CAPITOLO 13 - Vestire

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Novembre 2016
Amsterdam, Paesi Bassi

«I fagioli, le zuppe pronte e... oh, sì! Le mele, tante mele. A quanto pare, gli inglesi non conoscono molta altra frutta» fece Layla, con le natiche a poggiarsi sul paraurti anteriore, conteggiando assieme alle dita quanta di quella cibaria servisse per saziare la compagine. «Tredici chili, che dici? Possono bastare?»

«Dipende: Ernst? Ci presterà il furgone?» domandò Oliver, seduto su uno pneumatico ormai consumato e steso sull'erba, proprio nel punto di battistrada dove risultava forato.

Lei annuì. «La sola famiglia Powell ha richiesto due chili di queste e uno di... Williams.»

«E come facciamo a caricarcela nel bagagliaio?» Turbato, il pagliaccio smise di compilare la lista della spesa poggiata sulle cosce. «È un energumeno!»

«Parliamo di frutta, stupidino, non di una tennista.»

«Ah. Per un attimo ho creduto che Saury facesse il tifo per il rovescio e per le gonnelline a pieghe» spiegò, e con la penna segnò su carta ciò a cui l'amica aveva alluso: pere. Un chilo.

In terra olandese, incaricati da Gérard e Melinda, toccò a loro occuparsi della spesa settimanale, e la mangiafuoco, mentre lo guardava rileggere quell'elenco di parole scribacchiate, si rese conto di quanto poco, nel tempo, avesse condiviso quella mansione con il clown.

In genere, lei al market ci era sempre andata con Lorenzo. Ci andò con lui anche quella volta. Quella maledetta volta.
A Minsk.

Lambita dal rammento, si irrigidì e salì velocemente la cerniera del pullover sino al mento, nell'erronea convinzione che potesse camuffarsi, sparire e non pensare. Una sorta di gioco del nascondino, così che i muri degli abiti potessero aiutarla a non essere trovata da quel tipo di dolore che la stomacava.

Vestirsi, però, in quei frangenti sembrò inutile. Il rancido disgusto provocato dai ricordi difficilmente poté essere annientato.
Per non rovinarsi del tutto, allora, provò a concentrarsi sul presente più tangibile, quello che le si apriva nell'esatto momento in cui batteva le ciglia: aveva Oliver di fronte, rannicchiato sul suo impegno, che intonava una canzonetta allegra. Non la distinse del tutto, forse era di Rihanna, ma sperò che non finisse mai. Interiormente, lo supplicò addirittura affinché parlasse di qualcosa, che dicesse anche una delle sue più grandi cretinate, così da non vomitare lì, nello spiazzo tra i camper.

D'improvviso, l'americano sembrò ascoltarla e frenò la scrittura. Preferì vagare in aneddoti lontani. «Quanto era bella...»

«Chi?»

«Namira, la mia compagna della spesa» rintoccò con un sorriso spalancato sulla nostalgia, e Layla si riconobbe in quello stato d'animo pungente, percependosi non più sola.

«Due mesi senza di lei, domani.»

«Due, già.»

«Mi diceva spesso che eri un bandito. Impazziva a starti dietro.»

«Quando ebbi la fase da rapinatore, sì. Mi beccò a rubare un pacco di fazzoletti. Volevo rivenderli.»

«Ma sul serio?» Si riaccese e lo fissò allibita. Ecco, le cretinate del suo Ollie; quelle lenenti; quelle che sciorinava quando capiva che stesse per disgregarsi nei tormenti.

«Non te l'ho mai raccontata?»
Risolino sardonico e la gitana si materializzò nella gradevole birbanteria. «Non so che mi prese, mi eccitava l'idea di diventare un imprenditore di fazzoletti, però non è che la via scelta fosse tanto legale! Quando Mira scoprì la mia assurdità avevamo appena superato le porte scorrevoli del supermercato e stavamo facendo ritorno al tendone. Mi colpì, boom, sciatatac: un ceffone sulla nuca così forte che ancora sento le cinque dita sulle ossa. Mi fece rientrare al negozio per sistemare il casino. Non solo, pensò anche a farmela pagare con il con—»

CarovanaWhere stories live. Discover now