male non voleva andarlo a cercare, non voleva fargliela pagare, nonostante lui stesse male non voleva far preoccupare chi gli stava intorno e quello includeva me.
«Ehi, a cosa stai pensando?» mi chiese accarezzandomi piano una guancia.
«Potrei farti la stessa domanda.» dissi con un sorriso.
«Mmm... Già, potresti, ma sei arrivata tardi. Ho fatto prima io, quindi dimmi a cosa stavi pensando.» ribatté lui con un sorrisetto soddisfatto.
«D'accordo, stavo pensando a te.» gli spiegai con fare leggermente ironico.
«A me?» mi chiese con ancora quel sorrisetto, ma notai le sue guance farsi più rosse, e io annuii. «E a cosa, nello specifico?»
«Al fatto che mi piacciono i tuoi occhi.» dissi senza troppi giri di parole.
«Ah si?» continuò lui.
«Si, sono molto belli. Tu sei molto bello.» dissi notando un evidente imbarazzo farsi strada sul suo viso.
Sorrise, ma era appunto un sorriso nervoso, abbassò lo sguardo dal mio viso e subito dopo se lo coprì portandosi una mano lì davanti.
«Sei in imbarazzo?» gli chiesi con fare parzialmente divertito, sembrava quasi impossibile farlo imbarazzare.
«Ma no, che dici... Ti sto solo dando la possibilità di scappare senza essere vista.» rispose lui col mio stesso tono.
«Ah si? Quindi hai intenzione di farmi scappare anche se non ho alcuna voglia di staccarmi da te?» gli chiesi in tono più serio e lui si tolse finalmente quella mano dal viso.
«Non vuoi scappare?» domandò con fare confuso.
«No.» dissi velocemente.
«Allora cos'è successo in questi ultimi giorni? Cioè... Ho rispettato la tua volontà, non sono venuto a cercarti perché non volevo metterti in difficoltà con la tua famiglia, ma ho sperato di vederti al locale dove ci siamo incontrati la prima volta.» commentò lui.
«In che senso? Sei andato al locale ogni sera?» gli chiesi piuttosto sorpresa.
«Si, sono rimasto lì per più di un'ora ogni sera, ma tu non sei mai venuta.» mi spiegò lui con un tono quasi triste.
«Te l'ho detto, ho avuto dei problemi con i miei, continuano a trattarmi come se fossi una bambina solo perché non ho un lavoro. Pretendono di sapere costantemente con chi sto e soprattutto dove, senza contare che mi vogliono a casa prima delle 23:00.» gli spiegai nervosamente.
«Mi sembrano piuttosto apprensivi.» ribatté lui.
«Già, lo sono tanto.» concordai in tono lento. «Mi dispiace di non averti detto nulla.»
«Non fa niente, tranquilla. Ma... Quindi non proverai più ad allontanarmi da te?» mi chiese con gli occhi particolarmente lucidi.
Quel giorno capii che Sam era bravo a nascondere le proprie emozioni, a farmi credere che fosse felice quando invece non lo era, ma quando si mostrava triste e con gli occhi lucidi, significava che proprio non ce la faceva, e che si fidava a tal punto di me da non voler fingere nulla. Io mi allungai lentamente verso di lui, mi allungai verso il suo viso e feci incontrare le nostre bocche in un piccolo e dolce bacio. Fu un bacio breve, lento, solo labbra. Tanta dolcezza e zero provocazione.
«Devo prenderlo come un "si"?» mi chiese lui in evidente imbarazzo non appena mi staccai dalle sue labbra.
«Ci proverò, proverò in tutti i modi a non allontanarti più da me.» risposi io tentando di convincere più me stessa che lui.
Dovevo trovare la forza di lottare contro me stessa, contro tutte le mie ansie, lui non poteva farcela a farmi stare meglio se io stessa remavo contro a entrambi. Ero io la prima a dover fare qualcosa, e in quel momento avevo una voglia matta di stare bene, di stare con lui.
«A piccoli passi, non c'è fretta.» sussurrò Sam prima di allungarsi di nuovo verso di me e stampandomi poi un altro bacio sulla fronte. «Per il momento, dimmi, hai un'orario specifico in cui devi tornare a casa?»
«No, non direi. Mi ha accompagnata mio fratello, per i miei genitori io sono con lui.» gli dissi tornando giù con la testa sulla sua spalla.
«Ah ok, quindi lui sa di me?» mi chiese con fare imbarazzato.
«Non esattamente, lui ci ha visti ieri sera, e sa che c'è qualcuno che mi piace. Tutto qui.» gli spiegai con calma.
«Ah si? C'è qualcuno che ti piace?» continuò lui in tono decisamente scemo.
«Come se non lo sapessi.» ribattei io con un sorriso.
«Oh no, non lo so, non ne ho la minima idea. Potresti dirmi chi è?» domandò lui con un finto tono serio.
«Non posso dirti di preciso chi è, quello che posso dirti è che ha due occhi stupendi, tanto profondi in cui mi ci perderei volentieri. È dolce, buono, tanto spiritoso ed estremamente forte...» dissi notando il suo sguardo abbassarsi verso l'ultima parte. «Anche se lui non lo sa.» aggiunsi portando due dita sotto al suo mento e alzando piano il suo viso verso il mio.
«Pensi davvero che sia forte?» mi chiese con gli occhi particolarmente lucidi.
«Io non lo "penso", io lo credo, Sam. Tu lo sei.» risposi con un tono sicuro, lo credevo sul serio.
«Allora perché mi sento tanto debole?» continuò lui tremando quasi.
«Perché hai paura, è quella a farti sentire così. Ma una persona debole non mi avrebbe mai portato giù da quel ponte, non sarebbe mai stata tanto sicura di sé.» ribattei io.
«Io non ero sicuro di me, io non ho semplicemente paura di morire.» contestò lui debolmente. «Ho cercato spesso la morte ma non sono mai riuscito a trovarla.»
A quanto pareva, eravamo più simili di quanto credessi.
«Posso chiederti un favore?» gli chiesi dopo qualche secondo di silenzio.
«Certo, tutto quello che vuoi.» rispose lui abbozzando un piccolo sorriso.
«Puoi smettere di cercarla?» domandai con fare tanto spaventato.
«Cosa?» mi chiese lui ingenuamente, ma io non riuscivo a pronunciare quelle parole.
Parlare di morte quando si trattava della mia, mi veniva facile, ero sempre pronta a scherzarci sopra, ma se si trattava di quella delle persone a cui tenevo mi facevano salire il magone. In quel caso con Sam fu lo stesso. Sapevo come si sentiva, sapevo cosa si provava a non sentire nemmeno la più piccola paura per la propria morte, almeno a parole, su quel ponte mi spaventai parecchio, ma lo feci solo pensando a chi avrei lasciato lì a chiedersi il perché del mio gesto. Non avevo paura di perdere la vita, quella non l'avevo mai cercata e tutto sommato non mi era mai interessata. E Sam provava lo stesso, non gli importava di ciò che gli sarebbe potuto succedere, ma io speravo che in futuro avrebbe fatto più attenzione a tutto.
«Va bene, d'accordo, ci proverò.» sussurrò lui intuendo poco dopo a cosa mi riferivo, poi mi stampò un altro bacio sulla fronte. «Ti va di vedere una cosa?» mi chiese dopo alcuni minuti di silenzio.
«Di cosa si tratta?» chiesi con fare incuriosito.
«È una cosa a cui tengo molto, la guardo quando mi sento triste.» mi spiegò lui.
Io non sapevo di cosa si trattasse ma accettai subito, mi tirai su da quel divano insieme a Sam, poi lui spense la tv e mi fece strada verso la sua camera. In quel momento sembrava più in disordine di quando la vidi la prima volta. Aveva dei vestiti su una sedia accanto alla scrivania, due paia di scarpe erano sparse sul pavimento e il letto era disfatto. Non dissi nulla al riguardo, capivo come si sentiva, anche la mia camera non era il massimo dello splendore, nonostante le varie prediche di mia madre.
«Scusami per il disordine, ma non mi aspettavo il tuo arrivo.» mi disse con un sorriso.
«Non preoccuparti, se vedessi la mia camera scapperesti all'istante.» ribattei io ricambiando il suo sorriso.
«Mmm... Non credo proprio, al massimo ti porterei con me.» replicò lui dolcemente sedendosi su un bordo del letto e facendomi segno di sedermi accanto a lui.
Io lo feci quasi subito, ma c'era qualcosa sotto quelle coperte che attirò la mia attenzione. Non capivo cosa fosse, vedevo solo una sagoma indefinita che gonfiava le lenzuola, ma non riuscivo a capire cosa fosse.
«Oh quello...» commentò Sam notando il mio sguardo e allungando una mano sotto le lenzuola, proprio lì dove c'era quella figura.
Lo afferrò velocemente e con la stessa velocità lo tirò fuori poggiandolo sulle sue gambe per mostrarmelo meglio, era un peluche, un peluche dei Pokémon.
«Non so se esista qualcuno in questo mondo che non conosce i Pokémon, ma questo è il mio preferito, si chiama Cubone.» mi spiegò lui, ma sapevo benissimo chi era.
Fu mio fratello a farmi scoprire quel cartone, io nacqui 4 anni dopo, ma divenne il nostro appuntamento preferito dopo scuola. Quando scoprimmo internet e i siti di streaming facemmo anche delle maratone a tema. Per molti poteva essere una cosa per bambini, ma ancora oggi mio fratello e io continuavamo a guardarli. Magari non assiduamente come una volta, ma se ci capitavano davanti non cambiavamo canale. Quel Pokémon, Cubone, non era uno tra i più famosi ma lo conoscevo comunque bene. Era piccolino, aveva un corpo paffuto di colore marrone e un colore più chiaro sulla pancia. Indossava un teschio sulla testa e teneva in mano un lungo osso che usava per attaccare, aveva un artiglio bianco per ciascuna gamba, degli aculei sulla schiena e una piccola coda. La sua storia era piuttosto triste, e conoscendolo capii subito perché era il preferito di Sam. Cubone era un Pokémon solitario, aveva perso la madre e quella situazione gli rendeva difficoltoso stringere nuove amicizie. Durante la notte piangeva spesso perché pensava alla sua mamma, e si presupponeva che il teschio che aveva sulla testa fosse proprio quello della madre. Sam doveva sentirsi molto triste, probabilmente anche solo. Quando lo vidi circondato da tutte quelle persone al campo da basket pensai che gli riuscisse semplice fare amicizia, parlare con altri, ma fingeva solo tanto bene. In realtà era come quel Cubone, piccolo, dolce e triste. Ma solo no, non più.
«So che può sembrare infantile ma la notte mi capita di dormire abbracciato a lui, mi fa sentire meglio, anche se non proprio al 100%.» mi spiegò lui un po' imbarazzato.
«Non mi sembra affatto infantile.» ribattei io piuttosto convinta. «Io spesso mi addormento abbracciando il cuscino.»
«Un cuscino fortunato.» commentò lui con un sorriso.
«Un peluche fortunato.» replicai io facendogli segno verso il peluche che aveva ancora poggiato sulle gambe.
«Vedremo chi dei due sarà più fortunato.» ribatté lui sorridendo e riportando quel peluche vicino ai suoi cuscini. «Ma non era questo che volevo mostrarti.» aggiunse poco dopo allungandosi verso il comodino che era accanto a sé.
Con calma tirò fuori un libro rettangolare, piuttosto grande, se lo poggiò sulle gambe e guardandolo bene notai che non era un libro come un altro. Non era un libro di storie ma era una specie di album fotografico. La copertina era liscia e di colore rosso, con delle scritte bianche "Il motivo per cui sorrido ogni giorno". Non capivo cosa fosse quell'album, non capivo perché volesse farmelo vedere, ma dal suo sguardo intuii che era una cosa molto importante. Aveva gli occhi lucidi, accarezzava piano la scritta in corsivo al centro di quella copertina e si bagnava piano le labbra.
«Se vuoi possiamo stenderci un po' a letto senza fare nulla, anche senza parlare.» gli dissi poggiando una mia mano sul dorso della sua.
«No, ce la faccio.» sussurrò lui debolmente.
Io non sapevo se credergli o meno, ma in entrambi i casi ero lì, ero con lui, e se fosse scoppiato a piangere ero pronta ad abbracciarlo. Lentamente gli lasciai la mano e lui aprì con calma quell'album. Pagina dopo pagina, foto dopo foto, mi disse cosa successe in ognuna di loro. In quelle foto c'era lui dal primo giorno di nascita fino a quello che intuii fosse il giorno più brutto della sua vita, quando sua madre morì. In quell'ultima foto c'erano raffigurati una donna e un bambino, erano gli stessi che vidi nella cornice che Sam teneva in bella mostra sul comodino, ma entrambi erano piuttosto diversi. La donna aveva il viso più asciutto, il bambino aveva i solchi delle lacrime lungo le guance rosse, ma entrambi sorridevano. Entrambi avevano quel sorriso che avevano anche nell'altra foto, ma gli occhi di quel bambino erano più rossi.
«Mia madre morì quella notte.» mi spiegò Sam poggiando delicatamente un suo dito sul viso di quella donna.
Non le tolse mai gli occhi di dosso, durante la spiegazione di alcune foto sorrise anche ricordando dei bei momenti che visse con lei, ma in quel momento non c'era nemmeno la più piccola traccia di un sorriso. Mi mostrò anche una foto del suo primo giorno in quella ludoteca, all'epoca lui era fissato con Peter Pan, voleva essere come lui, voleva saper volare e diventare anche un pirata, e la madre quando lo portò in quella ludoteca lo rese il bambino più felice del mondo. Correva ovunque, e quando divenne abbastanza grande per la piscina con le palline iniziò a provare delle acrobazie pericolose, ma per fortuna non si fece mai male. Era istintivo, molto, se vedeva qualcosa che gli piaceva gli andava in contro correndo senza preoccuparsi troppo di ciò che aveva attorno, ma un giorno a causa di questo suo lato istintivo attraversò la strada senza guardare. Sulla strada successiva c'era tanto casino, c'era molta musica e un sacco di persone tutte colorate che camminavano tranquille tenendosi per mano, baciandosi, e cantando. A Sam quei colori piacquero molto, aveva sempre adorato i tanti colori messi insieme uno accanto all'altro. Odiava il trucco, non gli piaceva, ma entrava volentieri con sua madre in uno di quei negozi per il make up anche solo per lasciarsi affascinare da tutti quei colori. Quel giorno rischiò però di essere investito da un'auto all'età di 9 anni. Sua madre aveva sconfitto quella brutta malattia da pochi mesi, lei era scettica, non credeva che fosse finita. Aveva avuto paura di morire davvero, di lasciare il suo più grande amore troppo presto (lei reputava Sam il suo più grande amore, metteva lui davanti al marito, anche se a quest'ultimo non andava molto bene), così decise di godersi a pieno ogni giorno in cui stava bene. Quel giorno lei voleva appunto portare Sam al Pride, voleva fargli vedere tante persone che erano come lui, perché lei lo sapeva. Quando Sam gli disse che non gli piacevano i suoi capelli, che pianse davanti allo specchio, lei sapeva che c'era qualcosa di più profondo del semplice taglio di capelli. Pensava semplicemente che Sam volesse essere un maschio, non era a conoscenza del non binarismo, e non sapeva che suo figlio fosse già tanto sicuro su ciò che era, ma non le serviva sapere altro. Quella donna, a differenza di suo marito e di suo padre, vedeva le persone LGBTQ+ per com'erano realmente, semplici persone. Niente di più e soprattutto niente di meno. Durante il Pride erano in festa, erano più libere di farsi vedere per ciò che erano, perché magari in altri giorni non potevano farlo. La madre di Sam pensava che chiunque dovesse partecipare al Pride, che la cosa di cui andare più orgogliosi al mondo era essere sé stessi fino in fondo, e lei voleva che suo figlio potesse esserlo senza paura, senza tutte le paure che lei aveva ancor prima che Sam venisse alla luce. Per questo iniziò a chiamarlo Sam e non Samantha, e quell'anno per Sam fu il più bello della sua vita, nonostante suo padre, nonostante tutte le liti che ebbe con la madre a causa di ciò che lei faceva per lui. Sam durante il suo nono anno di vita fu tanto felice, ma appunto rischiò che fosse l'ultimo. Mentre era davanti ad un semaforo in attesa che diventasse verde, Sam lasciò la mano a sua madre e corse lungo la strada perché era troppo eccitato all'idea di essere lì. Vide un carro pieno di colori sulla strada opposta a quella che dovevano oltrepassare e voleva corrergli in contro, ma non guardò la strada. La madre gli andò subito dietro, si sentirono le gomme di un'auto stridere sull'asfalto e per fortuna riuscì a fermarsi. Sam si fermò non appena sentì sua madre chiamarlo, ma si fermò quasi al centro della strada, e sua madre lo avvolse con le sue braccia provando a proteggerlo dall'impatto. Impatto che per fortuna non ci fu perché l'auto riuscì a fermarsi a pochi centimetri prima del corpo della donna. Entrambi si spaventarono molto, l'uomo che guidò l'auto volle sincerarsi delle condizioni di entrambi ma per fortuna stavano bene. Erano solo un po' scossi. Lentamente attraversarono quella strada insieme ad altre persone e si fermarono in un bar per bere qualcosa e prendere aria. Sam si sentì talmente tanto in colpa che non si schiodò più da sua madre, non le lasciò più la mano, né si allontanò in modo tanto frettoloso. Quel giorno, in quel bar, incontrarono un ragazzo che era esattamente come lui. Aveva circa 20 anni, sul viso aveva dipinto le bandiere LGBTQ+ e quella Transessuale, sulle spalle aveva legato quell'ultima bandiera, i suoi capelli erano dipinti di un blu elettrico e i suoi occhi erano piuttosto accesi.
«Molte persone sono andate al Pride con amici, altri con la persona che amavano, io non mi vergogno di dire di esser andato al mio primo Pride con mia madre.» mi spiegò Sam quando arrivò la foto di quel giorno.
Erano su un carro pieno di persone, lui era in braccio a sua madre, quel ragazzo era accanto a loro. Mentre erano al bar lui dipinse a entrambi la bandiera arcobaleno su una guancia, ma Sam volle anche l'altra, quella transessuale. Il ragazzo gli spiegò cosa significava e lui fu solo più convinto a volerla. Quel giorno Sam si divertì molto, entrambi si dimenticarono della paura avuta pochi istanti prima e si godettero la sfilata in prima fila. Fu il giorno più bello della sua vita, a detta sua.
«Il ragazzo si chiamava Alex, i suoi genitori lo cacciarono via di casa quando aveva 15 anni. È stato per giorni a cercare un posto in cui vivere, e per fortuna aveva degli amici con dei genitori più aperti di mente rispetto a loro.» mi spiegò Sam guardando il viso di quel ragazzo. «Quel giorno non capii il suo dolore, nemmeno mia madre capì come poteva un genitore cacciare un figlio di casa perché non era come volevano loro. Ma quando mia madre morì capii come si sentiva, lo capii a causa di mio padre che a differenza di mia madre odiava il mio modo di essere.»
In quel momento vidi Sam tanto vulnerabile, si aprì con me talmente tanto che mi fece strano, conoscevo meglio lui rispetto alle amiche che avevo dagli anni del liceo. Lui era tanto dolce, probabilmente anche troppo dato che si aprì con una persona che non conosceva molto. Mi riempì la testa e gli occhi con la sua vita, con le immagini che rappresentarono a pieno i suoi primi 10 anni, ma accanto a quell'ultima foto c'era dell'altro. Sulla pagina accanto alla foto in cui Sam e sua madre erano in ospedale, in quel maledetto giorno, c'erano delle scritte che avevano la stessa calligrafia di ciò che c'era scritto sulla copertina.
«E questa cos'è?» chiesi a Sam pensando che magari fosse qualcosa che non voleva che leggessi.
Mi aveva mostrato la sua vita, si era aperto tanto con me ma non volevo essere invadente puntando gli occhi su qualcosa che lui non voleva che vedessi.
«È una cosa che ha scritto mia madre quel giorno in ospedale, quell'album se lo è fatto portare dalla nonna.» mi spiegò lui. «Puoi leggerlo se vuoi.» aggiunse abbozzando un piccolo sorriso e io allora abbassai lentamente il mio sguardo lì sopra.

Semmai un giorno dovessi trovare quest'album, mio piccolo Sam... Guardalo bene, fissa ogni singola foto, sei così bello quando sorridi. Non permettere mai a nessuno di toglierti il sorriso, quella è la parte che più amo di te, non farla scomparire. Un giorno potrai trovare una persona che si innamorerà proprio di quel tuo semplice sorriso, e quel giorno io sarò con te. Ricordami in ogni tuo sorriso, sorridi per me, sorridi ricordandoti di me, non piangere. Non voglio che tu stia male pensando a me, voglio che tu sia felice ogni giorno della tua vita, come lo sei in queste foto. Quando ti vedevo sorridere mi dimenticavo di tutto, della mia malattia, dei tanti problemi, e del mondo intero. Quindi, ti prego, sorridi sempre. Fallo per me, fallo per la persona che ti starà accanto, ma soprattutto fallo per te. Io ti sarò sempre vicino, ricordatelo.
Ti voglio bene.

C'era scritto quello, le parole sincere e dolci di una madre che voleva un bene incondizionato al proprio figlio. Gli voleva bene al punto tale da andare contro suo marito e suo padre, che non approvavano il suo modo di trattare Sam, il modo di crescerlo. La madre di quella donna però le rimase sempre accanto, capiva ancora meno come si sentiva Sam ma comprendeva l'amore che sua figlia provava per quel bambino che non voleva essere trattato da femmina. Peccato che quando la madre di Sam morì, suo padre non gli fece più vedere la nonna, non gli disse nemmeno dove abitava e lui andò via di casa senza riuscire a ricongiungersi con una parte importante della sua famiglia.
«Tua madre aveva ragione.» dissi lentamente voltandomi verso Sam.
«A proposito di cosa?» domandò lui alzando debolmente lo sguardo su di me.
«A proposito del tuo sorriso.» dissi con calma. «Sei bello quando sorridi, ho avuto l'impulso di farti una foto anche mentre eravamo su quel ponte.» gli confessai.
«Ah si?» domandò lui leggermente imbarazzato.
«Si, sei tanto bello Sam.» dissi allungando una mia mano verso il suo viso, lo accarezzai piano, dolcemente, e fu in quel momento che lui esplose.
Prima una, poi un'altra e poi un'altra ancora scivolarono sul suo viso delle lacrime. Ci provò a trattenersi, ci provò tanto, ma il tocco della mia mano sembrò fargli più male anche se fui piuttosto delicata. Spostai quella mia mano dal suo viso, la portai dietro la sua nuca e lo tirai piano verso di me. Lui si poggiò col viso contro il mio collo, mi abbracciò e si lasciò gradualmente andare. Aveva tanto dentro, tanto dolore e rabbia. Rabbia per una madre persa troppo presto, una donna che era talmente buona che avrebbe dovuto vivere per sempre. Ma chissà perché erano sempre le persone più buone ad uscire troppo presto dalle nostre vite. Guardandomi intorno non trovai mai molte persone come sua madre, mi sarebbe piaciuto conoscerla, mi sarebbe piaciuto dirle che con Sam aveva fatto un ottimo lavoro, ma non potevo farlo. Più di tutto mi sarebbe piaciuto che Sam stesse bene, che sorridesse come in quelle foto, ma non ero certa che sarei riuscita a renderlo tanto felice. Sua madre era una donna forte, mentre io ero tanto debole, non sapevo nemmeno cosa ci facevo lì su quel pianeta. Erano le persone come sua madre che dovevano vivere, non quelle come me, io mi sentivo tanto inutile. Se avessi potuto avrei scambiato la mia vita con quella di sua madre. Quello era un pensiero che ebbi spesso, ogni volta che sentivo la notizia di qualcuno morto troppo giovane, qualcuno che aveva voglia di vivere, qualcuno che amava la vita, io pensavo di voler prendere il suo posto. Mi sentivo anche in colpa, mi sentivo male anche se non conoscevo quella persona, il tutto solo perché io ero ancora lì e ignoravo la mia vita mentre loro che avrebbero voluto fare tanto non poterono farlo a causa del "destino", se così si poteva definire. Strinsi a me Sam, gli tolsi l'album dalle gambe, lo portai sul letto dietro di me e ci distendemmo per metà entrambi al centro del letto senza staccarci. Lasciai sfogare Sam fin quando voleva, fin quando aveva bisogno, non dissi nulla, non c'era molto che potessi dire. Gli stampai un bacio sulla testa mentre gli sfioravo piano la nuca. Restammo abbracciati, in quella posizione, per circa una decina di minuti. Verso metà mi chiamò mia madre, mi chiamò un paio di volte ma io non risposi. Avevo la vibrazione, per fortuna sentii solo io il cellulare, e dopo aver tolto anche la vibrazione riportai il mio telefono nella tasca dei pantaloni.
Fu in quel momento, quel giorno, che presi la decisione più grande della mia vita. Non potevo controllare la mia ansia, non potevo controllare il resto del mondo, ma potevo cercare di fare qualcosa piuttosto che restare rinchiusa nella mia camera in attesa che l'ansia passasse da sola. Sam era speciale, quel giorno mi resi conto ancora di più che aveva sofferto fin troppo, e se la mia vicinanza gli avesse fatto bene allora gli sarei stata accanto. Anche col cuore in gola, anche con lo stomaco attorcigliato e i battiti a mille, io sarei stata con lui.

Un altro giorno... Where stories live. Discover now