«Sto bene.»

Un nitrito all'apparenza dolce, sommesso, simile a un gorgoglio, ma che nascondeva pura preoccupazione.

«Giuro, Nat, sono solo svenuta.» Come se quel "solo" potesse in qualche modo tranquillizzarlo. Il cavallo tenne le orecchie alte e rivolte un po' all'indietro, nella speranza di sentirmi parlare di più dei miei sentimenti. Feci una smorfia e mi guardai intorno, godendomi la brezza fresca che mi sferzò il viso. «È proprio una bella giornata, oggi» ammisi. La temperatura era più mite del solito, le nubi cineree coprivano il cielo e lasciavano al sole una parvenza più simile alla luna: bianca e accecante. Ma del resto non c'era la nebbia, solo una leggera pioggia, così fine da non aver alcun effetto rilassante.

Indossare i miei comodi indumenti aiutava a placare quel senso di malessere che mi attanagliava. Pantaloni a quadretti, stivaletti usurati, il borsellino con le poche gemme che mi portavo appresso, gli indiscussi guanti alle mani e la camicetta arrotolata fino i gomiti con sopra il corsetto marrone per contenere i fianchi, ma più arieggiato rispetto all'abito d'epoca. Il Signor Thompson, per quanto burbero fosse, aveva insistito nel chiamare Nat piuttosto che farmi tornare a piedi. In fondo, più che un passaggio, avevo bisogno di compagnia.

«Ti sei divertito con i tuoi fratelli al campo?» gli chiesi, stringendo la corda tra le mani, come per riprendere il controllo del mio corpo.

Il cavallo mosse la lunga criniera scura con un cenno del capo e sbuffò, senza smettere di camminare. Stavamo percorrendo la via principale di Leaf e gli zoccoli di Nat producevano un rumore rilassante e regolare a contatto con i ciottoli. Alle nostre spalle, il gruppo più attivo della città stava allestendo la piazza per la Notte del Macchiato. I negozi erano già chiusi, le famiglie stavano rincasando, pronte a lasciare i propri bambini a casa da soli.

Mentre Nat mi portava a destinazione, ammirai il paesaggio. Leaf era un borgo pittoresco, uno dei più artistici d'Autunno, tant'è che attirava parecchi pittori, poeti e cantautori fin da epoche lontane. Fallenaf Street in particolare era contornata da case strette e lunghe, tutte adiacenti l'unica con l'altra. Le facciate assumevano colori omogenei e selezionati alla perfezione: dall'intonaco panna, a sfumature più rosate, fino all'arancione tramonto e al verde spento. Passammo di fianco a un gruppo di cittadini che stavano attaccando i festoni a suon di martellate sulle travi in legno scuro che conferivano forme geometriche alle pareti esterne delle case.

A dare un'aria ancora più fiabesca alla cittadina erano i tetti spioventi, dalle punte aguzze che svettavano verso il cielo e dalle tegole rigorosamente rosse o marroni. C'era una forte rigidezza nell'architettura, ma quell'omogeneità era piacevole agli occhi e dava serenità all'anima. L'equilibrio visivo di colori e forme che richiamava la pace perenne di Meteri. Apprezzavo soprattutto le zucche appostate sui davanzali delle finestre. Nulla in confronto alle montagne scolpite dal Popolo delle Grotte in Inverno, loro sì che erano dei veri e propri talenti nell'architettura, ma sicuramente meglio delle capanne improvvisate dei Floreali in Primavera, o dei popoli dell'Estate che vivevano lungo i fiumi. D'altronde, l'Autunno era l'unica Regione civilizzata nella sua interezza, tutte le altre Stagioni erano composte da due specie diverse, e una di quelle era animalesca, rozza e selvaggia, come il Popolo delle Nevi dell'Inverno o i Desertici dell'Estate. Gli Arborei della Primavera, nonostante vivessero e dormissero incorporati agli alberi, da quello che avevo studiato erano piuttosto intelligenti. Davano solo priorità diverse e avevano un modo di comunicare che noi civili non potevamo comprendere. Non ero neanche certa che parlassero la lingua Meteri.

Nat fece un piccolo saltello per riportarmi alla realtà, e il colpo fu così inaspettato da esser costretta ad aggrapparmi al suo collo per non scivolare giù. «Nat!» lo rimproverai. «Sai che il mio equilibrio è precario, non giocarmi 'sti scherzi!» In quei dieci anni si era davvero alzato ed era difficile mantenere salde le gambe sui suoi fianchi. Brontolò, arrestando il passo. "Siamo arrivati" mi stava dicendo. Raddrizzai la schiena e mi girai. La porta sgangherata e l'insegna legnosa, con inciso il disegno di un letto, percossa dal vento.

Il segreto delle StagioniOnde histórias criam vida. Descubra agora