Il Macchiato aprì la bocca, e la miscela salivosa gli fece scintillare i denti ricurvi come quelli di un serpente. Colò sul pavimento, creando chiazze melmose e verdastri. Muso lungo e ingobbito, occhi rossi come rubini, sottili pupille verticali. Si raddrizzò, scrollando il manto di unti peli neri, finendo su due zampe. Era così alto da sfiorare il soffitto con il capo. Le orecchie da lupo girate verso di me. Si inoltrò nella camera, facendo stridere gli artigli che spuntavano dalle zampe ferine.

Le mie viscere si contorsero e un senso di nausea mi stordì, chiudendomi la gola. Il fiato sospeso in aria, la mano congelata sulla maniglia, il corpo impietrito dalla paura. Dietro di me, Barney era ancora avvolto nel sonno magico e nemmeno il fragore dei vetri lo svegliò. Una zampata finì su un cumulo di frammenti della finestra, che scricchiolarono sotto il suo peso. La belva ispezionò la stanza, annusando l'aria. Quando i suoi occhi scellerati incapparono nei miei, smisi di respirare. Avrei dovuto aprire la porta? Avrei dovuto gettarmi su mio padre per evitare che lo colpisse? Avrei dovuto attaccare il mostro per prima? Certo, se fossi stata una combattente lo avrei fatto, ma la cosa che più mi riusciva bene era scappare. Il Macchiato proseguì di altri passi, il suo sguardo sempre più famelico. Poi si bloccò quando scorse il corpo addormentato di Barney. Strinse le palpebre e rivelò di nuovo le zanne, facendo colare la bava acida. Colsi in lui un barlume di fame.

Mio padre. Lo avrebbe ucciso. Gli avrebbe squartato la pancia, mangiato le interiora e lui non avrebbe avuto modo di reagire, non nel sonno in cui lo avevo indotto.

«Di qua!» gridai. Il Macchiato girò il capo, una freccia appena scoccata. Le pupille gli si dilatarono tutte d'un colpo, come se il mio urlo lo avesse appena istigato ad attaccarmi. Si rimise a quattro zampe, pronto a balzarmi addosso. Aprii la porta e saltai nel corridoio, poco prima di sentirmi addosso il suo fiato putrido. Mi rifugiai dietro la porta, ansimando e lasciando che il Macchiato slittasse sul corridoio per il forte slancio con cui era partito all'attacco. Richiusi la camera di mio padre, girando frettolosamente la chiave, e rimasi nel corridoio, illuminato da sole due gemme della luce. Vidi il mostro cercarmi in fondo al corridoio. Alla mia sinistra c'era l'atrio sgangherato, la fuga, la salvezza. Avrei dovuto fare uno scatto felino, raggiungerlo e uscire fuori, ma, con soli due balzi, il Macchiato mi arrivò di fronte. Ruggì, l'alito caldo e fetente mi si spezzò in faccia.

Prima che mi bloccasse alla parete, scivolai per terra e iniziai a gattonare verso l'unica via di fuga, sgomitando sulla moquette rossa della casa di riposo, strisciando la pancia e le ginocchia come fossi un verme. Lui ruggì, seguito da un borbottio che sembrava quasi divertito. Quando il calore del suo corpo infiammò il mio, il sangue mi defluì dal volto, la testa girò. Le sue zanne mi afferrarono la camicetta, sollevandomi da terra, braccia e gambe che non toccavano più il pavimento. Era solo un gioco per lui. Lo sapevo bene. I Macchiati, prima si divertivano con le prede, poi le squartavano privandole della vita e donando loro una morte atroce, sofferente, spietata.

Gridai, nella speranza che qualcuno venisse in mio soccorso.

Gli abitanti di Leaf lo avevano visto passare per la via principale, di sicuro i Sorveglianti stavano accorrendo per ucciderlo.

Il Macchiato iniziò a scuotermi come fossi un oggetto, facendomi sbatacchiare in un lato e nell'altro del corridoio. Anelai, cercando appigli con le mani, e scalciando alla cieca. Mi muoveva così freneticamente che il senso di nausea non mi permetteva di pensare né di vedere ciò che mi circondava. C'era un mobiletto, poco dopo l'entrata, dove Malvina lasciava le chiavi delle stanze e un foglio con gli orari dei pasti. Gliel'avrei lanciato addosso se solo mi fossi riuscita a liberare dalla sua morsa. La vista annebbiò, un groppo di bile mi artigliò la gola. Serrai le palpebre, continuando a strillare con forza.

Il Macchiato mi lasciò cadere a terra in un tonfo secco. Mi riparai la faccia con gli avambracci e subii il colpo contro il pavimento come una mazzata in pieno stomaco. Riaprii gli occhi, ritrovandomi al buio, nell'ombra dell'enorme corpo della belva. Trattenni il respiro e mi sforzai a mantenere la concentrazione sulla ruvidezza della moquette, sul pulsare incessante del polso destro e sui lividi che sicuramente mi ricoprivano gambe, braccia e fianchi. Il mostro emise un altro verso e iniziò a pungolarmi, spingendo il muso sulla mia schiena, come se desiderasse che reagissi.

In quel momento, ricordai. C'era una cosa che ci avevano insegnato a scuola, nel caso estremo di uno scontro con un Macchiato: fingersi morti avrebbe fatto guadagnare tempo. Così ci provai, ma era impossibile ignorare i suoi spintoni sulla schiena e sulle gambe, il suo tentativo di girarmi con le zampe, gli artigli che mi perforavano gli indumenti. Strinsi i denti e pregai il Signore del Mattino che mandasse i suoi figli, le Guardie dell'Alba. Loro mi avevano salvata dal Macchiato nella Foresta Proibita dieci anni fa. Lo avevano ucciso davanti a me. Ricordai i suoi occhi privarsi di vita e diventare vacui, la larga bocca aprirsi, mostrando la sfilza di denti aguzzi, le membra cedere e il corpo afflosciarsi sull'erba secca. Ti prego, Signore del Mattino, aiutami.

Cercavo di mantenere i muscoli rilassati per apparire morta, ma rimanevano tesi e duri come la roccia. Nonostante ciò, con una forte zampata sul fianco, il Macchiato riuscì a girarmi. Mugugnai per le scariche di dolore che ne seguirono. Espirai con potenza, come se mi avesse appena strappato l'ultimo respiro, e premetti il punto colpito. C'era del sangue sulla camicetta e sul corpetto marrone. Del sangue.

Il muso del Macchiato si avvicinò al mio volto e mi annusò. Assaporò il terrore, il sudore che mi imperlava la pelle sbiancata, e il vomito che avevo appena rigettato sul pavimento. Provai a indietreggiare con i gomiti, ma lui ringhiò. Gli occhi scarlatti erano carichi di livore. Nel suo ringhio riuscii a immaginare il suono del mio collo che si spezzava, la mia anima scivolare via con il sangue che sgorgava dalle ferite. Immaginai mio padre vedermi resa a brandelli in una pozza rossa e accesa, come quegli occhi che mi stavano promettendo morte certa. Dieci anni fa, entrando nella Foresta Proibita, avevo firmato il mio destino. Sarei morta per mano di un Macchiato perché quel giorno era stato Nathaniel a morire, non io. Ricordai la Rhea quindicenne presa da spasmi incontrollati per i pianti, con gli occhi sempre gonfi e arrossati. Lei sarebbe voluta morire al posto di Nathaniel. Ora invece la sopravvivenza era tutto ciò che desideravo.

Ingoiai un altro conato e cercai di tastare il pavimento alla ricerca di qualcosa. Niente. Niente da usare contro il mostro. E quando aprì le fauci, chiusi gli occhi e provai a rilassarmi.

Lo stridio dei denti del Macchiato a un soffio dal mio volto. L'olezzo del suo fiato a nausearmi. Credetti fosse tutto finito quando un abbaglio fendette l'oscurità. Un faro bianco con sprazzi dorati che si riverberavano nel corridoio. Trasalii e, quando riaprii gli occhi, la bestia non era più sopra di me. Si era fiondata su qualcosa di diverso. Qualcosa di estremamente puro e lucente. Qualcosa di misericordioso e che aveva appena aperto la sgangherata porta dell'atrio. Dovetti ripararmi gli occhi con un braccio per riuscire a scorgere la figura eterea e, quando capii, trattenni il respiro.

 Dovetti ripararmi gli occhi con un braccio per riuscire a scorgere la figura eterea e, quando capii, trattenni il respiro

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SPAZIO AUTRICE

Un luce eterea *tosse* chissà *tosse* chi è.

Capitolo a sorpresa dato che questa settimana avevo già pubblicato 😉🤗
Spero di aver fatto contento qualcuno!

Dato che questo capitolo è molto corto, ho deciso di fare così.

➡ Ovviamente aspetto i vostri commenti ⭐❤️🔥

Per aggiornamenti vari seguitemi su ig: @chiaralotti_autrice ✨

Il segreto delle StagioniWhere stories live. Discover now