Ritrovamenti

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Pioveva tantissimo.

Cosi cercò riparo dentro ad un caffè.

Un'aroma di bevande, galleggiante nell'aria e il sottofondo creato dalla pioggia -che rimbombava tra tavoli e pareti- lo investì in pieno.

Percy perlustrò l'ambiente per trovare posto prima di andare ad ordinare qualsiasi cosa.

Il grande interno era pulito e -praticamente- vuoto, stranamente.

Guardò l'orologio e capì, sarebbero scoccate le sette di sera tra non molto.
Il resto della popolazione era chiusa in casa a mangiare.

Tranne lui, l'idiota che aveva deciso di andare alla sua abitazione a piedi -tipo per la prima volta in vita sua- nonostante le nubi potenti e colme d'acqua presenti in cielo, pronte a scendere solo per non farlo arrivare a destinazione.

Succesivamente il suo sguardo fu catturatto da una ragazza.
Una superstite dentro al bar.
Le sembrava vagamente familiare.

Era seduta, completamente sola e avvolta da una quantità di gocce dalla testa ai piedi e attorno alla giacca grigia, in vena di asciugarsi.
Si trovava di fronte all'ampia finestra che si stagliava a vista Tower Bridge.

Libro aperto sul tavolo e matita appoggiata dietro l'orecchio.
Caffè affianco -probabilmente americano- che forse ogni tre pagine, si portava alle labbra guardando fuori, meravigliata.
Schiena dritta e perfettamente composta.
Smalto nero -o al massimo naturale- e anelli immancabili.
Mossi e ricci capelli biondi portati al lato sinistro della testa.
Sguardo perso nel suo mondo, ma pronta a qualsiasi evenienza.

Senza dubbio, era Annabeth.

La chiamò e lei si girò di scatto, curvando le labbra in un piccolo sorriso di riconoscimento.

Loro erano amici da tantissimo tempo.
Da dieci anni, circa.
Le mancava quella ragazza.
Era da mesi che non si vedevano, pur vivendo nella stessa città.

Percy si sedette con lei e vide Annabeth chiudere il libro con una delicatezza innata, per poi mettere la matita dentro l'ultima pagina letta.

<<Che ci fai qui alle sette di una sera uggiosa di novembre?>>

Vide la ragazza strabuzzare un attimo gli occhi per poi accendere distrattamente il display del cellulare e realizzare la verità.

<<Cercavo riparo e apparentemente ho perso la cognizione del tempo. Colpa della  pioggia e della lettura, mi rilassano troppo>>

Percy non ricordava di amare così tanto il suo modo di descrive gli avvenimenti e il suono della sua voce. Anche nelle minimità.
Però ricordava di aver assistito a vere profonde conversazioni con lei, in cui sembrava una poetessa uscita direttamente da un antico secolo scorso. Con la sua capacità di usare le parole per ogni contesto e l'accento apposito.

<<Certe cose non cambiano mai.
Sei sempre stata una fanatica di pioggia e libri>>
Poi indicò la bevanda al suo fianco <<E di caffeina>>

<<Vero. Come tu sei sempre stato e rimasto un imbranato!>> li tirò un pugnetto sulla spalla.

Non si vedevano da tempo, ma non sembrava essere cambiato nulla tra di loro.
All'inizio un poco di imbarazzo c'era, ma scivolò via subito.
Forse anche a causa dei sentimenti repressi.

<<All'università tutto bene?>> sorrise beffarda <<Ancora problemi a memorizzare la storia?>>

Lui rise di gusto <<Ovviamente. Ma sta andando meglio di quanto mi aspettassi. Te invece?>>

Vide gli occhi grigi di lei -che riflettevano perfettamente il tempo atmosferico- illuminarsi.

<<Io amo l'università! La mia poi è veramente impeccabile. Progettiamo un sacco e riesco ad apprendere più di quanto pensassi. Insomma, fa esattamente per me. Pensa che proprio ieri ho finito un modellino d'architettura d'interni. Ne ero così soddisfatta, cavoli!>>

La ascoltò con interesse, continuando a captare ogni suo gesto.

Quando Annabeth parlava di ciò che la appassionava diventava altamente bella. Di una bellezza pura. In qualche modo riusciva a non farsi staccare gli occhi di dosso.
Era così se stessa. Completamente a suo agio nell'esserlo.

Ed esiste forse, qualcosa di più affascinante?

Percy da sempre trovava la mente di Annabeth attraente.
Anche se, doveva essere un posto al quanto turbolento, per avere una certa perfezione creativa.

Parlarono del più e del meno per quasi un'ora.
Si erano ritrovati e stavano talmente tanto bene insieme, che nessuno dei due voleva veramente andarsene.

Annabeth si sentiva capita e giusta con lui, meno sola.
Percy si sentiva meno inutile e tutte le catastrofi al lavoro iniziarono a perdere peso.

Fu poi Annabeth per prima ad interrompere quella armonia.

<<È tardi, devo proprio andare>>

Si girò per prendere la tote bag e mettersela sulle ginocchia.

<<Sono stata bene. Grazie, Percy>>

Ora si stava alzando e il cervello di lui ebbe un lampo, ma prima disse: <<Anche io. Dovremmo rifarlo più spesso>>

E mentre si salutavano con un movimento leggiadro di mano e Annabeth imboccava le scale, Percy fece la sua mossa.

Riuscì a raggiungere la bionda poco prima che aprisse la porta, e le andò a sbattere letteralmente contro.

<<Ehy! Ma che fai Testa D'alghe?>>

Lo prese per le spalle mentre lui la guardava, realizzando che se avrebbe fallito si sarebbe preso -molto probabilmente-  uno schiaffo dalla ragazza. Ma valeva la pena provarci.

Così, mentre Annabeth rideva senza sosta per la faccia da idiota di Percy -che aveva quando si sentiva in soggezzione- lui le prese il mento tra le mani e la baciò, zittendo la scia della sua risata.

Ed ora, quel caffè, sapeva anche un pò di loro.

Si sentirono come una volta.

Quando ancora frequentavano le scuole superiori e tutto sembrava un oblio, con solo i sogni futuri a tenerli vivi.

Che poi alla fine, i sogni tanto attesi, si erano anche realizzati.

I nostri respiri-Percabeth OneShotDonde viven las historias. Descúbrelo ahora