I

241 24 160
                                    

Stiracchiai il foglio tra le mani subito dopo essermi seduta sul sasso più grande nella riva del ruscello. Mi schiarii la voce, pronta a ripetere la poesia e incurante degli schizzi d'acqua che mi finivano sui pantaloni marroni, o sulla camicetta avorio. La sapevo a memoria, già da tempo in realtà, ma amavo recitarla di tanto in tanto. I miei genitori la raccontavano come una preghiera ogni sera, e io li seguivo, con fierezza.

«Dalle meteore la storia ebbe inizio» recitai. «Eh già, tutto partì da un supplizio.» Distruzione... distruzione sarebbe stata la parola più appropriata, ma avrebbe spezzato l'armonia della frase. Come dicevo sempre, la poesia non era altro che una canzone privata della sua musica. «Inverno, Autunno, Estate, Primavera, in quattro Regioni divise l'area una barriera.» Feci una breve pausa. «Barriera perché dire foresta piena di mostri assassini era troppo spaventoso» aggiunsi. Un manto di brividi mi ricoprì le braccia, e non per le temperature fredde dell'Autunno, dato che noi abitanti a stento le percepivamo, ma per l'immagine che mi si proiettò nella mente. Un muro di alberi neri, di rovi intrecciati in artigli maligni, occhi rossi scrutatori, respiri gelidi come la morte. La Foresta Proibita divideva le quattro Regioni dell'isola, e la cosa più terrificante, oltre la natura secca che la ricopriva e la perenne nebbia che la impregnava, era il fatto che fosse popolata da mostri, i Macchiati. Esseri ripugnanti, animaleschi, malvagi. In effetti, Leaf era esposta al pericolo di assalti da parte dei Macchiati che uscivano dalla Foresta Proibita più di altre cittadine d'Autunno, nonostante non avvenissero attacchi da mesi ormai. Deglutii a stento e ripresi a guardarmi attorno, come se quell'esplosione di rosso potesse rendere il mio respiro regolare. «Stai tranquillo, le Guardie dell'Alba non permetteranno a nessun Macchiato di arrivare fino a qui» dissi, senza ricevere risposta. Eravamo al sicuro lì, anche se il bosco era davvero, davvero vicino al confine, e...

Un nitrito. Finalmente mi considerava. Lanciai uno sguardo veloce al puledro che si era appena steso a qualche passo da me, sopra a un letto di foglie cadute. Se non avessi saputo che fosse lì, legato al tronco, probabilmente non l'avrei nemmeno visto. Il suo manto marrone aranciato era come un mantello dell'invisibilità in qualsiasi bosco d'Autunno, se non fosse stato per la macchia bianca sul muso che ricordava una foglia d'acero.

In Autunno, ogni albero sembrava sul punto di emettere l'ultimo respiro. Faggi, frassini, castagni, aceri, querce... Alcuni rimanevano con le braccia spoglie e intricate verso il cielo, ma la maggior parte di loro era colma di foglie dalle sfumature rosse, arancioni, gialle e marroni. Come un pittore che aveva perso tutti gli altri colori primari. Persino il cielo non era mai azzurro, e nemmeno l'erba verde brillante.

Il puledro mi stava guardando. I grandi occhi tondi e tendenti al nero mi scrutavano con attenzione. «Volevi che continuassi la poesia, non è così?» chiesi. Lui fece un respiro pesante, ne seguì un piccolo cenno con il muso lungo. «Bene» mormorai, mordendomi il labbro inferiore, grosso e morbido, perfetto per essere torturato dai denti. «Mi fa piacere che ti incuriosisca» aggiunsi. «Impareremo a conoscerci, sai?» Stavo provando a rincuorare lui, o rincuorare me?

Il puledro non aveva ancora un nome. Mio padre lo aveva giusto adottato in giornata, "una sorpresa per un giorno speciale". Avevo sempre desiderato un animale con cui condividere tutto, però lui... lui sembrava diffidente. La poesia, vuole ascoltarla, sbrigati Rhea, pensai.

«Stavo dicendo...» Emisi un sussurro e sfregolai l'angolo della pagina con le dita, come se quel contatto, così ruvido e fragile mi permettesse di continuare. «La Foresta Proibita a segnarne i confini, ma gli avventurieri che la calpestarono divennero abomini.» Ecco che li immaginai proprio davanti a me. Alti tre metri, colmi di zanne e peli unti, dalla bava che colava sulle foglie secche, gli artigli che ne spezzavano altrettante. Dannata immaginazione. Gli abomini, i Macchiati, non erano altro che persone comuni che avevano avuto la pessima idea di superare la Foresta Proibita. Questo perché l'armonia, la pace, imponeva che ognuno rimanesse nella propria culla di nascita, nella propria Regione. Andarsene equivaleva a macchiarsi il sangue di altra magia, una maledizione che portava solo alla perdizione. La macchia induceva il corpo a sfregiarsi e deformarsi in tratti animaleschi, la personalità veniva annientata dall'unico istinto di uccidere, fare a pezzi la pace, istigare guerre contro i Reali delle Regioni e contro il Signore del Mattino, il nostro dio.

Il segreto delle StagioniWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu