CAPITOLO 66 - Allineare

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Il mattino seguente ai festeggiamenti matrimoniali, in villa echeggiò il silenzio assoluto. Di fuori, vi erano solo le cicale a frinire tra i rami, lo scorrere degli pneumatici trasportanti nuovi clienti nelle proprie lussuose dimore e il ticchettio di palline da golf che, colpite dai putter, finivano diritte nelle buche di campetti vicini.
A seguito di sofferte confidenze, litri di alcol e danze protratte oltre l'alba, perfino le forti fisicità dei circensi sortirono effetti indesiderati. E fu un lungo letargo.

Il primo, forse, a manifestare segni linfatici sembrò essere Lorenzo che, a causa dell'afa ostinata, si destò alle undici in punto.
D'in piedi, prossimo a lasciare la stanza, teneva la testa compressa in una fascia elastica simile al colore dei suoi capelli e contraeva i muscoli facciali per la forte cefalea.

La colpevole era stata la grappa, assieme a quegli ultimi bicchierini di Amaro Lucano bevuti assieme allo sposo senza cravatta, quando si erano già fatte le cinque del mattino.
Neanche gli piaceva quel liquore, rifletté, intanto che scendeva le scale per dirigersi in cucina.

Aveva uno scopo ben preciso: recuperare l'ibuprofene dalla scatola che Ollie aveva lasciato in via preventiva sul microonde, ordinare per tutti la colazione da consumare al patio, mangiare con gli altri e tornarsene ancora un po' a dormire.

Sarebbe stato bello, però, se più tardi sulle sue lenzuola di puro cotone vi si fosse adagiata anche Scarlett.

Poche ore prima, appena coricatosi a letto, l'aveva immaginata spogliata d'ogni veste. E, come sempre gli accadeva, era una proposizione piacevole e sofferta allo stesso tempo, perché sapeva che tale celestiale visione si sarebbe potuta concretare solo tramite costrizione.
Attendeva, allora, che le si ridimensionasse il timore e le ricrescesse l'affetto, lo stesso che nutriva quando lui era ancora la sua unica salvezza, cosicché potesse cedere di sua sola sponte a qualche minuto d'affetto.

Non voleva giungere a forzarla. O lo voleva, in realtà, ma sapeva che non fosse giusto. Niente, forse, era lecito.

Man mano che si avvicinava al raffinato open space del piano terra, avvertiva farsi più forte un fastidioso picchiettio, come se qualcuno stesse battendo un qualsivoglia oggetto contro il tavolo di pietra con una certa insistenza.
Vista l'indisposizione fisica, quel flebile rumore si acuì inverosimilmente, dandogli l'idea che fosse in corso chissà quale lavoro cantieristico.

«Carissimo! Buongiorno. Ti aspettavo!» Sorriso fresco, viso disteso e riposato, capelli umidi: il capo-cantiere era Sebastian.

Lorenzo, visto lo squillante tono vocalico, quasi sobbalzò e fu costretto ad appoggiare una mano a una mensola per tenersi in piedi e metterlo a fuoco. Vide a stento il biondo, seduto di sbieco intorno al tavolo, a oscillare su una poltroncina che si posava in terra solo con una delle quattro gambe. Era quasi nudo, con un asciugamano racchiuso intorno alla vita per mezzo di un piccolo risvolto; nella mano teneva un bastoncino arancione che Lorenzo non subito identificò, ma che intese potesse essere l'oggetto con il quale gli stava martorizzando l'udito.

«Buongiorno. E perché aspettavi proprio me?» rispose l'italiano con voce afona, avvicinandosi al blister dei miracoli. «Ma poi, ieri? Perché non sei più tornato? Dopo la cuccagna, mia nonna ti cercava per farti vedere i santini che porta sempre nelle tasche.»

«Ho fatto altro» rispose il britannico millantando una letizia forzata, frattanto che riequilibrava la sedia sulla pavimentazione. Poi si alzò e si avvicinò al giocoliere. Lo raggiunse dinanzi al ripiano dove si trovava, proprio accanto ai fornelli a induzione, e tornò a discorrere: «Sai quali sono i benefici di uno che è astemio da tutta la vita? Oltre la piena salute della pancia, si intende».

CarovanaWhere stories live. Discover now