Capitolo 32

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Ero in trepidante attesa del responso da parte della Scotland Photo, una rivista che si occupava di mostrare all’intero Regno Unito i luoghi più belli della Scozia, invitando tutto il popolo britannico a scegliere come mete di viaggio i paesaggi più suggestivi ed emozionanti di quella Terra. Se quei miei ultimi scatti avessero ottenuto anche l’approvazione della Commissione Nazionale delle Riviste Turistiche, potevo finalmente perseguire ciò che mi appassionava, ossia fotografare gli angoli più remoti del pianeta, lì dove il turismo di massa era assente, luoghi dove la terra era incontaminata e dove poteva celarsi la vera essenza della nostra esistenza, lavorando in contemporanea con una delle riviste di viaggi più importanti di Londra. I miei scatti non sarebbero rimasti nei confini britannici ma sarebbero apparsi sotto gli occhi del mondo intero. Da un po’ di tempo, dentro di me si era fatta largo questa voglia di evadere, di scoprire chi ero, cosa mi faceva davvero stare bene. E in quel momento, nonostante l’ansia per l’attesa, presi una decisione: a prescindere dall’esito della Commissione, avrei iniziato a viaggiare ovunque la mia coscienza mi consigliasse di andare. E come prima tappa avevo già in mente qualcosa.

«Signor Conrad, prego, si accomodi!»

Entrai nell’ufficio del redattore capo e mi sedetti di fronte a lui. Al suo fianco, un membro del CNRT, arrivato direttamente da Londra, mi osservava soddisfatto.

Mezz’ora dopo, uscii dalla Scotland Photo con un attestato di merito e un contratto per la Hidden Places (Luoghi Nascosti), una rivista inglese che collaborava con altre redazioni site in diversi Paesi del continente avente ognuna lo stesso nome ma nella propria lingua.

Fu una soddisfazione per me: sapere di avere delle qualità e delle competenze fu la prima certezza che si affacciava dopo tre anni di buio. Nemmeno del mio nome ero sicuro, tutto ciò che sapevo di me mi era stato raccontato da Cristal, mia collega, nonché mia amica da anni a detta sua. Mi ero fidato subito di lei, sembrava davvero conoscermi a fondo e mi era stata vicino costantemente al mio risveglio dal coma, ospitandomi a casa sua dove ero rimasto a vivere. Condividevo con lei un appartamento che avrebbe potuto ospitare una famiglia numerosa, ognuno aveva i propri spazi e dividevo con lei le spese. Non mi aveva mai permesso di andarmene via e in fondo a me faceva piacere la sua compagnia, benché già da tempo avessi capito che da parte sua c'era per me un interesse diverso, ma, per quanto fosse una bella donna, dolce, sensibile, il mio cuore non ne voleva sapere di innamorarsi di lei. Ero rimasto lì, nella sua grande casa, per non sentirmi ancora più solo di quanto fossi... senza il mio passato.

Prima di rientrare, mi fermai, come spesso accadeva, su una delle panchine del parco pubblico non distante da casa. Mi piaceva trascorrere del tempo lì, osservare la gente, i bambini che giocavano e urlavano, anziani che si godevano la pace di quelli che potevano essere gli ultimi istanti della loro vita, mentre io mi paragonavo spesso ad un bambino di 3 anni che non aveva una vita precedente. L’unica differenza era che io una vita ce l’avevo avuta ma non la ricordavo, anche se ultimamente era come se dei flashback si affacciassero alla mia mente: arrivavano all'improvviso, come dei dejavu, lasciandomi dentro una forte sensazione di smarrimento. A quanto pareva, però, non avevo parenti e quei pochi amici che avevo ritenuto tali erano svaniti nel nulla non avendo più un passato da condividere con me. Come mi aveva detto Cristal, non erano da definirsi amici se mi avevano abbandonato a me stesso dopo l’incidente, ossia l’esplosione di una bombola di gas che aveva incendiato e distrutto letteralmente la mia abitazione, causandomi uno stato di coma di due mesi. Per fortuna lei si era presa cura di me, raccontandomi su per giù chi ero io, ed era riuscita a farmi entrare alla Scotland Photo declamando le mie qualità di fotografo. Sempre da lei, ero venuto a conoscenza che nella mia precedente vita scattare foto era il mio hobby ma che non avevo mai voluto esporle, ritenendole un qualcosa di troppo personale per venderle a qualche rivista. Mi aveva raccontato che non avevo un lavoro stabile, mi arrangiavo come potevo e che trascorrevo la maggior parte del mio tempo a scattare, appunto, foto o a studiare lingue. Infatti, mi ero reso conto di conoscere, oltre all’inglese, anche l’italiano e il turco. Mi ero sempre chiesto perché mai proprio il turco, che tra l’altro parlavo fluidamente, quasi meglio della mia lingua madre.

Mi alzai dalla panchina e i miei occhi si sollevarono istintivamente al cielo. Sorrisi per quella ennesima coincidenza: ogni volta era come un richiamo, gli aerei mi attiravano catturando tutta la mia attenzione. Dentro di me sentivo come delle scosse, quegli uccelli di metallo mi davano una sensazione di libertà e una voglia di vivere che nient’altro riusciva a darmi.

Chiusi gli occhi e rivissi una scena che avevo già visto due volte in quegli ultimi dieci giorni proprio dopo essermi fissato a guardare degli aerei: lo scontro con una giovane donna con la divisa da hostess, io che l’afferravo per non farla cadere e i nostri occhi che non smettevano di fissarsi. Quegli stessi occhi che da quattro notti erano protagonisti dei miei incubi. Sognavo uno scoppio improvviso, io che venivo sbalzato a metri e metri di distanza mentre l’angoscia e la paura prendevano il sopravvento. E poi vedevo quegli occhi color cioccolato che mi sorridevano e mi davano pace, come un faro nella notte a rischiarare il buio che mi avvolgeva.

“Chi sei?” mi chiesi, cercando di scavare dentro me, ma invano.

Tornai a casa, per la prima volta frastornato. Mi chiedevo se tutti quei flashback fossero degli indizi per il recupero della mia memoria, non ne avevo parlato con Cristal, non perché non mi fidassi ma perché non volevo darle false speranze, e non era detto che erano ricordi del mio passato.

Nell’aprire la porta sentii la sua voce, stava parlando con qualcuno, ma la cosa strana fu sentirla parlare in turco fluentemente. Cercai di non far rumore e mi appostai dietro la porta del suo studio…

«Non ci sarà bisogno dell’anonimato, le foto saranno a nome di Austin Conrad, nessuno sospetterà mai.»

“Cosa significa? Con chi sta parlando di me? E per quale motivo le foto devono essere anonime?” pensai, mentre continuai ad origliare.

«D’accordo, Metin, organizza il viaggio, ma ricorda che lui non sa chi sei, né si ricorda di se stesso, per cui cerca di fare attenzione.»

Mi stavo innervosendo, cosa mi stava nascondendo Cristal?

«Lui sta bene, è sereno, anche se ogni tanto lo vedo assentarsi e questo mi fa paura.»

Non mi accorsi di sporgermi troppo e la porta dello studio si spalancò rivelando la mia presenza. Cristal mi guardò basita e immediatamente chiuse la telefonata.

«Mi spieghi cosa sta succedendo? Da quando parli turco? Voglio la verità. Chi sei? Chi sono io?»

Richiusi la porta e vidi il suo viso impallidire.

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BUONASERA, NON SONO SOLITA SCRIVERE A FINE CAPITOLO MA VOLEVO FARE ALCUNI AVVISI: MANCANO SOLO 10 CAPITOLI ALLA FINE DELLA STORIA E DA DOMANI SARÀ TUTTO IN DISCESA. PIAN PIANO SCOPRIREMO TUTTO CIÒ CHE È SUCCESSO, FORSE PER ALCUNE COSE DOVRETE ASPETTARE DAVVERO GLI ULTIMI CAPITOLI MA DI UNA COSA DOVETE ESSERNE CERTE: A ME PIACCIONO LE STORIE A LIETO FINE 😉
VI ABBRACCIO TUTTE!

Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora