ILGOP | SPICCHIO SETTE

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Blackout.

Ci fu il blackout di fine giugno.

Il getto di aria calda del respiro di Taehyung calò sulla bocca del bodyguard.

Il cuore di quest'ultimo suonò.
Suoni, a colpi brevi e staccati, scorsero nelle sue vene al subitaneo contatto.

Privi di lume, i due ragazzi si scoprirono soli.

Tornati entrambi dalla terrazza, avevano entrambi adempiuto ai loro doveri; Jungkook era stato fermo come un piolo fuori dalla porta di Taehyung e quest'ultimo aveva fatto qualche crunch laterale al fine di avere un figurino irreprensibile, dalla pancia piatta, domani pomeriggio durante le riprese.

Dopo un'ora o di più, purtroppo, le loro strade si erano dovute incontrate senza deliberata finalità.

A causa di qualche guasto dell'impianto d'illuminazione, nel bel mezzo della stanza i due ragazzi si scoprirono uno di fronte all'altro, esclusi dalla vicinanza altrui.

Qualche geco marrone grigiastro sgambettava sui muri della casa, il tremolio delle ali di qualche zanzara come un molesto rullo di tamburi risuonava nella stanza e i due udivano lo scorrere placido dell'acqua piovana.

Non erano poi così soli.

Inoltre il signor Kitagami, molto presto e molto probabilmente, avrebbe scacciato un grido.

«Odio il buio.» sbottò Taehyung.

Ci volle una torcia.

Sarebbe stato sufficiente quello del telefono.

Taehyung, non sapendo dove fosse il suo di telefono, si portò il bodyguard di fronte a sé con un gesto che costrinse il corpo di quest'ultimo all'immobilità.
Il corvino in modo più che efficace attrasse verso di sé il corpo del più grande, stabilendo le mani sui suoi fianchi affusolati.
Dopodiché, le sue falangi ben modellate s'insinuarono astute sulle tasche posteriori dei suoi pantaloni neri, afferrando con destrezza il cellulare.

Non fu assolutamente opportuno un simile movimento di mani, tanto da serie romance comedy per adolescenti, tuttavia Taehyung se lo sentì di fare.
Un movimento il quale ancora una volta causò l'imbattersi dei loro respiri.

In un primo tempo, Taehyung tenne in mano il cellulare ma poi lo depose sulle mani calde dell'altro.
Jungkook non capì nulla delle azioni del minore e indietreggiò al solito di un passo, stringendo il cellulare dalla schermata lucente sul palmo della mano.
Non voleva sprecare la batteria ma alla fine, meno restio ad usufruire di essa, puntò la torcia verso la porta di legno giovane e si affrettò a raggiungerla.

Sospirò all'idea di ritrovarsi di nuovo il corvino in completa solitudine e si accinse ad uscire dalla camera.

Da un corridoio coperto destinato solo a passeggio, probabilmente una sorta di portico, giunsero voci scomposte e fu lì che il bodyguard si stabilì di condurre Taehyung. Quella casa era vecchia e di conseguenza le voci, che fossero smorzate o alte, si udivano comunque.

I due non proferirono parola e uscirono dalla stanza uno dopo l'altro.
Percorsero il corridoio del secondo piano, il buio del condotto di mattoni in calcestruzzo li inghiottì, e camminarono uno dietro all'altro; il bodyguard con la torcia davanti e poi il ventiduenne dietro a lui.

UNDER YOUR BREATH, TAEGGUKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora