CAPITOLO 16 - Assorbire

5.1K 150 704
                                    



La mangiafuoco si mosse tra le coperte avviluppate attorno al corpo nudo, mentre il sole pian piano sorgeva. Guardava il suo riflesso distorto sul vetro del finestrino, e nello sbadiglio divampato sonoramente vibravano i postumi di una notte difficile.

Condividere il letto con l'ex compagno era stato come vivere un incubo ad occhi aperti e quegli occhi, lei, non era proprio riuscita a chiuderli. Rivisse, nel tempo di un unico cielo oscuro, sette anni di tetri scenari.

Il sole picchiò con un raggio sullo zigomo e, girandosi per sfuggirgli, una leggera sensazione di sollievo la pervase: Lorenzo non era più a digrignare i denti sullo stesso cuscino, sebbene udisse l'acqua della doccia scrosciare e fluire nello scarico. La sua presenza sembrava non togliere più il disturbo, ciononostante, avevano quantomeno ripristinato le solite distanze.

Non avevano previsto di dormire insieme, ma l'italiano era caduto in uno stato narcotico subito dopo aver raggiunto l'acme del piacere. Pertanto, benché l'es le avesse suggerito di strangolarlo e finire in una cella di detenzione a vita, il super io aveva avuto la meglio, immobilizzandole gli arti sotto la pressione della schiena, in attesa della luce.

Auspicava che quella doccia finisse presto. Voleva sentire la porta aprirsi per poi richiudersi; voleva tornare a essere libera di dirsi quanto fosse stata stupida, sciocca, irragionevole a ondulare al ritmo della lussuria con Satana. L'inferno le si appollaiava già sui nervi.

Ma quel rumore, quel fievole cigolio che avrebbe segnato il suo esodo, tardava ad arrivare.

Non arrivò, in verità.
Neanche dopo dieci minuti.
Neanche dopo un quarto d'ora.

Il moro, infatti, dopo essersi asciugato i capelli e aver indossato le rimanenze di alcuni vestiti dimenticati in uno scompartimento sotto il divano, si adoperò con calma a impiattarsi un'insolita colazione proprio lì.

La forchetta di plastica cominciò a battere sul piatto del medesimo materiale e mai, per Layla, vi fu una perturbazione sonora più insopportabile di quella. Più aumentava la frequenza del ticchettio, più accresceva il grume del suo ripensamento. Avrebbe preferito schiaffeggiarsi e percepire le guance erodersi, pur di non flagellarsi nell'intimo.

Il giocoliere masticava il pasticcio di carne e quasi per caso trovò vicino alla teglia un biglietto ripiegato. Lei, seppure stesse evitando di fissarlo, intuì che se ne fosse impadronito dallo strofinio dei polpastrelli sulla carta, e la difesa della privacy fu una motivazione sufficiente ad attivarla e a farla combattere.

Discesa dal letto basculante, la testa le vorticò impazzita per essersi posta in piedi con una certa repentinità. Riacquisito l'equilibrio, riacciuffò la biancheria finita in terra e la indossò alla velocità della luce, senza neppure allacciare sulle piattezze quell'inutile reggiseno, di quell'inutile tessuto stretch, di quell'inutile color grigio perla.

Lorenzo le augurò un buongiorno sommesso, ma Layla non ebbe intenzione di riprendere in maniera pedissequa un tipico giorno della loro relazione, perciò gli si accostò e imperò: «Finisci di mangiare e smaterializzati!»

Le sbandierò un risolino furbo e, incurante dei comandi, si impegnò a leggere il contenuto del foglietto con una vena di spocchia. «"Tutto il contrario: lo hai detto tu. Mi hai supplicato di non farti mangiare e, allora, ho cucinato per te. Buona cena - Io." Da quando hai i cuochi personali?»

«Ma cosa te ne importa! È buono, no? Saziati e non rompermi il cazzo!» controbatté celermente, strappandogli il messaggio dalle grinfie.

«Sei sempre un cesso quando dici le parolacce» inveì con un tono quieto, portandosi un nuovo pezzo di cibo tra le fauci.

CarovanaWhere stories live. Discover now