YEOLILGOB | SPICCHIO DICIASSETTE

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«Ora dimmi la verità, Taehyung.»

«Hai avuto una cotta per me?»

•••

«Taehyung.» sospirò il più grande, «A volte qualche rara volta non ti senti sbagliato?»

Jungkook era di nuovo nella città di Yokohama.
Nella bellissima Yokohama.

Era atterrato verso le sette e un quarto di mattina.

Abbracciato Shin-hye, fattosi una doccia, disfatto gli involti i quali si era portato dalla Corea, soprattutto dall'isola dei nonni, quella di Cheonsando, e dormicchiato un pochettino, aveva ricevuto la seconda chiamata da Taehyung (aveva ricevuto la prima chiamata cinque minuti dopo che era giunto nell'appartamento, dopo esser stato accompagnato sempre dal corvino).

Hyung, se non sei stanco, raggiungimi a casa mia.
Hai detto che Shin-hye oggi esce con un'amica, no?
Non voglio lasciarti solo.

Ed eccoli, lì.
Lì, nel salotto del corvino, lei cui pareti vetrate prospettavano sul caldo giardinetto dei ranuncoli e ortaggi.
La luce del sole, illusoriamente bianca, macchiava quasi ogni lembo del salotto.

Era mezzogiorno e Jungkook e Taehyung erano insieme.

Shin-hye era a casa nel mentre si divorava gli snack, come le patatine al gusto gamberi, presi a Busan, e poi anche a Seul, al pyeoneui-jeom, nonché un semplice minimarket.
Inoltre, si sarebbe gustata quelle poche succulente squisitezze della nonna a Cheonsando, come la diversa varietà del kimchi.
Poche, perché ovviamente l'importazione di sostanze liquide o cremose non era consentito.
Alle due di pomeriggio sarebbe uscita con un'amica, sarebbero state nei dintorni del quartiere.

Perciò il fratellone si sarebbe fidato.

Perché di punto in bianco pel di carota sentisse la necessità di domandare al minore se talvolta quest'ultimo si sentisse sbagliato?
Onestamente, n'erano successe di cose a Busan.
E probabilmente, come aveva condiviso i suoi sentimenti durante la prima chiamata a Busan con Taehyung, anche adesso voleva condivere qualche altro suo sentimento.

E chi sa, magari erano successe altrettante cose anche a Taehyung in quei scarsi giorni.

Non ti chiedi mai cosa avresti provato se avessi desiderato o avuto una donna accanto? pensò il ventisettenne Jungkook, ma non fu abbastanza schietto nel domandarlo ad alta voce.
Dunque non si trattava della propria personalità, bensì della sessualità.

«Qualche volta.» rispose solo il corvino.
Talvolta, Taehyung si sentiva sbagliato.

Quest'ultimo aveva risposto distrattamente.

Ascoltava, anzi prediligeva sentire pel di carota parlare fino a perdere la cognizione del tempo, però in quell'esatto istante era indaffarato nel completamento di una schifezza, che da altri era giudicata bella.
Ma solo gli stupidi la definivano tale.
Taehyung effigiava, raffigurava qualcosa di triviale, dunque mancante di distinzione, su un pezzo di legno.

Su un tetragono di mogano, coperto di colla vinilica e gesso acrilico, venivano effigiati grappoli azzurrini della miosotide, o talco celeste, o non ti scordar di me, e rami di melograno e un mucchio di formiche, ubriacone, che si tuffavano in quel po' che rimaneva di un pulcino di piccione caduto dal tetto di una casetta.
Il piccolo di piccione era una macchia di colore contro il resto.
Povero pulcino.
Quelle erano come le formiche di Dalì.
E poi, un languido salice scavato dalle quattro stagioni per chi sa quante volte si concedeva alle beffe del vento.

Era uno strano dipinto quello di Taehyung.

Cercava di essere misterioso, scegliendo le diverse simbologie dei personaggi della sua raffigurazione, cercava di creare del contenuto, ma ciò era penosamente banale e mediocre, come ogni cosa che producesse.
Disgustosamente triviale.

UNDER YOUR BREATH, TAEGGUKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora