Capitolo 6 - Voglio conoscerti.

31 5 2
                                    

Salutai Sam, gli lasciai un piccolo bacio su una guancia e uscii dall'auto avviandomi verso il mio portone di casa. Non sapevo bene cosa mi attendeva, mia madre non aveva mai avuto nessun motivo per urlarmi contro, se non per il lavoro che non avevo ancora trovato, quindi non sapevo cosa aspettarmi. Ci misi poco ad arrivare su, Sam andò via non appena entrai nel mio palazzo e, quando entrai in casa, mia madre mi venne subito in contro.
«Si può sapere dove sei stata?» mi chiese con fare nervoso.
«Ero in giro con Sara, te l'ho detto.» ripetei per la centesima volta non appena chiusi la porta.
«E non mi potevi avvisare che avresti fatto tardi?» continuò lei come se fossi una bambina.
«Ma qual è il problema? Siamo state qui in città, non ci siamo allontanate molto, non è nemmeno così tardi. Lucia torna sempre oltre le 03:00.» contestai innervosendomi anche io, in fondo non l'avevo mai sentita urlare con Lucia per gli orari che faceva.
«Lucia lavora anche.» ribatté mia madre.
«E ha un ragazzo che la riaccompagna a casa, tu no.» commentò mia sorella sbucando dal salotto.
A quanto pareva entrambe si erano messe lì a chiacchierare dei miei affari, entrambe sembravano trovare strano il fatto che uscii di casa per 3 giorni di fila, ma chissà perché a nessuno importava molto quando passavo mesi e mesi rinchiusa in casa con zero voglia di vedere chiunque, soprattutto loro, ma ci abitavo insieme e non potevo evitarli.
«Quindi se avessi un lavoro potrei tornare a casa dopo le 03:00 di notte?» replicai voltandomi verso mia madre e ignorando ciò che disse Lucia, lei non sapeva nulla di me, non poteva essere sicura che non avevo nessuno.
«Ovviamente no.» rispose mia madre con fare nervoso spostandosi più al centro del salotto.
«Allora che senso ha questo discorso?» domandai nervosamente andandole dietro.
«Ha senso perché voglio sapere dove vai, con chi sei e quando torni.» si lamentò lei. «Sono due sere di fila che non ceni con noi.»
«E allora? Non mi sembra questa gran tragedia, soprattutto se quando ceniamo insieme litigate o cercate di appiopparmi lavori che non mi piacciono.» ribattei notando un sorrisetto spuntare sul viso di mia sorella, ma provai ad ignorarlo.
«Perché, cosa c'era di brutto nel fare l'estetista?» chiese mia madre con fare quasi innocente, ovviamente lei ignorò la questione delle liti che c'erano quasi ogni sera.
«Nulla, semplicemente non è un lavoro per me.» dissi continuando ad ignorare mia sorella che sembrava divertita da quell'argomento.
Mia madre voleva che lavorassi in un centro estetico di una sua amica, lì avrei dovuto fare massaggi, trattamenti per il corpo ed eventuali depilazioni, tutte cose che mi avrebbero messo tremendamente a disagio essendo a contatto con un corpo estraneo. Non mi piaceva essere toccata, non mi sentivo a mio agio, figuriamoci dover toccare altri per farli stare bene. Lei si attaccava molto anche sul trucco e la manicure, due cose che erano proprio lontanissime dalla mia persona. Non mi truccavo, non sapevo come farlo e non mi interessava particolarmente. Le mie mani invece sembravano quelle di un bambino, erano piuttosto piccole e non avevano mai visto una manicure. Probabilmente non vedevo le mie unghie da quando ero piccola, quando ero in ansia tenevo sempre un dito tra i denti, era una tortura verso sé stessi perché spesso ero talmente in ansia che senza rendermene conto finivo per far uscire del sangue dalle mie dita. Infatti in casa avevamo un sacco di cerotti solo per me, capitava ancora che mi sentissi tanto in ansia, mi mangiassi le unghie e ciò che ne rimaneva era solo del fastidio e del sangue. A mia madre non importava di quei dettagli, per lei era un lavoro come un altro e se non volevo farlo significava che non volevo lavorare.
«E quale sarebbe il lavoro per te? Eh? La fotografia? Ormai ci sono i cellulari, tutti sanno fare delle foto.» contestò mia madre abbassando lo sguardo nervoso sulla macchina fotografica che avevo appesa al collo, e probabilmente maledicendo suo suocero che me l'aveva comprata.
«Schiacciare un bottone non significa scattare una foto, o perlomeno non una particolarmente bella.» replicai io con fare nervoso.
«Sentila, come si crede superiore.» si intromise mia sorella con fare quasi infastidito, ovviamente lei era di quelle persone che si facevano un sacco di foto su Instagram con 700 filtri diversi e pretendeva che tutti le dicessero che era bellissima.
«Io non mi sento superiore a nessuno.» contestai io che purtroppo mi sentivo inferiore a chiunque.
«Tanto meglio, ragazzina, perché non lo sei.» commentò lei tirandosi su dalla poltrona su cui era seduta.
«Senti, ma che vuoi? Perché non te ne vai a fanculo?» le chiesi stringendo forti i pugni lungo il mio corpo.
«Abbassa la cresta quando parli con me.» ribatté lei mettendosi faccia a faccia con me e guardandomi dall'alto in basso a causa dei pochi centimetri che aveva in più.
«Ma chi cazzo ci vuole parlare con te.» ribattei nervosamente e lei mi diede una veloce spinta che mi fece indietreggiare di qualche metro.
A differenza sua sembravo davvero una ragazzina, lei fisicamente sembrava più matura, a me continuavano a dare massimo 18 anni. Era più alta di me, probabilmente anche più forte, ma non per questo mi tirai indietro. Tornai ad avvicinarmi a lei con passo deciso, mia sorella fece lo stesso, ma in quel momento mia madre si mise in mezzo e ci disse di smetterla.
«Si può sapere cos'è tutto questo casino?» chiese mio fratello entrando in salotto proprio in quel momento.
Mio padre era sicuramente fuori casa, fuori con degli amici, non ne ero sicura ma se ci avesse sentito litigare si sarebbe di sicuro fatto vivo, anche solo per dire la sua. Mio fratello invece era lì, in quel momento poco oltre all'entrata del salotto. Aveva delle cuffie bluetooth attorno al collo, di quelle grandi che coprivano completamente le orecchie. Le usava quando restava in casa e non voleva essere disturbato, magari per vedere un film o ascoltare semplicemente della musica, ma il più delle volte le usava per non sentire i nostri genitori litigare. Per quei due ogni scusa era buona per dirsene quattro, per urlare più che altro. Mio padre tradì mia madre circa 5 anni prima, e da allora il loro rapporto si incrinò più di quanto non fosse già dopo la mia nascita. Lei disse di averlo superato, ma non lo aveva perdonato del tutto. Io avevo un paio di cuffie come quelle di Dario in camera, me le comprò lui, lui era l'unico a cui interessava il mio benessere. Mia sorella mi odiava, non sapevo il perché ma non andammo mai molto d'accordo, a lei piaceva essere al centro dell'attenzione e forse si incazzò quando nacqui perché capì che non sarebbe stata l'unica figlia femmina in casa, non lo sapevo. Sinceramente nemmeno mi importava.
«È tua sorella che urla come una cornacchia.» commentò Lucia.
«Io? Ma se sei tu che non fai altro che rompere le palle.» contestai io voltandomi di nuovo verso di lei.
«Va bene, basta, smettetela.» ribatté mia madre in tono più alto del nostro. «Tornate nelle vostre camere, discuteremo di questa cosa domani pomeriggio.» aggiunse, e mia sorella non se lo fece ripetere due volte.
Si mosse prima di me, passò davanti a mia madre con fare lento, poi passò accanto a me e mi diede una spallata.
«Testa di cazzo.» sussurrò continuando a camminare come se nulla fosse.
Io la ignorai, o perlomeno ci provai, non capivo il perché di tutto quell'odio nei miei confronti, ma sentii un forte nodo alla gola e quando lei non fu più nei paraggi, io mi avviai verso la mia stanza.
«Manu, stai bene?» mi chiese Dario in tono lento, ma io non lo guardai nemmeno in faccia.
Non riuscivo a dire nulla, ero incazzata e triste, e anche dire solo una parola mi avrebbe portato inevitabilmente a piangere. Gli passai accanto facendo finta di nulla, entrai nel corridoio e subito dopo entrai nella mia camera. Mi presi solo il tempo per togliermi le scarpe e la macchina fotografica dal collo, poi mi buttai subito a letto. Non avevo voglia di cambiarmi, non ne avevo nemmeno la forza. Dopo qualche minuto sentii il mio cellulare vibrare, era nella tasca dei miei pantaloni e non ci misi molto a prenderlo, era un semplice messaggio, un messaggio da parte di Sam.
«Ehi, spero che lì vada tutto bene. Volevo solo dirti che sono stato tanto bene con te oggi, mi sono sentito davvero a mio agio. Grazie, Manu, sei speciale.» mi disse.
Quel messaggio mi spiazzò, soprattutto quell'ultima frase. Io non mi sentivo speciale, non sentivo di avere nulla di speciale, anzi mi sentivo solo un peso per chiunque. Un peso per la mia famiglia, per la mia migliore amica, e se avessi continuato quella conoscenza con Sam mi sarei sentita un peso anche per lui. Succedeva sempre così. Non appena conoscevo qualcuno finivo per sentirmi di troppo, non ero come gli altri, non mi sentivo "normale", mi sentivo un casino. Non riuscivo a fare le cose normali che facevano tutti, mi sentivo a disagio anche in mezzo a un gruppo di minimo 3 persone, in cui una di quelle ero io. Mi sentivo a disagio se dovevo uscire da sola per comprare qualcosa, anche semplicemente per andare in un negozietto sotto casa, mi sentivo a disagio costantemente. Non ero asociale, non sapevo proprio vivere, non ne ero in grado. Sam stava provando a insegnarmelo, ma forse avrei dovuto evitare di inoltrarmi troppo nella sua vita, avrei rischiato di fare del male anche a lui. Non riuscii a rispondere a quel suo messaggio, sinceramente non sapevo cosa dirgli, ma dopo altri pochi minuti sentii bussare alla mia porta e lentamente mio fratello entrò.
«Ehi, posso disturbarti?» mi chiese in tono incerto chiudendo la porta dietro di sé e accendendo poi la luce della mia camera.
Io annuii semplicemente, gli feci un piccolo sorriso e mi tirai su mettendomi seduta sul bordo del letto.
«Come ti senti?» continuò lui sedendosi accanto a me.
«Non mi va molto di parlarne.» gli dissi debolmente.
«Lo so, lo capisco, ma tu non devi ascoltare quello che dice Lucia, lei è solo invidiosa.» ribatté Dario poggiandomi un braccio dietro le spalle.
«Invidiosa? E di cosa? Io non ho nulla in più di lei.» commentai con fare confuso.
«Non ci giurerei, tu sei dolce, mentre lei attacca chiunque, spesso litiga col suo ragazzo proprio perché lui prova ad essere carino ma lei resta fredda.» mi spiegò lui.
«Beh ma lei un ragazzo lo ha, quindi da me cosa vuole?» continuai cercando di capire se lui sapesse qualcosa.
«Non saprei, ce l'ha con te da quando sei nata.» mi disse Dario, ma quel particolare lo sapevo, lo avevo intuito.
«Questo l'ho capito, ma non comprendo il motivo.» ribattei nervosamente.
«Il suo problema credo sia che con la tua nascita non è stata più l'unica nipote femmina dei nonni.» ipotizzò lui.
«I nonni?» domandai.
«Si, lei usciva spesso col nonno, il padre di papà.» mi spiegò lui con calma. «Poi però quando sei nata tu, lui ha iniziato a pensare solo a te. Tu hai i suoi occhi, il suo carattere, hai persino la sua stessa passione per la fotografia, e lei è gelosa di tutto questo.»
«Ma io non c'entro, non ho fatto nulla.» provai a giustificarmi, ma anche lui sapeva che era inutile.
«Lo so, ma la gelosia non è razionale, qualsiasi sia il motivo per cui scatta.» continuò lui stringendo più forte quel braccio attorno alle mie spalle. «L'unica cosa che posso dirti è di ignorarla, non ascoltare ciò che dice, vuole solo litigare.»
«Beh io non ho paura di litigare con lei.» ribattei in tono piuttosto fermo.
«Ah lo so, ci scommetto! Ma non farlo, ok?» commentò lui con un piccolo sorriso.
«Ok, ci proverò.» dissi ricambiando quel suo sorriso.
«Bene, e dimmi... Da quant'è che Sara ha tagliato i capelli tanto corti?» mi chiese Dario poco dopo togliendomi quel braccio dalle spalle.
«Cosa?» gli chiesi senza capire.
«Io ero fuori dal parco un'oretta fa, ti ho vista. Eri con un ragazzo?» continuò lui con un sorrisetto divertito.
«Beh ecco...» dissi pensandoci un po' su.
«Con me puoi parlare, lo sai, non lo dirò a nessuno.» aggiunse velocemente pensando che non dicessi nulla perché non mi fidavo, ma non era così.
Io mi fidavo di lui, mi fidavo molto, ma non sapevo come definire Sam. Lui voleva che parlassi di lui al maschile, perché lo faceva sentire più a suo agio, ma non si definiva un ragazzo quindi dire "si" a mio fratello era come mentire.
«Ero con una persona.» gli dissi facendogli confondere le idee.
«Era una ragazza?» mi chiese con un tono solo più confuso, ma quell'ipotesi non sembrava infastidirlo in alcun modo.
«Dobbiamo per forza definire il genere?» gli chiesi in tono parzialmente nervoso.
«No, se non vuoi dirmelo allora va bene.» rispose lui tranquillamente.
«Non è questo, è che è complicato.» dissi debolmente.
«D'accordo, non preoccuparti. Mi fa piacere comunque che tu abbia conosciuto una persona.» ribatté con un sorriso sinceramente felice.
«Già, ma credo che non ci vedremo più.» dissi con lo sguardo basso.
«Cosa? Perché?» domandò lui decisamente più confuso.
«Per quello che è successo oggi, non mi piace inventare scuse con mamma, non mi piace discuterci perché magari perdo la cognizione del tempo. Tra l'altro credo di non essere portata per queste cose.» gli spiegai sentendo quello stramaledetto nodo alla gola tornare velocemente.
«Quali cose? Stai solo uscendo con una persona, sono cose normali.» ribatté lui.
«Appunto, e io non sono normale.» dissi tirando su il mio sguardo su di lui.
«Cosa vuoi dire?» mi chiese incrociando il mio sguardo, il suo sembrava piuttosto incerto.
«I-io non mi sento a mio agio fuori casa, non mi sento a mio agio in mezzo alle persone, né in piccoli gruppi. Ogni nuova cosa, anche la più banale, a me mette ansia.» gli spiegai cercando di contenere il tremolio nel mio tono.
«Le cose nuove spaventano tutti.» commentò lui abbozzando un piccolo sorriso, ma non era così facile.
«Si, ma a me spaventa anche solo dover andare in giro da sola, camminare per strada alla luce del sole senza una meta precisa. In questi mesi mi sarebbe piaciuto uscire spesso, andare a fare due passi, due foto, ma non l'ho mai fatto perché mi sentivo a disagio.» continuai sentendo quel nodo farsi più forte.
«Potevi dirmelo, sarei venuto io con te.» replicò con fare piuttosto dolce.
«Non voglio che nessuno lo sappia, mi sento già fin troppo ridicola.» dissi sentendo delle lacrime scivolare lungo le mie guance, ma me le asciugai subito.
«Ridicola? Manu, se qualcosa ti fa paura o ti mette ansia non è affatto ridicola. Devi solo trovare qualcuno che ti aiuti a sconfiggere queste paure.» commentò lui poggiandomi una mano sul viso, ma me la tolsi quasi subito.
«Nessuno può aiutarmi.» replicai in tono lento.
«Non dire così, ci sono io per te, c'è quella persona. Con lei non ne hai parlato?» mi chiese con calma.
«No, cioè in parte, ci conosciamo da un paio di giorni.» gli spiegai con un sorriso imbarazzato.
«E mi sembri comunque cambiata molto in due giorni.» replicò lui.
«Sono solo uscita due sere di fila, non è niente di che.» contestai debolmente.
«Niente di che? Non uscivi da due mesi, in un certo senso è una gran cosa.» continuò Dario con un sorriso più convinto del mio.
«Si, ma non lo farò più.» dissi facendo sparire all'istante quel suo sorriso.
«Manu, non puoi chiuderti in casa.» si lamentò lui.
«L'ho fatto per gli ultimi 3 anni, posso continuare per altri 20.» replicai io lentamente.
«Perché? Perché vuoi farlo? Non ti piace questa persona?» domandò lui in tono confuso.
«Proprio perché mi piace non voglio continuare a vederla, finirei per rovinargli solo la vita.» gli spiegai tenendo lo sguardo basso.
«Non ci credo.» ribatté mio fratello.
Lui continuò per altri pochi minuti a cercare di convincermi, mi chiese di non allontanare questa persona, e io gli promisi che non lo avrei fatto, ma in un certo senso lo feci. Non appena lui uscì dalla mia camera, io tornai a sdraiarmi sul mio letto, nel buio della mia stanza, non sapevo cosa fare ma avevo ancora un messaggio in sospeso con Sam. Me ne inviò un altro una decina di minuti dopo che mio fratello andò via, io e lui restammo a chiacchierare per quasi mezz'ora, e ignorai Sam fino a quel momento.
«Manu, va tutto bene?» mi chiese, sembrava preoccupato.
In effetti il suo precedente messaggio lo visualizzai subito, pochi istanti dopo l'invio, e probabilmente rimase in attesa da allora.
«Ehi, scusami, ho avuto un po' da fare... Tranquillo, qui va tutto bene, mi fa piacere che tu ti sia sentito a tuo agio con me.» gli inviai qualche istante dopo.
«Sicura che vada tutto bene?» continuò lui.
«Si, tranquillo.» gli scrissi io, ma non sapevo in che modo convincerlo, e ovviamente non si convinse.
«Allora è confermato per domani? Ci vediamo, si?» mi chiese subito dopo.
«Non lo so, non mi sento benissimo.» risposi io sentendomi una stronza già solo perché gli stavo dicendo una bugia.
«Mi dispiace, Manu... Che cos'hai?» continuò lui che anche solo da quei messaggi mi sembrava piuttosto dolce.
«La testa, fa piuttosto male.» dissi buttando fuori una scusa al volo, ma in quel momento l'unica cosa che faceva male era il mio stomaco, mi sentivo tremendamente in colpa.
Mi aspettavo che mi dicesse che un'oretta prima stavo bene, che ero eccitata all'idea di vederlo di nuovo, ma mi sorprese. Se sospettava qualcosa non lo diede a vedere.
«Non preoccuparti allora, riposati che ora è tardi, possiamo vederci anche la prossima volta. L'importante è che tu ti riprenda e che stia bene.» mi disse.
Sam era dolce, molto, e io mi sentivo una stronza. Non sarei mai stata bene, ero in quel modo da sempre, non sarei cambiata così facilmente. Subito dopo gli promisi che mi sarei riposata, gli feci intuire che mi stavo mettendo a letto, e lui mi salutò mandandomi anche un cuoricino rosso. Quel semplice cuoricino mi fece capire che ci teneva davvero, che voleva davvero che stessi bene, ma era difficile, e più lui si comportava dolcemente con me e più io mi sentivo male. Non ero come le altre persone, con me non avrebbe mai vissuto una storia normale. Mi sentivo così male, così in colpa, avevo fatto entrare Sam nella mia squallida vita e dovevo trovare un modo non troppo duro per farlo uscire, non potevo fare altrimenti. Quella notte mi addormentai come altrettante notti, col viso rigato dalle lacrime. Non sapevo cosa fare, ma non volevo far star male Sam. Il pomeriggio seguente mia madre mi disse che ero "ufficialmente" in punizione, come se fossi una bambina di 10 anni. Avrei potuto ribattere a quella sua cazzata in tanti modi diversi, ma avevo bisogno di una scusa per allontanarmi da Sam e così abbassai la testa e acconsentii ad ogni cosa assurda che mia madre mi chiedeva di fare. Ogni sera le facevo trovare la cena pronta, apparecchiavo e sparecchiavo la tavola, pulivo anche i piatti. Mia sorella ne approfittò molto in quei giorni, sporcava molto più di quello che mangiava, e non toglieva nemmeno il suo piatto perché le piaceva vedere me che glielo toglievo da davanti, come se fossi la sua cameriera insomma. Dario fu l'unico a cercare di aiutarmi, sparecchiò più volte al posto mio, si propose anche per fare i piatti ma non mi andava che facesse tutto lui. La punizione durò una settimana, e in quei giorni mio fratello litigò molto con tutta la famiglia. Di solito si faceva gli affari suoi, ma in quei giorni non riuscì proprio a trattenersi.
«Smettetela con questa storia, Manuela non ha fatto nulla di male, è solo uscita con la sua amica, sul serio la state punendo per questo?» si lamentò lui non appena finimmo di mangiare.
«La stiamo punendo perché esce e torna quando vuole senza dire nulla.» commentò mia madre con una certa calma.
«E allora? Lo faccio anche io.» ribatté lui.
«Tu sei maschio, è diverso.» disse nostro padre, che in quel caso dava ragione alla mamma.
«A me sembra uguale.» contestò Dario.
«Tu sei comunque più grande.» continuò nostra madre che voleva per forza avere una scusa per tenere la ragione dalla sua parte.
«E lei non è più una bambina, quindi basta con queste stronzate.» replicò lui avvicinandosi velocemente a me che ero al lato opposto del tavolo pronta a sparecchiare.
«Vuoi una punizione anche tu?» ribatté la mamma.
«Si certo, l'anno prossimo magari.» commentò Dario prendendomi per mano e portandomi via da loro.
«Dove andate?» ci chiese lei.
«In camera.» rispose Dario semplicemente, ma il suo piano non era solo quello.
Mi portò via poco dopo quella cena, proprio quando avrei dovuto sparecchiare, per il disappunto di mia sorella.
«Che cosa facciamo qui?» gli chiesi non appena entrammo nella mia camera.
«Cambiati.» rispose lui semplicemente.
«Cosa?» continuai senza capire.
«Mettiti qualcosa addosso, indossa le tue scarpe e usciamo.» disse velocemente.
«Ma non posso uscire.» mi lamentai io cercando una scusa per non muovermi da lì, ma con lui non reggeva.
«Manu, se tu avessi voluto saresti potuta uscire anche il giorno stesso in cui mamma ti ha "messo" in punizione. Il punto era che non volevi.» ribatté lui.
«E cosa ti fa credere che lo voglia ora?» replicai io.
«Tu non volevi farlo solo per ciò che senti, perché hai paura, ma in fondo non vuoi restare in casa per sempre.» protestò lui in tono convinto.
«Beh no, ma...» provai a ribattere, ma non me ne diede l'opportunità.
«Niente "ma", vestiti, dai.» continuò lui e io mi lasciai convincere.
Fu piuttosto convincente anche con i nostri genitori, gli disse che la punizione era finita, e che in quel momento uscivamo insieme e non dovevano aspettarci. Loro più che lasciarsi convincere non ebbero il tempo di replicare nulla, perché non appena finì di parlare aprì la porta e mi trascinò fuori.
«Dove andiamo?» gli chiesi non appena entrammo nella sua auto.
«Oh questo devi dirmelo tu.» rispose lui con un sorrisetto divertito.
«Cosa? Che vuoi dire?» domandai piuttosto confusa.
«Dove abita la persona che hai conosciuto?» mi chiese lui prima di mettere in moto e partire.
«Dario, ti prego...» lo supplicai quasi, ma lui mi interruppe di nuovo.
«No, Manu, sono io che prego te. Non lasciarti scivolare ogni giorno addosso, so che è difficile ma devi reagire. A piccoli passi, io sarò con te sempre, ma questa persona può aiutarti molto più di quanto possa fare io.» mi disse in tono sicuro.
«Chi te lo assicura? Non la conosci nemmeno.» protestai nonostante non gli dessi proprio torto su tutta la linea.
«Arriverà quel giorno, ne sono sicuro, ma nel frattempo mi basta aver visto un cambiamento nel tuo sguardo la settimana scorsa.» commentò lui piuttosto sicuro. «Adesso però dimmi dove abita.» aggiunse subito dopo.
Io allora mi lasciai convincere e gli spiegai dove abitava Sam, non ci mettemmo molto tempo per arrivare, una decina di minuti circa.
«Ok, abita qui?» mi chiese Dario parcheggiando proprio accanto al portone di casa di Sam.
«Si, abita qui.» risposi io con un sospiro.
Non volevo stare lì, ero nervosa, preferivo chiudere qualsiasi cosa con Sam piuttosto che provare ad andare avanti nonostante tutte le mie paure, era più facile.
«Ehi, andrà bene.» sussurrò lui poggiandomi una mano su una spalla.
«E chi te lo assicura?» gli chiesi nervosamente.
«Purtroppo nessuno, ma io ci credo.» rispose lui con un piccolo sorriso.
«E se andasse male?» domandai con una paura fottuta che sarebbe andata in quel modo.
«Sarò pronto a consolarti e a prendermi tutte le parolacce che vorrai tirarmi dietro.» disse con un sorriso convinto.
«Spero non ce ne sia bisogno.» commentai con un sospiro più pesante, più stavo lì e più aumentava la mia ansia.
«Vai su. Io resto qui per 5 minuti, se non ti vedrò tornare capirò che sei su e andrò via, ma non tornerò a casa, quello lo faremo insieme.» mi disse accarezzandomi piano il viso. «Prenditi tutto il tempo che ti serve, quando sarai pronta ad andare via, chiamami e arrivo. D'accordo?»
«D'accordo.» risposi io in tono più incerto.
Lentamente aprii lo sportello e con calma uscii fuori, mi avviai verso il portone con fare titubante e per fortuna lo trovai parzialmente aperto, sarebbe stato difficile dire a Sam che ero giù, probabilmente mi avrebbe lasciata lì fuori. Ogni passo in più verso l'appartamento di Sam e ogni metro in meno mi facevano aumentare l'ansia. In quei giorni fui piuttosto fredda con lui, mi tenni a distanza, gli dissi che avevo avuto dei problemi con i miei e che quindi non potevo uscire di casa. Lui si propose anche per venire a parlarci, pensava fosse colpa sua, ma io gli dissi che non volevo che venisse da me. Non lo dicevo per me, non mi vergognavo di lui, erano i miei che non erano così aperti mentalmente e non volevo che dicessero delle cattiverie davanti a lui. Non appena arrivai davanti alla porta di casa di Sam mi sentii piuttosto male, avevo i battiti accelerati e il cuore in gola. Sarei voluta scappare, ma ciò che feci fu ben diverso. Suonai il campanello. Aspettai in ansia per 20 lunghi secondi, poi la porta si aprì e mi trovai Sam davanti, piuttosto sorpreso di vedermi.
«Manu, cosa ci fai qui?» mi chiese abbozzando un piccolo sorriso.
«Sono venuta a trovarti...» risposi io cercando di tenere il mio tono calmo.
«Oh beh dai entra.» disse lui velocemente aprendo di più la porta e facendomi segno di entrare in casa. «Non mi aspettavo che ti avrei più rivista.» mi confessò lui non appena chiuse la porta.
Notai i suoi occhi più lucidi, il suo sorriso c'era ancora ma era triste, e in un attimo mi sentii una completa stronza.
«Mi dispiace.» dissi abbassando lo sguardo dal suo viso.
Immaginavo che mi avrebbe riservato tante belle paroline "dolci", ma Sam non era il tipo, Sam era buono e sembrava non provare rancore per nessuno, nemmeno per una come me. Piuttosto che dirmene un sacco si avvicinò a me e mi abbracciò. Io mi sentii piuttosto spiazzata dal suo gesto, il mio cuore tornò in gola, i battiti aumentarono di nuovo e io mi strinsi forte a lui. Nascosi il mio viso contro la sua spalla, non me ne accorsi in quel momento ma delle lacrime uscirono dai miei occhi, non le controllavo, quando ero tra le sue braccia non riuscivo a controllare nulla.
«Ehi, non piangere.» mi sussurrò lui non appena si staccò da me e mi vide in lacrime.
Mi portò le sue mani ai lati del viso, mi asciugò quelle lacrime e mi sorrise dolcemente. Non capivo come facesse ad essere così buono con me.
«Vieni con me.» continuò prendendomi per mano e accompagnandomi nel salotto che era lì vicino.
La tv era accesa, non sapevo cosa stesse guardando ma non ci feci troppo caso, sentivo solo delle persone lì che parlavano ma non la guardai, concentrai la mia attenzione su Sam o almeno ci provai. Ci sedemmo entrambi sul divano, rivolti verso l'altro. Io ci provai in tutti i modi a tenere il mio sguardo sul suo viso, ma mi sentivo così male che non ci riuscivo.
«Non ce la fai proprio a guardarmi negli occhi?» mi chiese con un tono parzialmente ironico, nonostante tutto stava provando a smorzare la tensione.
«N-no, non ce la faccio.» dissi mordendomi un labbro.
«E se tengo su il tuo viso?» continuò portando delicatamente una sua mano sulla parte basso del mio viso e tirandolo lentamente su, ma il mio sguardo rimase per poco su di lui.
Il mio viso era rivolto verso il suo, ma i miei occhi ci misero un secondo a spostarsi poco più giù.
«Va bene, non voglio forzarti.» disse lasciando andare il mio viso che divenne probabilmente viola a causa dell'imbarazzo che provavo in quel momento. «Puoi almeno spiegarmi perché non riesci a guardarmi in faccia?»
«Perché sono stata una stronza.» dissi sentendo altre lacrime scivolare lungo le mie guance.
«Cavolo, ci credi davvero se piangi...» commentò lui portando una mano sul mio viso e asciugando piano quelle lacrime.
«Già, mi faccio alquanto schifo...» dissi asciugando l'altro lato del mio viso.
«Cosa? Perché?» mi chiese lui con fare confuso.
«Perché ti ho trattato male, sono stata fredda.» gli spiegai lentamente.
«Avevi i tuoi casini, la tua famiglia che rompeva.» ribatté lui giustificandomi.
«Si, ma non era una scusa accettabile per trattar male te.» dissi tirando su il mio sguardo su di lui che stranamente mi sorrideva.
«Tu non mi hai trattato male, non mi hai mandato a cagare, non mi hai detto nulla di cattivo.» continuò sfiorando dolcemente il mio viso.
«Ma ti ho risposto a monosillabi.» commentai provando a parlare anche con quel nodo alla gola e lo stomaco che si contorceva da solo a causa dei sensi di colpa.
«Immagino che non sia stato un bel periodo.» continuò lui con calma.
«Perché provi in tutti i modi a giustificare il pessimo modo in cui mi sono comportata con te?» gli chiesi senza capire perché lo facesse.
«Perché ho visto come ti sei comportata con me da vicino, anche poco prima che salissi su in casa, sapevo che qualcosa non andava. Sapevo che non ce l'avevi con me, che era solo un attimo.» commentò lui dolcemente.
«Con me non è mai un attimo, sono tanti stramaledetti attimi.» dissi sentendomi ancora più male.
«Cosa vuoi dire?» mi chiese con uno sguardo confuso.
«Che sono nervosa 10 ore durante la giornata, in altre 10 sono in ansia e le restanti 4 se ho fortuna sono addormentata.» gli spiegai in tono tremante quasi.
«Quando siamo stati insieme non sei apparsa così tanto nervosa, in ansia magari un po' ma non è durata molto.» replicò lui con un sorriso.
«Non capisci, io sono un casino.» dissi alzandomi nervosamente in piedi e togliendomi anche la sua mano dal viso. «Non sono brava a relazionarmi con gli altri, le persone mi mettono agitazione, sento il cuore in gola costantemente e mi manca l'aria.»
«Manu, io mi sento allo stesso modo.» replicò lui tirandosi su velocemente.
«Non prendermi per il culo.» ribattei con fare nervoso, provai anche ad andare via da lì ma lui mi fermò.
«Non lo sto facendo.» disse prendendomi per mano e facendomi tornare a voltarmi verso di lui. «Ho costantemente paura che qualcuno possa scoprire come mi sento, che possa giudicarmi, che possa deridermi perché è troppo stupido per capire che io sto male in questo dannato corpo.» mi spiegò lentamente, in quel momento quello in lacrime era lui. «Non posso dirlo nemmeno a Rita. Lei mi ha visto crescere, mi vede come una ragazza lesbica e non le dispiace, ma non so cosa pensa delle persone trans. Non posso nemmeno correggere i genitori dei bambini che mi chiamano "giovanotto", altrimenti se mi trovassi davanti un omofobo rischierei di mettere in crisi la ludoteca perché non sai mai che cosa può raccontare in giro.»
«Sam...» provai a ribattere, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu poggiare una mia mano sul suo viso, lui non aveva ancora finito.
«Per questo non metto sempre la fascia. Quando ero al campo da basket non l'ho indossata perché con la canotta si sarebbe vista, in quei minuti che sono in campo provo a non pensarci, ma quando sono fermo in panchina mi sento a disagio. Lo detesto, detesto il mio stramaledetto seno.» commentò in tono nervoso.
«Ehi, vieni qui.» dissi tirandolo verso di me e abbracciandolo, in quel caso era lui ad aver bisogno di un abbraccio.
Non sapevo come si sentisse in quel corpo, poteva fingere di stare bene, ma solo lui sapeva quanto stava male e a quante cose doveva pensare. Mi dispiaceva molto per lui, avrei voluto aiutarlo ma non sapevo proprio da che parte cominciare.
«Mi dispiace.» sussurrò staccandosi poco dopo da me.
«Di cosa?» gli chiesi in tono confuso.
«Di non essere abbastanza forte.» disse tirando su il suo sguardo triste sul mio viso.
«Ma che diavolo stai dicendo? Sam, tu sei la persona più forte che conosco.» gli dissi asciugandogli entrambe le guance con i miei pollici. «Tu affronti la vita ogni giorno, ti svegli e vai al lavoro nonostante il tuo stato d'animo, incontri un sacco di persone, non ti nascondi come me.»
«Non mi sembra che tu adesso ti stia nascondendo.» replicò lui con un piccolo sorriso.
«Per il momento, dovevo vederti.» dissi con più calma.
«Ah si? E per quale motivo?» domandò velocemente
«Per dirti di persona che faccio schifo e che non possiamo stare insieme.» risposi io in tono lento.
«Bella battuta.» commentò lui con un sorriso più convinto.
«Sono seria, Sam.» dissi togliendogli entrambe le mani dal viso.
«A me sembriamo perfetti insieme.» replicò con fare non così serio, non capivo se volesse smorzare la tensione o se ci credesse sul serio.
In un certo senso però aveva ragione, riuscivamo a farci forza a vicenda, riuscivamo a sorridere pur avendo versato lacrime entrambi pochi secondi prima, ma avevo ancora paura di me stessa e di ciò che avrei potuto fare a Sam.
«Non esagerare.» dissi con un sorriso nervoso.
«Oh andiamo, vorresti dire che non ci trovi perfetti?» replicò lui con fare lievemente ironico.
«Due perfetti casini, certo!» concordai io col suo stesso tono.
«Si, che fusi insieme ne creano uno straordinario.» ribatté lui con fare fin troppo convinto.
«Ma piantala.» continuai in tono titubante.
«Sono serio, Manu, io voglio creare questo casino straordinario.» commentò lui in tono più serio dei precedenti.
«Perché insisti tanto?» gli chiesi sentendo di nuovo quel nodo alla gola.
«Perché ho bisogno di te.» rispose lui guardandomi diritto negli occhi, i suoi però erano particolarmente lucidi.
«Perché proprio di me? Ci sono un sacco di persone lì fuori, non mi sembra che ti sia difficile parlare con altri.» contestai debolmente.
«Parlare non significa conoscere, si possono dire tante cose senza dire niente.» commentò con una certa calma.
«Non girarci tanto attorno.» protestai io.
«Non ci giro affatto attorno.» ribatté lui velocemente.
«Allora spiegami.» replicai cercando di capire cosa intendesse.
«Non so spiegarti perché ho bisogno di te, so solo che è così.» disse lui abbassando per un secondo lo sguardo dai miei occhi. «Sono sempre stato sorridente, "pieno di vita", ma era solo come volevo apparire.»
«In che senso?» gli chiesi senza capire.
«Nel senso che è da quando è morta mia madre che non provo nulla, vado al lavoro, gioco a basket, ma non ho mai più provato qualcosa di forte.» mi spiegò Sam con fare incerto. «Quando ho visto te ho sentito qualcosa, non era molto forte ma era qualcosa che non provavo da tempo. Volevo conoscerti, sentivo che c'era una connessione tra di noi.»
«Ti piacevo solamente.» commentai io lentamente.
«Non credo sia così semplice. Mi piacevi, si, ma non in modo da pensare di volerti conquistare.» ribatté lui.
«E in quale modo?» continuai io tenendo lo sguardo sul suo viso.
«Nel modo di volerti conoscere, di voler sapere tutto di te, a partire dal tuo colore preferito fino a sapere quanto erano morbide le tue labbra.» disse lui concludendo quel discorso con un piccolo sorriso.
«E l'ultima cosa direi che l'hai scoperta.» ribattei leggermente imbarazzata.
«Già, ma ci sono un sacco di cose che ancora non so di te.» replicò con uno sguardo tanto dolce, io mi imbarazzai di più e tornai ad abbassare il mio sguardo da lui. «Io voglio conoscerti, Manu, voglio viverti.» aggiunse portando piano una sua mano sotto al mio viso e facendo incontrare di nuovo i nostri sguardi.
Io non sapevo cosa dire, ero mentalmente bloccata su quei suoi occhi scuri tanto dolci eppure tanto tristi. Non sapevo cosa fare, ma la cosa certa era che entrambi avevamo bisogno dell'altro per andare avanti.

Un altro giorno... Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora