Dieci anni dopo

C'era un tempo in cui l'Autunno era ammirato per la sua profondità perché gli abitanti erano a stretto contatto con l'animo umano, con le emozioni. Una caratteristica difficile da trovare in Inverno, ad esempio, dove vigeva rigidezza e crudeltà. Ma si sbagliavano. Anche l'Autunno sapeva essere spietato, sapeva privarti di ogni cosa. A Leaf soprattutto, dove i Sorveglianti avevano la meglio sulla giustizia, dove si veniva presi di mira per qualsiasi frivolezza, dove il confine tra giusto e sbagliato era talmente manipolabile da essere quasi sbiadito. L'Autunno era la Stagione della vita e della morte, della perenne incertezza, del passo prima dell'oblio, della malinconia del vivere. E sì... adoravamo la pioggia e c'era del romanticismo in questo, ma veniva presto soppiantato dal senso di solitudine. Ebbene, seppur le emozioni fossero la nostra magia, la maggior parte degli Autunno si chiudeva in sé stessa, divenendo più simile agli Inverno di quanto lo si dicesse. E forse anche io stavo diventando come loro perché quei guanti... non li avevo più tolti in pubblico da quando ero entrata nella Foresta Proibita. Nessuno mi avrebbe letta dentro, e io non avrei più conosciuto le vere emozioni degli altri. Nessun contatto. Nessuna apertura. Mi sarei alimentata del vuoto che aveva dilaniato la mia esistenza quel maledetto giorno di dieci anni prima. Il giorno in cui avevo deciso di fidarmi di Nathaniel. Il giorno in cui avevo abbandonato la Rhea fiduciosa e introdotto una nuova, all'apparenza servizievole e gentile, ma che nel frattempo, in solitudine, cadeva a pezzi.

Ero nascosta in fondo alla sala rettangolare, appoggiata all'ultimo scaffale della libreria e intenta a sfogliare il registro di Leaf per sistemare dei fogli che il Signor Thompson aveva fatto cadere poco prima. Lui era il capo, e io ero la donnina che doveva accettare in silenzio qualsiasi ordine, per quanto scortese fosse. Allora ne avrei approfittato per spulciare il registro delle nascite alla ricerca dei pochi nomi che conoscevo. Julien, Julien, Julien. L'unico essere vivente umanoide con cui condividevo la vera Rhea, e non l'immagine che mostravo ai miei concittadini. Strisciai il polpastrello dell'indice, coperto dal guanto, sulla carta ingiallita e ruvida. Julien non era nato a Leaf, ma ad High, una cittadina sulla costa Ovest, dal paesaggio collinare e pieno di campi di grano, dato che solo vicino al mare il manto perenne di nubi si dissipava, dando spazio al sole e alle stelle.

Sfogliai un'altra pagina. Eccolo! Storsi il naso. C'era qualcosa di particolare nella scritta del suo nome. Come se fosse stata aggiunta da una persona diversa dal curatore dei registri. Arricciai le labbra in una smorfia preoccupata. Se me n'ero accorta io, chiunque avrebbe potuto farlo, e se avessero sospettato che il suo nome fosse stato falsificato, sarebbero venute le Guardie Reali in persona a prendere Julien. False firme sul registro del Bacio del Battesimo erano comparabili a dei veri e propri furti.

«Tra cinque minuti arrivano i mocciosi!» Lo strillo del Signor Thompson mi fece sobbalzare così tanto da sbattere contro lo scaffale. Un libro mi urtò la testa. Imprecai a denti stretti, massaggiandomi il punto colpito e chiudendo il registro con un secco tonfo. La polvere racchiusa tra le pagine sbuffò in una nuvoletta. Il naso pizzicò e mi scoppiò un fragoroso starnuto. Incespicai sui miei stessi piedi e il contraccolpo mi portò a urtare di nuovo i ripiani. Quella volta, a cadere non fu un solo libro, ma metà libreria.

Eccolo. Quel lato della Rhea bambina che non ero mai riuscita a nascondere. La perenne goffaggine.

Strozzai un grido quando mi ritrovai sotto un accumulo di opere d'arte, mezze aperte sul mio corpo rannicchiato a terra. Sbuffai e pregai il Signore del Mattino che Thompson non mi avesse sentita.

«Brittleaf!» mi rimproverò lui, rimanendo dall'altra parte del locale.

«Sì, mi scusi!» provai a dire di rimando, cercando di soffocare le fitte di dolore. Roteai gli occhi e mi misi a sedere, levando un libro aperto sulla testa. Gli lanciai un'occhiata fulminea. Nonostante quell'angolo della libreria fosse illuminato da una sola gemma della luce, incastrata in un'ampolla di vetro sul soffitto, riuscii a scorgere il titolo del libro, tinto di oro su sfondo giallo. Due colori proprio distinguibili... "L'uomo che sussurrava ai muli". «Leggerò te ai mocciosi» bofonchiai, appoggiandolo distante dal resto delle macerie. «Così impari ad aver combinato questo bel casino.» Dopo uno sbuffo sonoro, mi scostai tutti i libri di dosso, spazzando via la polvere dai vestiti con manate nervose. Per lavorare in libreria, dovevo indossare uno stupido abito dell'Antico Autunno. Lungo un po' più sopra delle caviglie, di un marrone talmente scuro da farmi sembrare parte dei muri e del pavimento in noce della libreria. La gonna a vita alta mi stringeva sotto al seno, togliendomi il respiro e reprimendo in malo modo i fianchi morbidi. Almeno li avrebbe coperti agli occhi delle pettegole di Leaf che, come i Sorveglianti, amavano prendermi di mira.

Il segreto delle StagioniKde žijí příběhy. Začni objevovat