Capitolo 41

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*Un anno dopo*

Sanem

Mi affacciai sulla veranda poggiando le mani sulla staccionata ricoperta da veli bianchi. Sulla spiaggia antistante tutto era già pronto da alcune ore. Delle assi di legno di un rovere sbiancato erano state disposte in modo da formare una piattaforma, ai lati della quale, agganciati ad alti pali di legno, vi erano delle lanterne e veli di tulle e nastri bianchi che svolazzavano. Al centro correva un tappeto altrettanto bianco ai cui lati erano state poste delle anfore, sulle quali svettavano delle ortensie, anch’esse bianche, scelte rigorosamente per il loro significato: oltre che per la nascita di un amore, rappresentavano il ritorno di un amore dal passato, ed il nostro, in un certo senso, lo era stato. Rami di edera s’intrecciavano poi tra di loro simboleggiando la fedeltà. Alle due estremità, invece, erano state collocate le sedie per gli invitati, mentre davanti a tutto svettava un arco floreale che sembrava incorniciare l’azzurro del mare.

Sorrisi pensando a Can e che tra poco meno di un’ora sarei diventata sua moglie. La sua proposta era arrivata inaspettatamente, in un pomeriggio di fine estate, nel posto in cui ci eravamo dati il primo bacio…

*******

Eravamo a passeggio con Phil che ogni tanto doveva fermarsi e dire qualcosa di segreto al suo papà, accendendo la mia curiosità. Il loro rapporto non aveva mai conosciuto crepe, sembrava quasi che quei primi anni di vita di Phil non li avessero toccati, anche se sapevo che Can ne soffriva: avrebbe voluto assistere alla nascita di suo figlio, ai suoi primi gorgheggi, ai primi passi… Ma fortunatamente Phil, sin dal primo istante, gli aveva aperto le sue braccia restituendogli la felicità persa in quei tre anni di incertezze, sospeso in un limbo, e donandogli la gioia di vederlo crescere giorno dopo giorno.

Affacciata alla ringhiera in cima alla Torre di Galata, attendevo i miei due uomini che ancora una volta stavano complottando qualcosa alle mie spalle. Mi ero poi sentita toccare una gamba e nel voltarmi avevo visto mio figlio guardarmi tenendo una scatolina aperta nelle mani nella quale brillava un anello.

«Ha detto papà... lo vuoi sposare?»

Ero rimasta interdetta, impalata senza riuscire a muovere un muscolo, con il cuore che aveva cominciato a battere all’impazzata. Continuavo a guardare Phil che mi osservava con quegli occhioni quasi supplichevoli. Davanti a me Can non c’era, per cui mi ero voltata intorno per cercarlo, trovandolo dietro di me, inginocchiato, che guardava la scena sorridendo. Aveva tirato a sé nostro figlio ed io non ero riuscita a trattenere le lacrime.

«E’ una cosa brutta?» aveva chiesto Phil preoccupato, facendoci ridere.

«No, amore. E’ la cosa più bella che potessi desiderare dopo tanto tempo» avevo esclamato, chinandomi anch’io.

«Quindi... Vuoi sposarmi, Sanem?» mi aveva chiesto Can ufficialmente.

«Sì, sì che lo voglio!»

Can aveva preso subito la mia mano infilandomi l’anello ed io li avevo accolti entrambi fra le mie braccia, stampando un rapido e dolce bacio sulle labbra di quell’uomo meraviglioso.

*******

Quella mattina ero stata svegliata dai caldi raggi del sole che irradiavano le pareti della stanza. In realtà, avevo dormito poco e niente, il mio cuore sembrava a tratti una batteria pronta ad esplodere, sentimenti contrastanti mi avevano preso d’assedio: la gioia era inseguita dall’ansia che qualcosa potesse non andare per il verso giusto, la certezza di legarmi per sempre all’uomo che amavo fu accerchiata dalla paura di non essere all’altezza di ricoprire il ruolo di moglie, nonostante convivessimo già da un anno. Ero euforica, elettrizzata ma paranoica. L’agitazione si dissolse nell’attimo in cui avvertii la manina di Phil posarsi sulla mia guancia. Lo guardai, ci sorridemmo e me lo portai fra le braccia. Aveva dormito nel grande letto con me, Can era andato, invece, nella sua vecchia casa, nella quale ci vivevano Özge ed Osman. Dopo il suo ritorno, si era trasferito con me e Phil a Sirkeci dove per noi tre era iniziata una nuova vita fatta di sorrisi e nuovi sogni. Svegliarmi la mattina fra le sue braccia, preparargli la colazione, o trovarla già pronta se lui si alzava prima, osservarlo giocare con nostro figlio o raccontargli una storia, perdermi nei suoi occhi in ogni istante, essere coccolata dopo il ritorno da una trasferta… tutto ciò mi faceva sentire completa, appagata, felice. Alla fine, la sua proposta di andare a vivere insieme si era concretizzata in maniera naturale, quasi scontata, sia per la voglia di trascorrere insieme più tempo possibile, sia per Phil. Entrambi avevano bisogno di conoscersi, di viversi quotidianamente, di recuperare il tempo perduto lontani l’uno dall’altro. E Phil fu ben contento di condividere le sue giornate anche con Can, spesso sembrava quasi che per lui io non ci fossi, era come se sentisse davvero il bisogno di occupare tutto il tempo presente col suo papà. E quando le mie trasferte mi costringevano a restare fuori un giorno in più, sapere che Phil non reclamava la mia presenza costantemente era per me un sollievo, sapere che non piangeva perché con lui c’era Can.

Fu in una delle trasferte all’estero che incontrai Aylin. Non l’avevo più vista, né sentita, tantomeno si era fatta viva lei. L’avevo incrociata per le strade di Milano un giovedì mattina in cui ero in giro per la città in attesa del volo serale per Istanbul. Dapprima tirai avanti, ma qualcosa mi spinse a voltarmi e lei era a pochi passi da me che mi fissava. C'era ancora una domanda in sospeso tra di noi...

«Perché l'hai fatto?» le chiesi severa ma pacata. Non mi aspettavo risposte, avrei continuato per la mia strada, ma lei mi stupì.

«Ero gelosa di tutte voi, invidiosa soprattutto di te perché avevo capito che tu avevi trovato l’uomo giusto, mentre io non facevo che buchi nell’acqua innamorandomi sempre della persona sbagliata. Perdonami, Sanem! Anche se è tardi, io ti chiedo scusa.»

Le chiesi cosa ci facesse in Italia, non che me ne importasse più di tanto, ma forse fui spinta dalla speranza di sentirmi dire che ora viveva lì, lontano da me. Mi disse che si era trasferita un paio di anni prima, aveva trovato lavoro come web designer presso un’importante azienda ed aveva realizzato il suo sogno. Nonostante tutto, fui contenta per lei.

«Non so se riuscirò mai a perdonarti, Aylin, ma ti auguro di essere felice come finalmente lo sono io!» In fondo le volevo bene e il suo pentimento mi era sembrato sincero. Mi abbracciò, ma non riuscii a ricambiare quel gesto. Ci sarebbe voluto tempo per riconquistare la mia fiducia e quella immensa distanza certamente non sarebbe stata d’aiuto.

Nei giorni seguenti ne parlai con le ragazze e Leyla ci confidò che di tanto in tanto loro due ancora si sentivano. Lei l’aveva perdonata, Aylin si era davvero pentita ma non aveva avuto il coraggio di affrontare me. Era consapevole di aver distrutto prima la mia vita e poi la nostra amicizia. Chissà, forse col tempo anch’io sarei riuscita a perdonare quella che era stata la più pazzeschissima delle mie amiche.

*******

Avevamo deciso di attendere il tramonto per celebrare le nozze, ovviamente ci saremmo anticipati in modo da concludere la celebrazione prima che il sole scomparisse nelle placide acque del Mar di Marmara.

Al braccio di mio padre, anticipata dai passi trepidanti di mio figlio, raggiunsi l’arco floreale sotto il quale mi aspettava Can. Occhi negli occhi, ci scambiammo quelle promesse eterne che ci avrebbero uniti per sempre.

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Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora