16.

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Heidi.

Due settimane di pace. Pace apparente? No. Pace. Vera e propria pace. Nel senso di benessere. Di allegria. Sorrisi, abbracci, carezze. Senza la minima preoccupazione a turbare la quiete, nonostante Zayn sia ancora turbato per Nathan.
Sono convinta che gli passerà, prima o poi. Anzi, devo ammettere che se si parlassero come persone civili una volta per tutte, e magari riuscissero a chiarire... avrei un motivo in più per sorridere. Non che non abbia un motivo per sorridere, certo. Ma mi sentirei decisamente meglio se tutta questa storia e quest'odio che si portano dietro, finissero.
«Andiamo, non fare la scema!». Scema? Mi riprendo sentendo la voce di Charlotte chiamarmi in quel modo, allora mi blocco in mezzo al marciapiede e inarco un sopracciglio. La sento sbuffare. E forse potrebbe anche avere ragione. Forse. «Stiamo girando intorno all'ospedale da quasi un'ora Heidi, dai...». Sì, ha ragione. Sto facendo la scema.
«Ho paura degli ospedali, te l'ho detto», cerco di giustificarmi, senza troppo successo. Sospiro, passandomi poi la mano libera dalla sua presa tra i capelli. Non è strano che una ragazza cieca abbia paura degli ospedali? Insomma, ormai dovrei averci fatto l'abitudine. E invece niente, continuo ad esserne terrorizzata.
«Mi spieghi perché non hai chiesto a Zayn di accompagnarti?». Ed eccola, la domanda che mi aspettavo. La domanda che Charlie avrebbe dovuto farmi fin da subito, quando è venuta a prendermi a casa. Sorrido appena, trattenendo a malapena le lacrime, quando lei mi prende delicatamente il viso tra le mani. «Heidi...».
«Il mal di testa... non è mai passato», le dico semplicemente, lasciando scorrere una lacrima. Ed è per quello che sono spaventata, non per l'ospedale. Mi sono imbottita di antidolorifici per due settimane, sperando di sentirlo meno. Ma il mal di testa era sempre lì, forte e continuo, senza migliorare né peggiorare. Sempre lì e sempre uguale. «Ho detto a Zayn che stavo meglio perché...».
«Non vuoi che si preoccupi, ho capito», mi dice in un soffio, abbracciandomi. «Ora però mi fumo una sigaretta e andiamo dal medico, okay?». La sento sorridere, prima che mi lasci un bacio sulla guancia e sciolga l'abbraccio, per riprendermi per mano e ricominciare a camminare.
E annuisco, non riuscendo a fare nient'altro di concreto.
Tanto prima o poi avrei dovuto dirlo a qualcuno, parlarne, o avrei rischiato di esplodere. Solo, davvero non pensavo di poterlo dire ad una ragazza che praticamente non conosco. Pensavo di trovare il coraggio per dirlo a Vicki, a Louis... o a Zayn. Charlotte è davvero l'ultima persona a cui avrei pensato.
«Andiamo, mia piccola Stevie Wonder?», mi chiede Charlotte dopo un po'. Mi soffia l'ultimo tiro di sigaretta in faccia, prima che mi possa rendere conto di come mi ha chiamata. Stevie Wonder? Oddio. Tra tanti doveva proprio paragonarmi ad un cantante cieco?
Ma non riesco a fare a meno di ridacchiare e annuire, senza nemmeno protestare per l'odore di fumo in cui mi ha praticamente immersa. Non è poi tanto male. Ma solo perché mi ricorda Zayn. Solo per quello.
E mi accorgo a malapena di camminare tra i corridoi di quell'ospedale che tanto odio. Tengo addirittura le palpebre abbassate, lasciando che la migliore amica del mio ragazzo mi trascini dove vuole. Lascio che mi spinga delicatamente in ascensore, sfiorando con calma un tasto dopo l'altro, fino a trovare quello per il quarto piano.
Sento Charlotte sorridere appena e scuotere la testa. È sorpresa, direi.
«Che c'è?», le chiedo senza riuscire a trattenere una risatina.
«Niente, è che sei sorprendente, bionda», ribatte aumentando appena la presa sulla mia mano. Mi viene spontaneo sorridere, scuotendo delicatamente la testa, appena prima che l'ascensore ci avverta di essere arrivate al piano. «Non c'è da stupirsi che Zayn tenga tanto a te», aggiunge a voce tanto bassa che quasi non riesco a sentirla.
«Penso che lo prenderò come un complimento, Char».
E appena fuori dall'ascensore, mi arriva addosso l'odore penetrante e fin troppo forte del dopobarba del dottor Harrison. Segno evidente che gli siamo vicine, parecchio. Oppure che è appena passato di fronte all'ascensore da cui io e Charlotte siamo appena uscite. Buona la prima. «Heidi», mi sento chiamare. La sua voce ha una sfumatura di sorpresa, che non prova nemmeno a nascondere.
Ed è normale, considerando che avrei dovuto essere in ospedale non prima della prossima settimana, per gli esami e tutto il resto. Tutto solo per quelle due o tre volte in cui mi è sembrato di vedere qualcosa.
«Ha un minuto, dottore?», gli chiedo con un mezzo sorriso. Charlie mi stringe la mano, segno che devo iniziare a muovere un passo dietro l'altro, seguendo lei e il mio oculista. Deve essersi preoccupato, chissà come, e deve aver fatto un segno alla ragazza al mio fianco, di sicuro.
Una cinquantina di passi lungo il corridoio, sempre dritti. Poi una svolta sulla sinistra, e altri venti passi. Attraversiamo la porta di quello che so perfettamente essere il suo studio, e sento la porta chiudersi alle nostre spalle, prima che Charlie possa aiutarmi a mettermi seduta sul solito lettino coperto dal solito lenzuolo di carta sterile.
«Ti aspettavo la prossima settimana». La voce del dottor Harrison rompe il silenzio, che era interrotto solo dal masticare nervoso di Charlotte. Dovrei essere io quella nervosa, non lei. «E hai portato un'amica... che non conosco», aggiunge facendomi sorridere.
Non ha tutti i torti. Non ho mai portato nessuno che non fossero Vicki, Liam, Louis o mia madre. Ed è incredibile come in poco più di un mese sia cambiato tutto. Prima Zayn, e ora Charlotte. Sì, il mio oculista deve essere davvero sorpreso.
Sento appena Charlie che si allunga verso di lui per stringergli una mano e presentarsi. Io, dal canto mio, non posso far altro se non massaggiarmi le tempie, cercando di placare l'ennesima fitta alla testa. E sento il medico trattenere il fiato qualche secondo, notando evidentemente quello che sto facendo.
«So che mi sta guardando male dottore, non sono stupida».
Sbuffa, prima di alzarsi in piedi e avvicinarsi al lettino su cui sono seduta. Charlotte si è allontanata per fargli spazio. E sento che il dottor Harrison ha tirato fuori dalla tasca del camice la solita torcia elettrica, di quelle che usano gli oculisti per vedere i riflessi della pupilla, credo.
Sento che me la punta contro, tenendomi aperto prima un occhio e poi l'altro.
Ma niente, continuo a vedere solo il buio. Il buio più totale.
«Da quanto hai questo mal di testa?», mi chiede alla fine, sospirando.
«Dal giorno in cui ci siamo visti per la visita...». Mi sento terribilmente in colpa. Perché avrei dovuto chiamarlo subito, il pomeriggio stesso, e dirglielo. Perché ho fatto finta di stare bene due settimane. Perché non ho detto niente a Zayn. Sono decisamente una brutta persona.
«Due settimane... è interessante». Inarco un sopracciglio, confusa. Mi aspettavo una sfuriata, lo ammetto. Mi aspettavo che mi incolpasse di non aver detto niente a nessuno, di non essermi fatta vedere prima. E invece niente. Interessante? No, davvero non capisco. «Devo ricoverarti Heidi, facciamo tutti gli accertamenti e cerchiamo di capire se il mal di testa ha a che fare con le ombre che mi hai detto di aver visto...».
Mi irrigidisco sensibilmente, già alla parola "ricoverarti". Per poi rabbrividire alla parola "accertamenti". Ma l'unica cosa che posso fare è annuire, anche se contrariata, e seguire il volere del medico. Perché non ci vedo. Non posso saltare giù dal lettino e correre via, prendere l'auto di Charlotte e tornare a casa.
Non posso. Anche se vorrei farlo, terribilmente.

Blind love. [Zayn Malik]Where stories live. Discover now