VII

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Il suono ritmato dei tamburi intensificò il battito del mio cuore, che fremeva alla vista di ciò che avevo davanti. Una figura maestosa, rifulgente. Viticci dorati di potere erano pronti a persuadere menti e cuori, a cingerci in un abbraccio caldo, affettuoso, protettivo. Ecco come mi faceva sentire il Signore del Mattino... Alexander.

Dalla pelle chiara, traslucida, fatiscente. Sembrava brillare di una luce che partiva dalla sua essenza. Non l'avevo notata quel pomeriggio, ma il contrasto con il semibuio la risaltava. Il Mattino, in quelle vesti, sembrava troppo anche per una divinità. Era un essere, un'essenza, uno stato d'animo, e non mi capacitavo di come potesse provenire da una terra sporca di odio e di arroganza come l'Autunno. Il pensiero che fosse nato nella mia Regione mi portò a mordicchiare una guancia.

L'abito di Alexander era bianco, con ricamature dorate simili a radici intrecciate l'una con l'altra, il colletto a stringergli la gola. Era la veste da cerimonia: un telo appoggiato sulle sue spalle larghe, coprendo l'intera figura, in tutta l'altezza e muscolosità. Era un abito semplice, non inghirlandato da frivolezze, ma il modo in cui lo sfoggiava lo rendeva unico nel suo genere. Era la nostra luna. La nostra guida.

Una volta Malvina mi aveva detto che l'abito del Signore del Mattino era composto dalla tela di ragno. A Sud d'Autunno esisteva infatti una fabbrica di miliardi di ragni che creavano tele per vestiti lussuosi.

Il rullo di tamburi si arrestò, lasciando i fiati sospesi a mezz'aria. Solo in quel momento mi resi conto che il Macchiato chiuso nella gabbia era privo di sensi. A stento riuscivo a vedere la pelliccia scura e unta.

Il Signore del Mattino allargò le braccia, in un gesto che accoglieva i fedeli, le maniche larghe lo rendevano un cigno dalle ali spiegate. La folla si scongelò dallo stato di assopimento e ammirazione, e iniziò a esultare e acclamare il loro dio che si accingeva a raggiungere la breve scalinata dell'impalcatura, seguito da un'altra Guardia dell'Alba. Procedeva a rilento, come se ogni passo fosse una benedizione alla nostra terra, come se potesse rilasciare la sua energia e donarne un pochino a Leaf.

Tutti lo seguivano con lo sguardo, tranne Julien, che si stava ammirando le mani ancora sporche di fuliggine. Gli diedi un pizzicotto per portarlo alla realtà e far sì che si alzasse insieme a me, ma mi ignorò bellamente. Allora mi misi in piedi da sola, seguendo il resto dei paesani. I tratti del volto del Signore del Mattino erano rilassati, come se tutta l'attenzione rivolta a lui non lo mettesse a disagio. Un timido sorriso, gli occhi pieni di gioia, i capelli biondi tirati dietro le orecchie. Si stava reggendo i bordi della veste e, quando alzai di nuovo gli occhi, una scossa mi scivolò sulla schiena.

Mi stava guardando. Tra tutti i cittadini, quelle pozze di ciel sereno avevano deciso di posarsi su di me e di rimanerci per interminabili secondi. Raddrizzai le spalle e congiunsi le mani davanti al ventre, per assumere un portamento elegante. Mantenni quel contatto, redendolo così intenso da provocarmi leggere vertigini. Non guardarlo troppo negli occhi. L'insegnamento che ci impartirono da piccoli si scontrò con il mio desiderio impellente di continuare a fissarlo. Ma imprecai e, come se mi fossi data uno scappellotto da sola, interruppi lo scambio di sguardi, facendo scivolare il mio sui tacchi marroni. Mi sedetti di nuovo sulla fontana e per qualche secondo non mi azzardai a scrutare il palco.

Julien mi stuzzicò con una gomitata sul braccio. «Dopo mi presti la tua...?» Gemma rossa. Voleva la mia gemma rossa.

Scossi la testa, con lo stomaco ancora ribaltato. «No, Julien. Lo sai» bisbigliai, dato che tutto attorno a noi cadde di nuovo nel silenzio. Avevo promesso a Nathaniel che non avrei dato la pietra a nessuno e mantenni il giuramento, anche se talvolta cedevo e aiutavo Julien a potenziare le sue invenzioni. La condizione era che io tenevo la gemma e non lasciavo che me la prendesse di mano.

Il segreto delle StagioniWhere stories live. Discover now