Capitolo 6

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*Un anno prima*

Can

In macchina le continuai a raccontare del mio lavoro, le spiegai che non mi occupavo soltanto di fotografare zone del Pianeta dove la povertà e talvolta la guerra erano di casa, ma che lavoravo anche in redazione o che, dietro segnalazioni, mi capitava di dover pedinare qualcuno per aiutare la polizia a svolgere il proprio lavoro.

«A quanto pare, quindi, sei anche una specie di Agente 007» disse, facendomi ridere.

«Se vuoi, qualche volta ti porto con me» esclamai scherzoso. «L’importante è avere scarpe comode» aggiunsi, facendola sorridere.

«Come queste?» indicò quelle che aveva al piede, più basse rispetto a quelle che indossava il giorno del nostro… scontro.

«Sì, potrebbero andare!» confermai divertito, prima di soffermarmi qualche istante sul suo viso.

Era stupenda quando sorrideva. La divisa e i capelli raccolti le conferivano un’aria più adulta, seria, ma capii che era una ragazza semplice, genuina, con tanta voglia di scoprire il mondo. Mi piaceva parlare e scherzare con lei, era diversa da tutte le altre donne e non amava mettersi in mostra.

«Ti va di rivederci?» azzardai a chiederle, prima che scendesse dall’auto.

Mi guardò sorpresa. Probabilmente non si aspettava la mia proposta. Attesi la sua risposta col fiato sospeso. Ero stato azzardato? Forse era fidanzata?

«Magari un caffè...» mi affrettai a dire per non farle sospettare chissà quale intenzione.

«Sì!»

«"Sì" per il caffè?»

«"Sì" per rivederci» esclamò sorridendo. «Domani sono libera» disse, per poi bloccarsi alcuni istanti. «Ovviamente se tu... Altrimenti possiamo fare un'altra vol...»

«Domani va benissimo. E' perfetto!» confermai subito.

«Alle dieci alla Terrazza dei pescatori?»

«E' il mio posto preferito» ammisi.

«Anche il mio, oltre alla scogliera.»

«Andremo anche lì, allora.»

Non smettevo di fissarla, mentre lei di tanto in tanto distoglieva il suo sguardo dal mio, visibilmente preoccupata che qualcuno potesse vederci.

«A domani!» mi salutò, prima di scendere dall'auto.

«A domani!» ricambiai, osservando poi la sua figura che si allontanava pian piano voltandosi verso di me prima di scomparire del tutto.

Mi guardai nello specchietto retrovisore e mi accorsi di sorridere ancora. Quella ragazza mi avrebbe fatto perdere la testa.

*******

Il mattino seguente, la vidi arrivare da lontano. Indossava dei jeans con delle comode scarpe sportive e un giubbotto giallo. Sorrisi al pensiero che un'altra donna si sarebbe messa in tiro, ma Sanem mi piaceva perché era di una semplicità disarmante e al tempo stesso era bellissima. I capelli sciolti le svolazzavano sulle spalle a causa del vento che sferzava in quella domenica d'autunno. Il sole accennava di tanto in tanto a farsi spazio fra le nuvole nel cielo azzurro, mentre le onde, al di sotto della terrazza, s'infrangevano contro gli scogli creando spruzzi d'acqua che arrivavano, seppure lievi, a bagnare la balaustra.

Notai che volgeva lo sguardo intorno a sé mentre rallentava il passo. Sollevai un braccio e lo agitai per farmi notare. Quando mi vide sorrise e mi venne incontro.

«Buongiorno!» mi salutò.

«Bentrovata! Come stai?» le chiesi.

«Molto bene. Ho dormito come un sasso quindi sono molto carica.»

«Perfetto, perché ho intenzione di camminare tanto, oggi.»

«E dove vorresti andare?»

«Dove vuoi tu, oppure potremmo consumare il marciapiede del lungomare. Lascio a te la scelta.»

«Facciamo che per adesso ci prendiamo un caffè?» propose lei.

«Ti facevo più tipa da tè» esclamai.

«La mattina ho bisogno di carburare.»

«Allora solo un caffè non basta. Ci vuole una colazione come si deve.»

«Meraviglioso, perché ho tanta fame!»

Sorrisi davanti a quell'ammissione.

«Perché ridi?» mi chiese.

«Perché solitamente le donne non amano mangiare.»

«Beh, io sì e, ti dirò, odio le diete.»

«Siamo in due, allora. Avanti, vieni con me!» le dissi, prendendola involontariamente per mano e raggiungendo la caffetteria. Soltanto quando arrivammo mi resi conto che non aveva lasciato la mia mano. Ci guardammo prima di entrare, per poi accomodarci all'unico tavolino libero che, per fortuna, affacciava sul Bosforo.

Ordinammo due caffè, una fetta di baklava, una di kadaif alle mandorle e una fetta di un dolce di loro produzione con confettura di ciliegie. Dividemmo tutto e rimasi stupito nel vedere Sanem mangiare di gusto.

Quella volta fu lei a raccontarmi del suo lavoro e mentre a voce alta sognava di conoscere le più belle città del mondo io fantasticavo immaginando di poterci andare insieme.

Trascorremmo la giornata in giro per Istanbul, parlando di noi, della nostra infanzia. Pranzammo su uno di quei pescherecci sulle rive del Mar di Marmara. Avrei voluto portarla in un vero ristorante ma fu proprio lei ad insistere per mangiare un balik-ekmek (panino con pesce).

«Sappi che non amo i luoghi affollati e tantomeno i ristoranti di lusso» mi disse, mentre prendevamo a morsi quel delizioso panino che tante volte avevo mangiato da solo. «Mi piacciono le cose semplici, quelle che non ti mettono a disagio, quelle che ti fanno sentire te stesso e che, secondo me, sono le più belle.»

Le sue parole mi colpirono. Mio padre me lo ripeteva sempre. E nessuna donna con cui ero stato mi aveva fatto sentire così bene e me stesso.

Quello fu solo il primo dei nostri incontri. Ci davamo appuntamento alla terrazza ogni volta che gli impegni di lavoro ce lo consentivano, altre volte andavo a prenderla all'aeroporto al suo rientro.

In due settimane non riuscimmo a vederci ogni giorno, ma furono indispensabili per capire ciò che provavamo. Io ero attratto da lei non solo fisicamente ma soprattutto per la capacità che aveva di farmi stare bene, di farmi sentire sospeso fra terra e cielo quando le nostre mani si sfioravano. Al di là della divisa, conobbi una ragazza dolce, allegra e divertente che mi mandò completamente in tilt giorno dopo giorno.

Ci ritrovammo, un pomeriggio, a passeggiare per il distretto di Galata.

«Ci saliamo, Can?» mi chiese, indicando la Torre.

Arrivammo in cima e ci affacciammo al parapetto. C'erano soltanto un paio di persone, probabilmente turisti che fotografavano il panorama, che subito dopo andarono via. Il tramonto sul Bosforo rendeva l'atmosfera romantica. Sanem si strinse nel suo cappotto rosa, l'aria si stava rinfrescando man mano che calava la sera. Mi avvicinai e la portai fra le mie braccia, perdendoci entrambi con lo sguardo oltre l'orizzonte. Quando improvvisamente si voltò verso me, i nostri occhi s'incatenarono inciampando in un'emozione senza ritorno. Mi persi nella profondità del suo sguardo e d'istinto, entrambi, ci avvicinammo lentamente fino a sfiorarci le labbra. Il suo profumo mi travolse e mi ritrovai a baciare dolcemente la sua bocca morbida. Sentii le sue mani accostarsi al mio cappotto mentre io la strinsi ancor di più fra le mie braccia, lasciandoci trasportare in un vortice dal quale non ne sarei mai più uscito. Cercai con la mia la sua lingua fino a sfiorarla e lentamente lasciammo che si trovassero e si accarezzassero.

Quel tramonto mozzafiato fu il solo ed unico testimone del nostro primo bacio.

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Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora