Capitolo 28

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Sanem

«Devi dirmi qualcosa?» gli chiesi. Avevo notato che qualcosa turbava Can, a tratti sembrava assente e aveva lasciato parlare solo me quasi tutto il tempo della cena. Il timore di non avermi perdonata ormai non mi sfiorava più, l’avevo percepito dalle attenzioni che non mi aveva mai negato da quando eravamo tornati ad appartenerci. Nonostante a volte io mi sentissi ancora in colpa per non essermi fidata di lui, avevo la consapevolezza che i nostri sentimenti reciproci crescevano ogni giorno di più e non intendevo soltanto l’amore che avevamo sempre provato l’uno per l’altra, o l’amore fisico che ci lasciava ogni volta senza fiato. Il rispetto e la fiducia, sì, proprio fiducia, ci avevano resi complici, ci avevano uniti ancora di più al punto da riuscire a percepire lo stato d’animo dell’altro senza bisogno di parole.

Can poggiò nel piatto il cucchiaino del dolce che non aveva nemmeno assaggiato. «Tra una settimana devo partire» rispose mestamente guardandomi.

Lessi nei suoi occhi una sorta di strana malinconia, mentre io cercavo di rimanere calma in attesa che mi spiegasse.

«E’ per un reportage. E’ stato programmato già da tempo. Quando ho accettato senza esitare ero arrabbiato con te, mi sentivo talmente vuoto e inutile che non m’importava nemmeno di chi mi stava accanto. Dopo il mio ritorno dalla Cambogia non ho mai pensato di rifiutare proposte future, in qualsiasi parte del mondo fossi dovuto andare. Così ho accettato senza remore quest’altro incarico.»

Ripensai a cosa gli era successo proprio in Cambogia e mi resi conto, forse per la prima volta, che ogni missione portava con sé dei rischi. Cominciai a tremare pensando al peggio.

«Dove?» gli chiesi. Non gli domandai perché non me l'avesse detto prima, aveva sicuramente le sue ragioni e non volevo innescare una discussione inutile.

«In Kenya, per dieci giorni» rispose, prendendo le mie mani poggiate sul tavolo. Eravamo seduti l’uno di fronte all’altra. «L’ho saputo questa mattina, la partenza non era così imminente per cui, in questo mese, me ne sono completamente dimenticato. Ho avuto altri pensieri per la testa, occhi color cioccolato a cui pensare, labbra morbide che mi hanno mandato in tilt quasi ogni minuto...»

Sorridemmo insieme. Sapere che non mi aveva nascosto nulla alleggerì il mio cuore, ma dal tocco nervoso delle sue mani percepii una certa agitazione.

«E’ pericoloso?» gli chiesi trattenendo il fiato. Tante volte mi aveva raccontato delle sue missioni, della passione per il suo lavoro, della vita disagiata di popoli che vivevano anche perennemente in guerra. Ma sempre mi aveva raccontato di queste esperienze rendendole meno crude di quanto lo fossero in realtà. L’unica differenza era che prima io non c’ero, per cui non avevo mai vissuto una separazione e l’attesa del suo ritorno.

«Di certo non è un viaggio di piacere in una località turistica. Non sarò da solo, ma con altri operatori di una nota rivista. Abbiamo deciso di collaborare insieme e seguiremo delle linee guida, per cui, in qualche modo, saremo protetti.»

Capii che voleva tranquillizzarmi ma io volevo la verità, per cui insistei a chiedergli che pericolo ci fosse. Anche Can capì che era inutile girarci intorno, che non mi sarei arresa davanti a quella risposta. Si alzò e venne a sedersi accanto a me, lasciando le mie mani nelle sue.

«Diciamo che nella zona in cui andremo saremo scortati da militari. E’ una zona piuttosto pericolosa ma, ripeto, saremo scortati» disse con voce lieve, un po’ per non farsi sentire da altri, un po’ per la dura verità di ciò che lo attendeva.

Nonostante tenessi le mie mani salde nelle sue, tremavo come una foglia. Non immaginavo che quel lato del suo lavoro potesse scuotermi così.

Avvertii una delle sue mani lasciare la presa e accarezzare la mia guancia. Si spinse di poco col suo corpo per donarmi un abbraccio di cui avevo tanto bisogno.

Lasciammo il ristorante a pochi passi dalla Torre di Galata e passeggiammo in silenzio tenendoci stretti.

«Vuoi salire?» mi chiese improvvisamente, interrompendo i miei pensieri che lo vedevano già lontano miglia e miglia da me.

Mi resi conto che eravamo sotto la famosa Torre che per noi aveva un’importanza diversa; il ricordo del nostro primo bacio mi fece sorridere e gli feci cenno di sì. Salimmo fin su in cima, ammirando in lontananza il Bosforo illuminato dalle luci della sera. Le braccia di Can mi strinsero forte da dietro e io mi lasciai andare contro il suo petto coperto dal cappotto. Sentivo di potermi fidare di lui, della sua prudenza, delle sue capacità di portare a termine un reportage restando incolume. Finalmente mi rilassai fra le sue braccia e mi voltai per cercare i suoi occhi, nei quali lessi quanto anche lui avesse bisogno di me, di sapermi forte durante la sua assenza. Capii che non potevo lasciarmi sopraffare dalla paura, più per lui che per me.

Mi sollevai lentamente sulle punte e avvicinai le mie labbra alle sue. Erano calde nonostante l’aria gelida di quella sera d’inverno. Giocai labbra contro labbra, mi piaceva sentirne il sapore lasciandogli semplici e dolci baci. E lui mi lasciò fare, si lasciò coccolare e assaporare delicatamente.

«Voglio stare con te stanotte» sussurrai. «Anche solo per dormire, ma voglio farlo fra le tue braccia.»

Avevo un disperato bisogno di sentirlo vicino. Anche se mancava ancora una settimana, non riuscivo a separarmi da lui.

«Vieni da me, allora!» mormorò, rimanendo sempre sulle mie labbra.

«Cosa dirà Özge?» Improvvisamente ricordai di non aver ancora parlato con lei.

«Dirà di non lasciare slip per la casa» rispose ridendo sommessamente.

Lo guardai incuriosita.

«Ha trovato qualcosa che ti appartiene e ha avuto la conferma che noi due stiamo di nuovo insieme. Me l’ha confidato questa mattina.»

«Che figura!» esclamai, battendomi una mano sulla fronte al ricordo di essermi rivestita in fretta, senza accorgermi, in quel momento, di aver dimenticato di indossare qualcosa. «Chissà cosa avrà pensato!»

«Vuoi la verità?» mi chiese Can con un tono così serio da farmi temere il peggio. Fino ad allora avevo sempre pensato che ce l’avesse con me per aver fatto soffrire suo fratello, perciò ancora non avevo avuto il coraggio di parlarle.

«Sì, sono pronta a tutto» ammisi, pronta a ricevere il colpo di grazia.

«Ha detto che sono un animale.»

Lo guardai basita mentre lui se la rideva.

«In che senso?» domandai curiosa.

«Oh, te lo spiegherà lei! Avrete tanto di cui parlare mentre io non ci sarò.»

«Quindi non ce l’ha con me perché ti ho ferito?» chiesi speranzosa.

«No, al contrario, è davvero felice per noi due.»

«Non sai che peso avevo sul cuore, Can! E’ come una seconda sorella per me e non avrei mai tollerato di averla contro.»

«Io credo che Özge non ti abbia mai odiata. Pensa che non riusciva ad accettare Deren, ha sempre preferito te e non vede l’ora di riabbracciarti.»

Le parole di Can mi rincuorarono e per quella notizia che mi aprì il cuore quasi dimenticai la tristezza di poco prima.

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Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora