La piazza era esagonale e presentava una sola uscita, Fallenaf Street. Contornata da edifici incastrati alla perfezione, artigliati dall'edera, e che accoglievano i negozi più rinomati, come quello dei gemmari: i custodi delle gemme dorate degli abitanti di Leaf. I ciottoli carminio si diramavano per la piazza, aggrappandosi anche alla fontana centrale su cui ero seduta. L'acqua sgorgava dalla torretta, creando un effetto a cascata sinuoso e rilassante.

Leaf era la cittadina delle opere d'arte, ma, più in particolare, dei mosaici. Così, mentre aspettavo che la piazza si gremisse, fissai quello appeso al campanile. Le gemme del colore assumevano la tonalità che l'artista ordinava, per magia, e in quel momento rappresentavano il simbolo d'Autunno, la foglia d'acero. Arancioni, ma con qualche screziatura più scura, tendente al marrone e al nero, per delinearne i confini. Il quadro di ieri era diverso, più articolato. Raffigurava la costa ovest d'Autunno, il mare che si infrangeva negli scogli, con i raggi di un sole dorato che i miei occhi non avevano ancora assaporato. Però, ogni volta che c'era una festività, il mosaico tornava a rappresentare la foglia.

Guardai l'ora dal campanile, le lancette fisse sulle sette di sera. Ero arrivata presto alla Notte del Macchiato, tant'è che il tramonto si specchiava ancora su Leaf tramite le nuvole, irradiando colori sanguinolenti sulle pareti delle case, sui tetti spioventi, e anche su di me. Una miscela che racchiudeva le sfumature d'Autunno e che rendeva il tramonto, il momento che fondeva terra e cielo.

Dopo essermi fiondata in doccia e scrostata il sangue di dosso, mi ero preparata in fretta, indossando l'unico abito da cerimonia che custodivo nel baule sotto il letto. Speravo in qualcosa di più sfarzoso, per far sì che il Signore del Mattino mi notasse tra la calca, ma non avevo sufficienti gemme dorate per permettermelo, e la madre di Julien era troppo magra per potermene prestare uno dei suoi. Così mi accontentai, e sperai che il mio anticipo fosse un segnale eloquente.

Mi torturai le mani, protette dai guanti da sera che, a differenza di quelli da giorno, erano più grossi per proteggermi dalle temperature che pian piano calavano. Nonostante noi Autunno reggessimo il freddo giornaliero, quello notturno era molto meno tollerabile. Infatti portavo il mantello e lo maledicevo ogni istante proprio perché copriva l'abito, spegnendo la sua luce.

Il vestito avorio aveva due buchi per lasciare le spalle scoperte, ma il petto chiuso non permetteva alla pietra rossa di essere visibile. Negli orli erano cucite piccole frappe che rendevano l'abito più elegante, discostandolo da ciò che era in realtà: uno straccio rappezzato. Il corsetto esterno, marrone, mi fasciava la pancia, aiutandomi a nascondere le forme, aggravando però lo stato d'ansia che mi attanagliava lo stomaco. Il Signore del Mattino mi aveva dato un appuntamento dopo la festa. Lui voleva vedermi in privato. E io, dato che desideravo che mi notasse, mi ero seduta sul punto della fontana più vicino al palchetto che avevano allestito per l'occasione.

Il sole sparì e il buio inghiottì la brillantezza dei colori, lasciando la piazza illuminata dalle gemme della luce infilate nelle ampolle di vetro, in cima ai pali luminosi. La piazza iniziò a popolarsi, la folla brulicante creò un vociare indistinto, simile al borbottio del fuoco. Solo messi così vicini, era evidente la somiglianza tra noi Autunno. I capelli di diverse sfumature di rosso, arancione e castano, così come gli occhi e la quantità variabile di lentiggini. L'unico modo per spiccare erano i vestiti, gli stili diversi degli abitanti davano un margine di personalità. Io amavo camicie, corsetti e pantaloni, mentre altre portavano ancora le gonne di diversa lunghezza e gonfiore, proprio le stesse che indossavamo quella sera. In base al vestito, si riconosceva il ceto d'appartenenza.

Leaf era un paesino piccolo e umile, le famiglie di alto lignaggio si contavano sulle dita di una mano. Come il signore e la signora Richleaf, appena arrivati in piazza. Si erano arricchiti grazie all'invenzione della moglie, anche se tutti adulavano il marito. Le donne non ricevevano alcun merito in un paesino così bigotto. Era un macchinario per raccogliere le zucche senza l'utilizzo della manodopera, ma sfruttando unicamente il potere della gemma della vita. In una sola settimana, il commercio di zucche aveva registrato un'impennata stratosferica, portando la famiglia Richleaf a potersi permettere così tante gemme della vita da animare l'intera casa, cosa buffa dato che persone umili come me non se ne potevano permettere neanche una. Da modesti, si erano trasformati in dei veri e propri pavoni. Loro, insieme alle altre famiglie nobili, erano gli unici a non indossare il mantello, perché avrebbero sofferto pur di non rimanere nell'ombra. Così scandagliai con lo sguardo i presenti, giocherellando con l'orlo dei guanti. Eleganti abiti in velluto, marezzati e sfoggiati come opere d'arte, gonne vaporose a vita alta, che arrivavano addirittura sotto il seno. Scollature quadrate, alcune rotonde, ma tutte generose, a differenza della mia. Ogni mano era agguantata come segno di raffinatezza.

Il segreto delle StagioniWhere stories live. Discover now